L’epidemia sanitaria e quella politica

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Mi accingo a dare un seguito a quanto scritto sul numero di Lavoro e Salute di febbraio elaborato alcuni giorni prima del crack epidemico in Italia. Dopo i primi sei casi riscontrati nel’ormai celebre paesotto della bassa milanese / pavese mi trovai con alcuni amici impegnati nelle operazioni di intervento e mi scappò una frase “ se tra domani e dopodomani saranno registrati 50 casi saremo nel ciclone”. Ovviamente non per preveggenza ma per mero calcolo epidemiologico. Ed è stato così.

Gli eventi occorsi in Italia hanno dimostrato la estrema fragilità del nostro Paese in particolare sotto l’aspetto della reazione melodrammatica che si è svolta a tutti i livelli, compresa gran parte della popolazione di aree sfumatamente o non interessate, vedi gli assalti ai supermercati. Siamo ansiosi di vedere cosa accadrà negli altri paesi europei dove il numero di nuovi casi si sta affacciando sulla scena in queste ore.

La ridondanza della informazione sul problema ha completamente oscurato importanti temi che solo pochi giorni prima dei casi accertati nel nostro paese erano al centro del dibattito: migranti, femminicidi, memoria storica, economia…. La politica ha dimostrato timore, clamore, indecisione a parte alcuni provvedimenti essenziali e ovvii ( quarantena) o protagonismo. Finalmente si è lasciata la parola ai tecnici della protezione civile unici, a mio avviso, a dover fornire notizie ufficiali. Invece è accaduto che ciascuno ha cercato “protezione “ più in alto nel timore di sbagliare.

I politici nostrani hanno cercato l’ Europa, la sanità pubblica l’OMS, la protezione civile la presidenza del consiglio, e questo crescendo di voci (crescendo anche in autorità) ha disorientato i cittadini e prima di essi i nostri media. Questi ultimi sono caratterizzati da una scarsa capacità di inchiesta e di obiettività e sono, invece, come ci accorgiamo quotidianamente , una mera riverberazione delle indicazioni di un certo potere o delle chiacchiere superficiali che un comune cittadino farebbe, non dotato, suo malgrado, degli strumenti di analisi opportuni. Purtroppo anche molti esperti del settore sanitario in questione hanno fornito informazioni incomplete poiché privi delle complete conoscenze sul virus, anch’essi loro malgrado, ma noi sappiamo quanto una comunicazione incompleta da parte di un medico possa portare nel panico chi ascolta, anche se la imprecisione è giustificabile scientificamente. Le persone vogliono sapere; a) sono a rischio? È grave la malattia? Posso fare qualche cosa per evitarla? I miei cari sono a rischio?

A queste domande fin dall’inizio le risposte sono state quelle che tutti abbiamo ascolta.
Qualcosa però abbiamo imparato . Sapevamo già che in questo mondo è ormai impossibile mantenere un riserbo sulle notizie e quindi , di converso, qualora le notizie di fatti e circostanze ci giungano scarse o centellinate abbiamo il pensiero che si tratti o di un preciso disegno di contrasto della verità o di una indifferenza verso determinati eventi. Le informazioni sulla guerra di Siria, per esempio, hanno ripreso piede solo perché vi è la “minaccia” di una nuova ondata di profughi verso l’Europa occidentale, altrimenti delle bombe che quotidianamente mietono vittime tra i civili non se ne saprebbe nulla.

Abbiamo (forse) capito che la medicina non è quella certezza che credevamo, e che le vaccinazioni sono fondamentali per evitare il diffondersi di epidemie, così come abbiamo chiaro che siamo e saremo ancora preda di malattie infettive, abbiamo ritrovato quella fragilità individuale e di massa che potrebbe aiutarci ad essere più propensi verso la scienza.
Abbiamo capito che l’agente patogeno circolava da tempo rispetto alla esplosione della epidemia, e , nonostante gli appelli dell’organizzazione mondiale della sanità di vigilare nei periodi interepidemici, vivevamo sonni tranquilli. Solo ora , mentre scrivo, viene detto che il virus in Italia circolava da tempo.

Basta calcolare a ritroso partendo dal famoso R0 = 2,6 e riportarlo indietro ad un punto zero con il numero dei casi, creando un algoritmo che preveda tempo di incubazione, concentrazione della popolazione, ecc…ecc.. Non chiedetemi come costruire il calcolo integrale perché la matematica non è il mio forte, ma vi assicuro che chi sa costruire l’algoritmo conosce bene la cinetica epidemiologica. Allo stesso modo in Cina il ceppo virale probabilmente “vagava nel vento” da molti mesi, prima di Natale.
Cercando di attenersi ad una valutazione la più obiettiva possibile tenendo fuori il personale parere di ogni specialista, questa esperienza ancora in corso dovrà essere assunto come un impegno inderogabile nel prossimo futuro poiché le epidemie saranno una delle tante sfide che ci attendono in medicina così come la diffusione di germi multi resistenti fino alla emersione di nuovi patogeni fin qui sconosciti.

Duole doversi soffermare anche sullo scarso affollamento dei nostri Pronto Soccorso a causa della paura del “contagio” intraospedaliero . Questo fatto induce a ritenere che, come da molti operatori viene affermato, nei Pronto Soccorso gravitano persone che non hanno necessità di cure di urgenza. Dovremo presto ragionare quindi anche su questo dato, per prendere provvedimenti drastici verso l’inadeguato utilizzo dei DEA, verso le manifestazioni di intemperanza nei confronti del personale sanitario e verso il rovinoso accanimento contro il nostro servizio sanitario pubblico, così come è mandatorio ragionare sul fatto che, nonostante la legge lo preveda, i nostri DEA e gran parte dei nostri presidi ospedalieri non hanno percorsi dedicati, personale esperto e luoghi di cura sufficienti per i malati di patologie infettive diffusibili. Quindi è indispensabile provvedere a diffondere, rinforzare e adeguare nei presidi e sul territorio le Unità Operative di malattie infettive. Un altro insegnamento è relativo al terreno friabile sul quale frana la sotra struttura di prevenzione anche questa sotto dotata e priva di sufficiente personale per attuare tutte le misure di prevenzione indispensabili Pensiamo per esempio all’isolamento fiduciario.

Questa modalità di prevenzione non è un mero tenere a casa le persone sulla fiducia, bensì un preciso meccanismo di intervento che prevede luoghi adeguati di quarantena e di isolamento , quasi mai domiciliari stante le caratteristiche abitative richieste, e necessita di personale di prossimità formato alle specifiche modalità di sorveglianza, assistenza e cura dovute ai soggetti esposti, che in questa epidemia riguardano in particolare gli anziani con i loro molteplici problemi sia fisiologici che psicologici oltre che personali.

Una epidemia è giocoforza politica, poiché colpisce il singolo ma anche la società e la risposta coordinata sul territorio è una azione determinata dalla politica sanitaria. Questa non può essere inventata sul momento perché, come una guerra (purtroppo) merita pianificazione, preparazione, strutture e personale. Il cittadino ha compreso che non esisteva un piano di intervento in caso di epidemia, il personale “preparato” era ed è limitato, e le strutture in genere insufficienti o inidonee. Dovremo porci il problema di adeguare, grazie a questa crisi, le nostre capacità di intervento, senza bisogno di sovradimensionare ma piuttosto di ripensare, anche strutturalmente , alle nostre formazioni sanitarie in gran parte obsolete anche nei manufatti.

Siamo tutti convinti che la inventiva e la pervicacia italiana consentirà un rapido annullamento dei danni provocati dalla epidemia. Questa convinzione non deve però far perdere di vista i principi dell’intervento di prevenzione che debbono restare fondamentali, anche in un mondo globalizzato, o ancor di più in un mondo globalizzato: il primo è la messa in quarantena delle aree infette e l’impedimento negli spostamenti. E’ già stato detto che è stato opportuno abolire parte degli spostamenti in particolare per via aerea, e come ha fatto il nostro Paese questo intervento è stato adottato da numerose compagnie aeree mondiali, a scanso di equivoci, quindi, non siamo stati i soli. Anche se incompleto, lo stop agli spostamenti in un momento che si pensava critico, è servito ad abbattere notevolmente il numero dei nuovi possibili vettori e dei focolai introdotti.

Solo gli epidemiologi ci potranno dire per quanto tempo questo intervento sarà utile, e lo potranno affermare con certezza solo quando si conoscerà a fondo la dinamica naturale del virus, fermo restando che resti valida la modalità di trasmissione attualmente nota e che non vi siano o non vi siano stati, per esempio, focolai veterinari. Un secondo intervento è la vaccinazione e questo, eliminando una volta per tutte le obiezioni antiscientifiche di persone disinformate, deve essere un cardine della ricerca in medicina e nel nostro Paese. Questo settore deve essere potenziato, anche perché può sostenere una nuova politica industriale e renderci competitivi non solo nell’uso dei farmaci e delle tecnologie sanitarie, ma anche nello loro
invenzione e produzione.

Infine va rimarcato il danno alla nostra economia in particolare agli autonomi e alle aziende. Senza una seria manovra a deficit che sfori anche pesantemente i vincoli di bilancio imposti dall’UE questa emergenza piegherà il Paese . E oltre al danno avremo anche la beffa di dover pagare ulteriore dazio quando usciranno i dati macroeconomici del primo trimestre. Intanto già all’orizzonte si prepara la disputa sulle nuove masse di migranti che premeranno alle frontiere.

Roberto Bertucci
Infettivologo

Redazione Lavoro e Salute
Torino 29/2/2020

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