Il Coronavirus e la crisi dell’ordine neoliberale
La crisi provocata dalla diffusione dell’epidemia di Coronavirus ha evidenziato non solo la nostra vulnerabilità di fronte a un’emergenza sanitaria cui non riusciamo a far pienamente fronte, ma l’assenza di consolidati “anticorpi sociali”. A fronte di centinaia di attività che rischiano il fallimento e di milioni di persone, tra precari, parasubordinati e dipendenti del settore privato che rischiano di rimanere senza reddito, lo stato si dimostra assolutamente incapace di fornire adeguate risposte in termini di sicurezza e protezione sociale. Né all’emergenza economica riescono a far fronte le tante piccole organizzazioni che portano avanti progetti di mutualismo dal basso, nelle forme del mutuo aiuto militante o volontario. Che il nostro sistema sanitario, carente di 56mila medici e 50mila infermieri, con i suoi 758 reparti soppressi negli ultimi 5 anni e solo lo 0,2 degli investimenti statali nella ricerca, fosse in emergenza da tempo lo abbiamo già detto.
In Cina, che pure è la nazione che più è cresciuta al mondo negli ultimi dieci anni e che gode di investimenti statali massicci su settori strategici, si è sfiorato il collasso del sistema sanitario. Si può solo provare ad immaginare il rischio per un Paese come l’Italia, dopo decenni di privatizzazioni selvagge e tagli indiscriminati alla sanità pubblica e alla ricerca medica.
Inoltre il panico sociale, la paura della diffusione e del contagio, alimentata dalle dichiarazioni contradditorie e confuse della classe politica e di una comunità scientifica per nulla unanime, nonché da narrazioni mediatiche allarmistiche e sensazionaliste, contribuisce a diffondere scoramento, solitudine ed un più forte sfilacciamento delle reti di solidarietà e dei tessuti sociali, già gravemente minati da anni di politiche securitarie e neoliberali.
Eppure, questa crisi potrebbe essere foriera di opportunità politiche.
In Italia stanno venendo al pettine tutti i nodi della riorganizzazione neoliberale dello Stato: i tagli alla sanità, la scelerata devolution della sua gestione alle Regioni, l’assenza di una catena di comando chiara.
La crisi di governo del fenomeno “coronavirus” – nel senso di crisi della capacità di governare i processi, di agire con e nell’emergenza, di arrestare la propagazione del pericolo – è sotto gli occhi di tutti. In Italia stanno venendo al pettine tutti i nodi della riorganizzazione neoliberale dello Stato: i tagli alla sanità, la scelerata devolution della sua gestione alle Regioni, l’assenza di una catena di comando chiara (con Conte che dice una cosa, Fontana un’altra, Zaia un’altra ancora) e l’incapacità di assumere delle decisioni inequivocabili da parte degli esperti. In sostanza, l’ordine neoliberale potrebbe essere attraversato da una crisi di legittimità che non ha nulla a che vedere, per gravità e intensità, a quella degli anni della crisi 2008-2012, che pure rese evidente l’insostenibilità dei modelli neoliberali.
Ciò per tre motivi, connessi tra di loro:
1) Il neoliberalismo è, per sua natura, incapace di assicurare benessere
Se il neoliberismo si fonda sulla riduzione dei sistemi di protezione sociale e la rinuncia della presa a carico dell’individuo da parte dello stato, in luogo del mercato, il rischio del collasso dei sistemi sanitari che si paventa oggi rende evidente tutta la fragilità dell’organizzazione neoliberista. Inoltre, il rischio economico di milioni di persone a cui per anni è stato raccontato che “privato è meglio” o “siamo tutti imprenditori di noi stessi” non è poi diverso dalla realizzazione degli scenari catastrofici e distopici messi in scena da gran parte del cinema contemporaneo: da Ken Loach in “Sorry, we missed you” a “Parasite” di Bong Joon-ho, passando per “Joker” di Todd Philips.
Il rischio del collasso dei sistemi sanitari che si paventa oggi rende evidente tutta la fragilità dell’organizzazione neoliberista.
Sarà una doccia gelata quella che ci arriverà addosso. E sarà molto “democratica”, quando persino un manager di qualche multinazionale lamenterà dell’assenza di un posto letto in terapia intensiva e non potrà rivolgersi alla sanità privata; oppure quando, considerando contagi di altra natura, si troverà ad aver a che fare con una crisi finanziaria “pandemica”, dovuta al crollo delle borse globali e alla mancanza di fiducia degli operatori.
2) Lo Stato “minino” neoliberale non è in grado di fornire né libertà, né sicurezza
Se il baratto tra libertà e sicurezza individuali (in termini biopolitici di protezione dell’incolumità fisica e sanitaria dell’individuo) è il cuore dell’opzione neoliberale, il fallimento della capacità del mercato e dello “Stato minimo” nel garantire tale sicurezza rende manifesta l’insostenibilità della scelta a monte. Il liberalismo – ci dice Foucault – coincide con il governo della popolazione, con la presa a carico della vita dei cittadini, la cura del loro benessere in quanto componente fondamentale della “ricchezza” di un nazione. I dispositivi di sicurezza sono quelle strategie della governamentalità neoliberale, volte non a disciplinare i corpi, a limitare coercitivamente le azioni degli individui, bensì a controllarne gli effetti, a far sì che, attaverso l’uso di precisi calcoli statistici e predittivi, si prevengano i rischi sociali e si ottengano risultati ottimali.
Le misure eccezionali, le quarantene, il ritorno alla disciplina dei corpi e delle condotte sono la rappresentazione evidente del fallimento del biopotere neoliberale.
Le misure eccezionali, le quarantene, il ritorno alla disciplina dei corpi e delle condotte sono la rappresentazione evidente del fallimento del biopotere neoliberale. Di fatto, lo stato minimo neoliberale riesce a porsi come tutela della sicurezza dei cittadini solo in senso securitario, con le truppe delle forze armate e di polizia a presidiare militarmente i territori, con le istitizioni repressive e carcerarie, con il ricorso alla deterrenza nei confronti delle condotte libertarie.
3) La governance neoliberale si è rivelata non solo anti-democratica e tecnocratica, ma anche priva di autorevolezza
Se il governo, nel neoliberalismo, esautora le forme della rappresentanza democratica in luogo di una governance tecnocratica capitanata da esperti, l’incapacità oggi di far fronte agli effetti sanitari, economici, politico-sociali del coronavirus, rende evidente la mancanza di autorevolezza e legittimità di questa élite. Le profonde divisioni che attraversano la comunità scientifica – con un Burioni che afferma il contrario di Capua – e l’assenza di un piano strategico condiviso per affrontare l’emergenza rivelano non solo che è vero quanto dice Latour quando dice che “non siamo mai stati moderni”; ma è indicativo del fatto che le decisioni sulle nostre vite non possono essere delegate ad una governance tecnocratica auto-proclamatasi a decidere in nome della “tecnica” e “della scienza”, quando dimostrano di essere incapaci di offrire soluzioni adeguate. Attenzione: non siamo di fronte a un fallimento dei singoli che compongono un’élite (per cui si tratterebbe di sostituire i suoi componenti). Al contrario, assistiamo al fallimento di un metodo, che è appunto quello di pensare che un’élite di esperti, sulla base dell’autorevolezza, possa scegliere a nome di tutti.
Assistiamo al fallimento di un metodo, che è appunto quello di pensare che un’élite di esperti possa scegliere a nome di tutti.
Senza per questo esautorare il ruolo degli esperti e la loro funzione fondamentale, appare quanto mai necessario che le decisioni tornino ad essere oggetto di dibattito pubblico e demandate a organi democratici. Dei vari Monti (“il governo – dei tecnici (nda) – deve educare il parlamento”), e dei Burioni (“la scienza medica non è democratica”) non ne possiamo davvero più. E a credere in loro ha smesso persino mia nonna.
La possibilità di una crisi di legittimità dell’ordine neoliberale non è mai stata cosi forte, eppure il suo superamento non è mai parso così di là da venire. Vuoi vedere che aveva ragione Fisher quando diceva: “è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”?
Sta di fatto che la crisi di legittimità potrebbe rappresentare un’occasione ghiotta per provare a disarticolare, pezzo per pezzo, l’egemonia neoliberale, a partire dai punti che ho evidenziato. Sta a noi la capacità di mettere in campo strategie e pratiche, materiali e discorsive, capaci di produrre una macchina da guerra in grado di scalfire le fondamenta dell’ordine neoliberale. Per poter andare al potere, alla fine di un decennio di lotte di classe, nonché in presenza di un sistema socialista ancora ben saldo che rappresentava allora un’alternativa storica, Thatcher e Reagan hanno dovuto lavorare parecchio. La cultura e l’ordine del discorso neoliberale non sono divenuti egemoni da un giorno all’altro, bensì è stato l’esito di un processo molto lungo.
Oggi, l’opzione antiliberista e contro-egemonica, è una possibilità viva, anche se ben celata. Si tratterebbe di portarla alla luce, di organizzarci per farla maturare e renderla attiva.
Eugenio Galioto
10/3/2020 www.senso-comune.it
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