Avvelenati, non rassegnati
Nell’ottobre del 2015, Enzo Tosti si è sottoposto a un esame del sangue di routine «solo perché lo chiedeva mia moglie», racconta. A 56 anni, si sentiva bene e non sospettava nulla. Durante la settimana era impiegato come operatore socio-sanitario all’Associazione italiana assistenza svantaggiati di Afragola, un comune alle porte di Napoli, dove si occupava di pazienti con problemi psichiatrici. Nel tempo libero andava a caccia di discariche abusive. Quando lo avevo conosciuto, nella primavera del 2013, per farmi capire di che materiale fosse costituita l’emergenza rifiuti campana che aveva fatto il giro del mondo, mi aveva portato a vedere da vicino i cumuli di rifiuti abbandonati.
C’erano pneumatici usati, teloni di plastica utilizzati per coprire le serre, pannelli di eternit, strisce di cuoio e altri scarti delle decine di laboratori calzaturieri e tessili che lavorano per le grandi griffe e per l’industria del falso. In alcuni punti, bastava forare il terreno per provocare dei veri e propri geyser di vapori tossici. Accadeva dove erano stati sepolti rifiuti di grandi fabbriche, soprattutto del Nord Italia. Per questo era arrivato alla conclusione che tutto ciò non fosse altro che il «sintomo di un sistema industriale malato».
Il giorno in cui ha ricevuto i risultati degli esami del sangue la sua vita è cambiata. I medici avevano trovato valori anomali di leucociti e consigliavano una visita ematologica, al termine della quale era arrivato il verdetto: linfoma non-Hodgkin, una neoplasia del tessuto linfatico frequente tra i militari esposti all’uranio impoverito in Iraq e durante le guerre balcaniche degli anni Novanta. Enzo Tosti vive a Orta di Atella, un paesone di 27mila abitanti a metà strada tra Napoli e Caserta, nel cuore di quel disordinato sprawl urbano da due milioni di abitanti che circonda come una corona di spine la città di Napoli. Proprio lì, in quell’area denominata “terra dei fuochi” per i continui roghi di spazzatura, l’Istituto superiore di sanità ne ha certificato una diffusione superiore del 50% rispetto alla media nazionale, in particolare tra gli uomini.
Che nella “Terra dei fuochi” siano state sepolte tonnellate di rifiuti tossici è un fatto acclarato. Legambiente ha censito, a partire dal 1991, 82 inchieste giudiziarie su traffici di rifiuti diretti alle discariche legali e illegali del Napoletano e del Casertano, con 915 ordinanze di custodia cautelare, 1.806 denunce e 443 aziende coinvolte. L’ultima operazione giudiziaria risale alla fine di agosto, quando i droni dell’esercito hanno individuato e consentito di sequestrare un deposito abusivo di oli esausti. Già nell’agosto 2004 la rivista statunitense Lancet aveva pubblicato uno studio che definiva l’area tra Acerra, Marigliano e Nola «il triangolo della morte» a causa dell’inquinamento causato dai rifiuti industriali smaltiti illegalmente.
Enzo Tosti è convinto che ci sia un legame tra l’inquinamento ambientale e il suo tumore. Per questo si è pagato di tasca propria un test tossicologico: 800 euro alla Lg-Inca di Oderzo, in Veneto, un laboratorio specializzato nella ricerca di metalli pesanti e altri veleni, in particolare i policlorobifenili (Pcb), prodotti in Italia dalla fabbrica bresciana Caffaro, utilizzati come isolanti e solventi e proibiti dal 1983. Le analisi hanno segnalato “valori critici” di esaclorobifenile 153, 138, 187 e 170, ma soprattutto di esaclorobenzene, che la letteratura scientifica associa al rischio di leucemie linfatiche. «Mi sono chiesto subito come mai queste sostanze fossero finite nel mio organismo», racconta. L’unica spiegazione che riesce a darsi è che si tratti di veleni sepolti illegalmente nei terreni, finiti nelle acque dei pozzi utilizzate per l’irrigazione e da qui nel ciclo alimentare.
«Con mia moglie Gerardina Caruso, tecnico di laboratorio all’ospedale Cardarelli di Napoli, ci siamo detti: perché non vediamo se anche gli altri malati della Terra dei fuochi hanno queste sostanze nel sangue?», spiega Tosti. Si uniscono nell’impresa la dottoressa Filippina Onofaro, già impegnata a cercare metalli pesanti nei capelli dei pazienti, l’avvocata Valentina Centonze, che ha curato i ricorsi di cittadini e comitati alla Corte europea di Strasburgo, Luigi Costanzo, un medico di base che da anni denuncia l’anomalo aumento di allergie, malformazioni e tumori nei pazienti del suo studio, e Giampiero Angeli, un colonnello dell’esercito in pensione che qualche tempo prima aveva accusato dei malesseri e si era sottoposto ad analisi tossicologiche che avevano evidenziato una concentrazione di policlorobifenili addirittura «superiore ai bresciani che vivevano vicino alla Caffaro». Il professor Antonio Giordano, un oncologo che insegna all’università di Siena e dirige lo Sbarro Institute for cancer research della Temple University di Philadelphia, negli Usa, mette a disposizione il suo staff e propone un nome per il progetto: Veritas.
Per coinvolgere i malati, chiedono aiuto a un’associazione locale che si occupa di tutela della salute dei bambini e alla Rete di cittadinanza e comunità, che raggruppa i comitati ambientalisti della terra dei fuochi. «Un giorno Gerardina Caruso mi ha chiamato al telefono e mi ha spiegato cosa volevano fare, è stata molto convincente», racconta Valerio Taglione, che incontro a Casal di Principe nella Casa di don Diana, una villa confiscata a un esponente del clan dei Casalesi e assegnata a un consorzio composto da 51 associazioni e cooperative. Lui ne è l’infaticabile coordinatore, nonostante nel 2016 gli sia stato diagnosticato un tumore al polmone destro e da allora si sottoponga a una terapia biologica e a periodici cicli di radioterapia. Al termine della telefonata, Taglione aderisce con convinzione.
Lo stesso accade a , una donna di 55 anni alla quale nel 2017 è stato diagnosticato un tumore al colon. Aveva conosciuto Gerardina Caruso durante le manifestazioni contro la discarica di Chiaiano – nata per portarci i rifiuti dell’emergenza napoletana del 2007 e definitivamente chiusa alla metà del 2018 – che dalla casa dove sono andato a incontrarla, a Mugnano di Napoli, dista pochissimi chilometri. Poi la malattia l’ha costretta a fermarsi e a sottoporsi a tre operazioni lunghe e rischiose e a svariati cicli di chemioterapia. Quando riceve la telefonata, la donna non esita ad accettare. «Mi sono detta: devo capire perché mi sono ammalata, è una domanda alla quale nessuno è mai riuscito a darmi una risposta», dice.
Operazione Veritas
Alla fine, i promotori di Veritas selezionano cento malati di tumore, dieci persone sane che vivono anch’esse nella Terra dei fuochi e quindici, sempre in buona salute, che risiedono altrove. La lista delle sostanze da cercare nel loro sangue comprende arsenico, cadmio, mercurio, piombo, diossine, furani, Pcb, polibromodifenil, eteri. Insieme ai dosaggi ematici, con prove e controprove per verificare l’esattezza dei risultati, vengono analizzati anche i capelli, che «offrono informazioni sulla funzionalità del metabolismo», dice il professor Giordano.
La campagna di sottoscrizione avviata nel frattempo dalla Rete di cittadinanza e comunità e dalla Ong ecologista A Sud raccoglie 150mila euro, grazie soprattutto al sostegno della Fondazione Con il Sud e della Fondazione Charlemagne, e consente di passare alla fase operativa. Le prime otto analisi vengono effettuate alla Lg-Inca di Oderzo e poi rifatte all’Università Federico II di Napoli. Le successive sono realizzate direttamente in quest’ultima, grazie a un accordo che consente di risparmiare sui costi e di avere a disposizione una tecnologia più avanzata. La cartella clinica di Valerio Taglione evidenzia valori abnormi di cadmio, arsenico, mercurio, diossine e Pcb. «Erano talmente al di sopra della norma che al centro antiveleni dell’ospedale Cardarelli di Napoli si sono stupiti che riuscissi a stare in piedi», racconta. Paola Cipolletta mi mostra le sue: spiccano i 104 milligrammi per litro di mercurio contro un massimo di 9,9, i 30 di cadmio contro gli 1,97 da non superare e i 246 di piombo contro un’asticella posta a 79,5. L’arsenico è più del doppio della soglia massima e non mancano Pcb, diossine e furani. In tutte le persone sottoposte ai controlli cambiano i dosaggi ma non la sostanza: i veleni sospettati di essere tra i responsabili delle loro malattie, se non la causa principale, ci sono tutti e in gran quantità.
I risultati definitivi saranno pubblicati sul Journal of cellular physiology. L’ipotesi è che i veleni agiscano sul sistema immunitario, che invece di proteggere l’organismo ne diverrebbe un agente patogeno. Per questo i promotori di Veritas chiedono allo Stato italiano di fornire gratuitamente a tutti i cittadini della Terra dei fuochi i test tossicologici e una cura disintossicante. Per ora, l’ospedale Cardarelli di Napoli ha offerto ai partecipanti al progetto una “terapia chelante” per purificare il sangue dai metalli pesanti. Enzo Tosti vi si è sottoposto per primo e i veleni nel suo sangue sono calati drasticamente.
Angelo Mastrandea
https://www.areaonline.ch/Avvelenati-non-rassegnati-c0036000
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