Racconti di alternative allo sfruttamento
Dieci anni dopo la rivolta dei braccianti africani di Rosarno, le condizioni di vita e di lavoro di migranti o nativi del settore agro-alimentare non sono cambiate. Sara Manisera – nel suo libro appena pubblicato Racconti di schiavitù. E lotte nelle campagne (AutAut editore) – ripercorre questi dieci anni collegando questa storia da un lato con le storie passate di sfruttamento e di lotta sindacale, soprattutto nel sud, dall’altro con le pratiche alternative di produzione nate soprattutto negli ultimi dieci anni.
Il tema dello sfruttamento di lavoratrici e lavoratori agricoli non possiamo considerarlo il retaggio di un’epoca al tramonto ma un prodotto della modernità, delle logiche neoliberiste e della concentrazione proprietaria a livello globale che stanno distruggendo ambiente, condizioni di vita e condizioni sociali di tutte e tutti noi. In questo dialogo con Sara ci immergiamo nelle sue impressioni di fronte a quello che ha visto e raccontato.
Il tuo giro delle stagioni in alcune realtà agricole di particolare importanza per il nostro paese ha mostrato a mio avviso due aspetti interessanti da approfondire: da una parte la realtà di un fortissimo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori, che non sembra essere cambiato molto da quello di dieci anni fa quando la rivolta dei braccianti migranti a Rosarno rese evidente a tutti la condizione che vivevano; dall’altra la nascita di moltissime esperienze e pratiche alternative che contro quello sfruttamento si sono formate. Quale ti sembra la relazione tra questi due aspetti, ossia a quali bisogni provano a rispondere quelle pratiche alternative?
Le pratiche alternative che ho incontrato in questo girovagare per l’Italia rappresentano una risposta pratica a una serie di bisogni. Sono forme di resistenza di fronte alle ingiustizie e allo sfruttamento, di organizzazione dal basso. Sono associazioni, cooperative o semplicemente gruppi di cittadini che hanno deciso di mettersi insieme per trovare delle soluzioni laddove la politica non ha mai risposto, è arrivata in ritardo o ha volutamente ignorato determinati problemi. Sos Rosarno o Sfrutta Zero, solo per citare alcuni esempi, rappresentano pratiche alternative di produzione, di consumo e di commercio di frutta e di verdura. Non sono, tuttavia, semplici esperienze agricole. Sono esperienze politiche e sociali che nascono dal basso, che provano a rispondere a un bisogno ma offrono al tempo stesso anche un’alternativa laddove lo Stato e le istituzioni non hanno risposto con interventi adeguati e strutturali concreti. Certamente questi laboratori «politico-agricoli» non sono la soluzione, sarebbe da ingenui pensarlo, ma questi percorsi dal basso tracciano, segnano e indicano chiaramente quali possono essere le alternative. La politica, a mio avviso, dovrebbe guardare a quelle esperienze alternative per gettare i semi di una nuova politica agricola. Il libero mercato lasciato a sé stesso non favorisce crescita e innovazione – non solo nel settore agricolo – anzi è dimostrato che le diseguaglianze sono aumentate, così come l’inquinamento perché il «libero mercato» non ha alcun interesse a proteggere i diritti e l’ambiente. Il diritto al cibo e al cibo sano, il diritto al lavoro, il diritto alla casa, il diritto alla salute… sono questi i bisogni a cui tali pratiche alternative provano a rispondere, proprio perché le istituzioni e lo Stato non sono state in grado di farlo in questi anni. Un altro esempio che ho voluto inserire in questo libro è l’esperienza di Drosi, in Calabria, dove un singolo cittadino, di fronte all’assenza di alloggi per i lavoratori stagionali, ha organizzato l’accoglienza convincendo gli abitanti del piccolo Comune ad affittare le case sfitte e chiuse da anni. È evidente che questo esempio risponde al bisogno del diritto alla casa (e al tempo stesso risolve il problema dello spopolamento delle aree interne) ma è anche un’esperienza che dimostra concretamente che esistono alternative all’approccio emergenziale e di ghettizzazione applicato dallo Stato (tendopoli ecc.).
Come sappiamo ormai da molti anni, il tema del lavoro agricolo e del suo sfruttamento è intimamente legato a quello delle migrazioni. Se infatti non mancano native e nativi dentro il sistema di produzione agricolo (e della trasformazione), la presenza di migranti nei territori interessati segna in maniera profonda quella filiera. Cosa ci puoi dire della soggettività e del protagonismo di donne e uomini migranti in quei contesti?
All’interno del libro ho voluto raccontare storie di lavoratori, non semplicemente di migranti, perché dietro ogni persona si celano storie, lotte e sacrifici, per cercare un lavoro, migliorare la propria vita o garantire ai propri figli un futuro dignitoso. Ogni storia è diversa dall’altra. Ogni persona ha un percorso migratorio unico. Ciò che accomuna questi lavoratori è l’intensità dello sfruttamento sul lavoro, un fenomeno che non risparmia i lavoratori italiani nella catena produttiva agricola ma che spesso si avvale di lavoratori stranieri vulnerabili, a causa di leggi ingiuste che spingono il lavoratore straniero a essere ancora più ricattabile. La soggettività dei lavoratori stranieri emerge attraverso le storie e le voci di ciascuno di loro. La scelta di riportare le loro parole così come sono state pronunciate è stata dettata proprio dalla volontà di raccontare queste persone come soggetti attivi e non passivi. Loro non sono solo migranti sfruttati. Sono uomini, lavoratori con la propria coscienza politica, la propria consapevolezza sindacale. Nelle campagne italiane ho incontrato sindacalisti e ingegneri, operai e muratori, insegnanti e studenti. Ognuno di loro aveva un proprio vissuto, un proprio bagaglio di esperienza e la propria dignità.
Come dicevi, è evidente che le generose e importanti iniziative e pratiche alternative non rappresentino ancora una risposta «strutturale» – sul piano sindacale e di uscita dal mercato – in quelle situazioni. A tuo avviso quali sono i limiti principali di queste attività e la loro forza?
I limiti che ho raccontato nel libro sono principalmente due. Il primo è quello quantitativo. La maggior parte delle persone in Italia fa la spesa in un supermercato collegato alla grande distribuzione organizzata. C’è una minoranza di persone che si appoggia a queste reti per comprare il cibo di cui ha bisogno, una minoranza già sensibile. C’è poi il secondo limite che è collegato strettamente all’assenza di una risposta «strutturale». Io credo che se ci fossero delle istituzioni lungimiranti capaci di mettere in rete esperienze di produzione agricola locale e di creare delle infrastrutture e dei collegamenti con cittadini che vivono in città, si potrebbero certamente creare le condizioni di cambiamento. Mi spiego meglio. Se, per ipotesi, i sindaci delle città intorno a Milano si mettessero insieme e decidessero di supportare e finanziare i piccoli produttori agricoli, attenti al territorio, alla difesa dell’ambiente e dei diritti creando dei «supermercati» a km zero, i cittadini probabilmente andrebbero lì a fare la spesa invece che al Lidl o al Carrefour. Qualcuno potrebbe dire che ci sarebbe comunque un problema di prezzo e che non tutti si possono permettere un certo tipo di spesa ma se le istituzioni supportassero anche economicamente i piccoli produttori e li valorizzassero in quanto «protettori della terra e del cibo», si spingerebbero i cittadini a un altro tipo di consumo. In Francia e Germania esistono già questi tipi di supermercati a km zero finanziati dalle Regioni / dallo Stato o da soci. Bisogna avere creatività per cambiare le cose e immaginarsi un mondo diverso, e anche un po’ di coraggio.
Sara Manisera, Piero Maestri
Sara Manisera collabora con numerose testate, italiane e internazionali, tra cui Internazionale, Al Jazeera, Libération e Lifegate. Ha realizzato reportage da Iraq, Siria, Libano,Tunisia, Bosnia, Kosovo. Ha vinto la Colomba d’Oro per la Pace con il webdoc Donne fuori dal buio, realizzato con Arianna Pagani in Iraq, il Dig Festival Riccione 2019 e il True Story Award con un’inchiesta sui desaparecidos in Siria. Piero Maestri, attivista, è stato redattore di Guerra&Pace ed è coautore tra l’altro di #GeziPark (Alegre).
18/2/2020 jacobinitalia.it
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