QUALE PENA PER CHI HA TAGLIATO LA SANITA’ PUBBLICA?
Ora sull’indispensabilità della sanità pubblica abbiamo grossi partner mediatici concorrenti ma sarebbe facile per noi scartarci da tanto buonsenso indotto- dal coronavirus- è affermare “Lo diciamo da oltre 35 anni con questo giornale autoprodotto (assieme a pochissimi altri) e lo affermiamo, con cognizione di causa, che il servizio sanitario nazionale e stato debilitato dai tagli che ogni governo da decenni, chi più chi meno, opera per favorire la crescita delle strutture private”.
Ora chi ha maltrattato la sanità pubblica ora, dimostrando una faccia tosta incredibile, dice che “l’hanno de finanziata ecco perché è al collasso di fronte al virus” addossando ad altri la colpa. Uno scaricabarile pazzesco, addirittura il maestro dei tagliatori, Mario Monti, afferma candidamente che sarebbe servito finanziarla adeguatamente invece che tagliarla.
Possiamo far risalire al 1999 l’inizio pianificato dell’attacco al Servizio Sanitario Nazionale (prima, dal 1978, ci sono stati boicottaggi istituzionali come di figure dirigenziali amministrative e mediche). L’allora governo di centro-sinistra emanava una legge, che modificava profondamente il diritto alla salute con la legge 133/1999 si disponeva la soppressione dei trasferimenti statali nella spesa sanitaria corrente sostituiti da nuove entrate regionali. era l’epoca della montante fanfara sul federalismo fiscale tanto caro alla Lega Nord.
Ma torniamo ad oggi però memorizzando il passato perché senza i passaggi che hanno determinato questa situazione non è possibile districarsi nel fiume impetuoso di oggi. L’archivio di lavoroesalute.org serve a tale scopo. Volendo fare un riassunto per chi rischia di perdersi nei numeri, ecco lo
stato delle cose: oltre 70.000 posti letto negli ultimi 10 anni. L’attuale rapporto di 3,7 posti per mille abitanti è nettamente inferiore ai 6 posti letto francesi o agli 8 della Germania.
Mentre il ricorso al precariato, come tappabuchi dei malridotti organici prima citati, è cresciuto tra il 2014 e il 2015 di circa 3.500 unità per complessivi 43.763 lavoratori, tra cui 9.500 medici.
In poche parole, oggi mancano complessivamente (sono dati per difetto non essendoci più un unico SSN ma 21 quante sono le regioni) 56.000 medici e 50.000 infermieri, tra il 2012 e il 2017 sono stati chiusi 759 reparti ospedalieri per cui oggi si registra che: in Italia ci sono 5,6 infermieri per abitante mentre in Francia il rapporto è di 10,5 per abitante e in Germania 12,6.
Da questi numeri è facile passare allo snaturamento della ragion d’essere di un ospedale pubblico come disegnato dalla legge di riforma 833/78. Il binomio tagli/inappropriatezza si è radicato nella programmazione e nelle scelte collegate, dai famigerati DRG alla legge all’attività privata intramoenia, destabilizzando anche la funzione stessa dell’ospedale.
In merito citiamo un passaggio di un recente articolo del prof, Ivan Cavicchi sulle problematiche poste dall’emergenza coronavirus:
“La cosiddetta politica di deospedalizzazione seguita negli ultimi decenni, ha finito con il deformare la funzionalità interna degli ospedali creando un mucchio di inappropriatezze. Spesso nelle terapie intensive vi sono malati impropri che dovrebbero stare altrove, per esempio nella medicina di urgenza, spesso nella medicina d’urgenza vi sono malati semplicemente di medicina, spesso nei reparti di medicina vi sono malati che potrebbero stare nelle ras.”
Di fronte a questa realtà la strada da perseguire inizia dai perché per arrivare a come porre rimedio.
Primariamente chiediamoci perché non s’investe sulla formazione che legata al blocco del turn over e quindi delle assunzioni hanno prodotto una situazione di disagio e stress lavorativo che si declina in schiavitù.
Ora sono definiti eroi, anche dai carnefici della sanità pubblica,
e pare proprio una presa per i fondelli, quel buonismo a buon mercato che si concede con la stessa facilità con la quale si sono concesse in questi decenni accuse tipo fannulloni, assenteisti, furbetti del cartellino, etc., etc., rivestendo il tal modo il ruolo di grancassa dei disegni privatizzatori.
Ora, non è questione di fantapolitica complottista ma è appropriato parlare di esperimento, non programmato, di attuazione di una prassi della sorveglianza sociale mediante l’induzione al panico di massa sfruttando questa epidemia?
E non è solo una visione restringibile nei confini italiani (anche se noi abbiamo la primogenitura della loggia massonica P2 con i suoi programmi di debilitazione della democrazia e delle sue articolazioni sociali, vedi il Servizio sanitario pubblico).
Il disegno restauratore di un clima politico e sociale antecedente alle lotte di liberazione degli anni 60 e 70 è portato avanti in altri grandi Paesi ricchi.
Un discorso a parte va fatto sulla reazione di massa, seppur indotta dallo spregiudicato uso dei mezzi di comunicazione che non hanno permesso un governo razionale dell’emergenza.
E’ scattata la paura di massa per un virus un molto più più aggressivo delle classiche influenze che ogni anno fanno oltre 7mila morti in Italia tra la popolazione anziana e quella debilitata da altre patologie.
I timori si sono trasformati in una psicosi virulenta causata da una spregiudicata e colpevole invasione nelle case del virus dell’allarmismo mediatico, quegli stessi mezzi che hanno trasformato l’informazione sui fatti reali in comunicazione mainstream che se ne frega delle radicate emergenze di questo Paese debilitato dalle politica di austerità e privatizzazione (anche del diritto alla salute) alla scelta
secessionista tramite l’Autonomia Differenziata, dalle migliaia di morti sul lavoro ai tantissimi morti di cancro causa inquinamento (a iniziare dai bambini di Taranto).
Cito solo dei dati – ognuno la libertà di connetterli alle vittime del coronavirus, senza appesantire lo sforzo concettuale con i tre morti al giorno sul lavoro – che dovrebbero indirizzare ogni argomento su quelle che vengono definite “emergenze”: ogni anno in Italia l’inquinamento miete 76.200 vittime secondo gli ultimi dati messi in fila dall’Agenzia europea dell’ambiente: l’Italia è infatti il primo in Europa per morti premature da biossido di azoto (NO2) con circa 14.600 vittime all’anno, ha il numero più alto di decessi per ozono (3.000) e il secondo per il particolato fine PM2,5 (58.600). Siamo i primi in Europa e gli 11esimi al mondo.
Sono quasi 1.500 tumori l’anno, con un aumento del 28 per cento rispetto al 1990. Sono numeri diffusi dall’Istat che riguardano Taranto (l’ultimo dato si riferisce al 2014) estrapolati da report della Lilt di Lecce. L’associazione, da anni impegnata a monitorare i dati epidemiologici riguardanti la mortalità oncologica.
Questi non sono numeri da slide ma persone di fronte alle quali le istituzioni e i grossi mezzi di comunicazione hanno fatto orecchie da mercante imbruttendo il rapporto con la società sofferente.
E anche sul coronavirus stesso atteggiamento sui numeri di un dossier di epidemiologi internazionali “a world at risk” (Un mondo a rischio) che mesi prima del Coronavirus metteva in rischio il mondo da infezioni polmonari letali e a fine estate 2019 indicava “minaccia reale di una pandemia di un agente patogeno respiratorio altamente letale”.
Un dossier che parla anche dei ritardi del nostro paese in materia di comunicazione del rischio e di prevenzione, qualcuno di voi ne ha mai sentito parlare in Tv o sui giornali?
Il coronavirus servirà a imbruttire ancor di più le relazioni sociali? Probabile ma impediscano risposte politiche
autoritarie atte a controllare e disciplinare la vita delle categorie sociali di massa per costruire una quarantena mentale duratura propedeutica a un regime politico della precarietà, non solo nell’ambito lavorativo ma in ogni spazio comunitario che per ampliare all’ennesima potenza l’individualismo, la paura dell’altro (non più solo i migranti). Una goduria politica per i sovranisti nostrani.
Quindi affermo, senza particolari dubbi, che non è possibile non vedere questa crisi come una questione politica e non solo, anche se primariamente contingente, una questione sanitaria. Come politica è la spiegazione di quanto stiamo vivendo, cioè il risultato di atti politici criminali, dai tagli alla sanità e alla distruzione dei diritti del lavoro che hanno permesso il dilagare dell’ingiustizia in tutti i segmenti, da quelli sociali a quelli politici, dentro i quali sono emersi i mostri di una politica paludosa, da Berlusconi a Bossi, da Renzi a Salvini, da Grillo alla Meloni.
Veri e propri virus contagiosi nei loro messaggi distruttivi per la convivenza civile. Gli altri virus ci sono sempre stati e la scienza è servita a combatterli e contenerli, ma è sempre più facile che si ripresentino spesso causa un mondo globalizzato sulle merci e sullo sfruttamento invece che sui diritti del lavoro, della salute e sulla libertà dell’interlocuzione tra i popoli. Tutto quando è stato de regolarizzato inibendo ogni legge di salvaguardia del benessere e del diritto a difenderlo, questo afferma l’ultimo, in ordine di tempo, dei crimini del liberismo conosciuto, solo dalla sfera politica e associativa impegnata a combatterlo, con gli acronimi TTIP e CETA.
Assodato, ma lo si sapeva già all’inizio, che il coronavirus si poteva affrontare con il sistema sanitario nazionale anche non certo, dipenderà dalla capacità dei singoli e delle comunità associative di mettere in atto contromisure che se con difficoltà perché crepato da anni di tagli, dobbiamo chiederci se con la consapevolezza, ormai maggioritaria,
del bisogno vitale di un Servizio Sanitario Nazionale viene meno la forza dei privatizzatori.
Purtroppo non credo, il pessimismo è basato su questo sistema politico talmente influenzato dagli interessi del capitale finanziario e industriale, come degli interessi delle multinazionali, che non vorrà fermare nei fatti (a parte qualche strombazzata misura temporanea che rischia di scemare come le nuove assunzioni in sanità) il processo ultra decennale di tagli per la privatizzazione.
Ad esempio, il secessivo cammino dell’Autonomia Differenziata subirà un forzato e contingente rallentamento o uno stop definitivo dando serietà alle parole di amore per la sanità pubblica di questi giorni?
Tutte queste domande cozzano con la sovranità dell’economia capitalista, dai morti sul lavoro ai morti di tumori per inquinamento, cioè migliaia di morti all’anno, anzi loro affermano che è costo da pagare obbligatoriamente, ed è per questo che la crisi emergenziale di questi giorni tenteranno di trasformarla in paletti politicamente infettivi per ottimizzare il controllo sociale in atto da anni.
Ad esempio la Fornero afferma che la nuova stagione dei “sacrifici per far fronte alla situazione eccezionale” a conferma che il neoliberismo continuerà a ringhiare per continuare la sua opera distruttrice.
Fermarli si può, a iniziare dal chiedere una pena per i responsabili politici, non parliamo di carcere ma di inibizione perenne dalla gestione della cosa pubblica e la restituzione allo Stato di quanto percepito durante il dannoso mandatio politico.
A che serve una pena retroattiva? Intanto tenere lontano dalle nostre vite questa fauna politica e poi dare un segnale forte agli attuali, e futuri, governanti nazionali e locali.
Mi rendo conto che oggi è fantapolitica, però se nel dibattito politico e nelle discussioni di strada, sui luoghi di lavoro e di studio se ne discutesse sarebbe già un passo avanti nella presa di coscienza che l’impunità dei potenti ha un limite e la si può aggredire per abbatterla politicamente, in questa Italia dove i potenti non pagano mai i loro crimini mentre li strapagano i piccoli che “sgarrano” secondo la legge dei potenti, basta citare il caso dei NoTav.
Franco Cilenti
Editoriale del numero di marzo di Lavoro e Salute
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