Il nome di Elvis e la sua morte

Tutti hanno diritto a un nome. Tutti hanno diritto a una storia. Alle 22,10 di sei giorni fa l’Ansa batte una secca e drammatica notizia. «Due morti in baraccopoli in provincia di Foggia». Mi chiamano dal giornale. Sono stato più volte in quella zona, ho scritto delle condizioni di emarginazione e sfruttamento. Ho i contatti giusti. Mi informo. Chiamo il prefetto Raffaele Grassi, che conosco da quando era questore a Reggio Calabria. Mi spiega che i due immigrati, uno della Nigeria e uno del Camerun, sono morti per le esalazioni di monossido di carbonio, provocate da un braciere in un casolare vicino al ghetto di Borgo Mezzanone. Gli ennesimi morti in questo non luogo, dove dignità e umanità sono parole dimenticate. Ma di più non si sa. La notizia, alla fine, trova sui giornali lo spazio di una “breve”, non più di poche righe. Solo due giorni dopo si riescono a sapere i nomi. Sono Emmanuel, nigeriano, e Elvis del Camerun. Niente di più. E la vicenda scompare.

Non è giusto. Lo sanno bene i volontari di Intersos, che da anni con l’ambulatorio mobile seguono i braccianti immigrati dei ghetti foggiani. Non ci si può fermare ai nomi. Perché dietro i nomi ci sono storie. Dietro quelle morti c’erano due vite. Chiedo, mi informo. Così scopro che Elvis, 23 anni, è un nome noto. Più volte è entrato in contatto coi volontari. E lui quella notte non doveva essere nel casolare dove ha incontrato la morte. Elvis viveva in un altro ghetto, a Poggio Imperiale, nel Comune di Lesina. Quello che ha già vissuto un dramma. Venivano proprio da lì i sedici braccianti morti in due incidenti stradali, ammassati in due furgoni di “caporali”. Sfruttati fino alla colpevole morte. Corpi straziati, la cui identificazione era stata possibile proprio grazie ai medici e ai mediatori di Intersos. E così è stato anche per Elvis che li aveva più volte contattati per assistenza sanitaria e per problemi col permesso di soggiorno. Perché Elvis, bracciante agricolo, aveva il permesso di soggiorno per motivi umanitari, ma dopo il cosiddetto Decreto sicurezza, il primo dei due voluti dall’allora ministro Salvini, alla scadenza non aveva potuto più rinnovarlo, finendo nel limbo dei “senza documenti”. Che per lui aveva voluto dire anche non poter più avere un contratto di lavoro. Un dramma nel dramma.

Proprio il 23 novembre Elvis era andato a Roma, dall’avvocato che segue la sua vicenda, per capire come fare ad avere nuovamente un permesso di soggiorno e i documenti. Fondamentali per poter lavorare regolarmente. Un viaggio lungo e necessario. Ma al rientro a Foggia aveva perso il pullman per Lesina. Dove dormire?

Per uno come lui non ci sono molte alternative. Così per quella notte aveva trovato ospitalità da un amico, Emmanuel, nel casolare diroccato alle spalle del ghetto della ‘ex pista’ di Borgo Mezzanone. Meglio di una baracca. Elvis non sapeva che sarebbe stata la sua ultima notte, che in quel casolare lo attendeva la morte silenziosa dell’ossido di carbonio. Non la morte drammatica delle fiamme che hanno ucciso tanti braccianti nelle baracche dei ghetti, in Puglia, Basilicata e Calabria, ma quella silenziosa che nel sonno ti toglie il respiro. Morti diverse e uguali, morti da povertà e emarginazione, morti di cattiva accoglienza, morti di illegalità imposta, morti di persone ridotte a scarti. Come Elvis e il suo amico Emmanuel. Morti da non chiudere e dimenticare in una riga di agenzia. Così i volontari hanno cercato, hanno chiesto. Sono anche andati all’obitorio per accompagnare alcuni amici di Elvis per riconoscere il cadavere. Per dargli un nome certo, per dargli una storia, che a nessun uomo può essere negata. Anche dopo la morte.

E ora a Elvis, invisibile in vita e la cui morte era finita in poche righe sui giornali, possiamo dedicare lo spazio che merita ogni uomo, soprattutto chi ha avuto una vita troppo dura e finita troppo presto. Anche per colpa nostra, dei silenzi, degli occhi chiusi, dell’incapacità di fare vera accoglienza e inclusione, che vuol dire soprattutto attribuzione e assunzione di doveri e insieme pieno riconoscimento di diritti. I diritti perduti di Elvis, la sua vita asfissiata. Oggi, qui, almeno gli restituiamo un pezzo della sua storia. E denunciamo ancora una volta la sofferenza e l’ingiustizia prodotte da una legge che non dà più sicurezza, ma la umilia e la toglie. In modo persino mortale.

Antonio Maria Mira

Fonte: https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/il-nome-di-elvis-e-la-sua-morte

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