Il virus del capitalismo patriarcale
Una insostenibile pesantezza dell’essere ci accompagna da ormai troppo tempo in questi mesi di coronavirus. Pesantezza che si accalca, senza distanziarsi, sugli insostenibili disagi di chi già non aveva una casa, un lavoro, non aveva acqua e cibo, una relazione soddisfacente, le guerre, le torture, le mutilazioni genitali femminili, le violenze di genere, i femminicidi, di chi fa il lavoro di cura di persone non autosufficienti, delle vittime di pedofilia e su altre epidemie, mai sconfitte, sparse nel mondo.
Si vive in una specie di bolla, sospesa tra passato e presente. Una bolla pandemica i cui effetti, connessi ad una crisi economica e sociale devastanti, si ripercuotono soprattutto sulle donne e sui loro molteplici ruoli nella società. Nessun paragone però, su nessuna guerra mondiale è possibile addurre. Intanto perché di guerre ce ne sono svariate in giro per il pianeta e, per due motivi fondamentali. Il primo è che nelle guerre si mandano le persone con le armi ad uccidere “un supposto nemico”, si massacrano interi popoli, si stuprano le donne, si vendono le armi e si cerca di affermare un dominio imperialista, con la menzogna di esportare una qualsivoglia forma democratica di governo. Il secondo perché nelle due guerre mondiali per esempio, si sono contati decine di milioni di morti e, durante i conflitti tanta gente, non tutti, morivano davvero di fame e di stenti, vivendo lutti mai sopiti, con intere famiglie cancellate, con madri, padri, sorelle e fratelli che non hanno più visto tornare i loro figli. Guerre come igiene del mondo e oggi come immunità di gregge. Epidemie create ad hoc oppure vere pandemie non classificabili certo come catastrofi naturali.
In questo forse si può ravvisare un elemento in comune con il coronavirus: anche oggi si vivono lutti infiniti, con il virus che ha sterminato intere famiglie, tra giovani e moltissimi vecchi. Persone che si sono viste partire in ambulanza, senza poterle accompagnare e confortare, senza poter dare loro l’ultimo abbraccio e saluto. “Restituito a te lo scettro prima del tempo, che importa all’anima ormai di nutrimenti e vivande! Giovinezza mia. Mia molestia! Mio brandello di rosso cotone” Marina Cvetàeva dal libro “Indizi terrestri. Se pensiamo all’etimologia della parola anziano da Anthea, la dea greca e/o il significato che gli si attribuisce di contrario o ostile, dovrebbe essere qualcuno che si oppone alla giovinezza; in realtà l’anzianità ne è una diretta conseguenza e continuazione. Le guerre vere, dal 1945 ad oggi, si sono susseguite lo stesso anche o insieme al diffondersi delle epidemie. Nessuna tregua, neanche ora, per far cessare quelle che chiamano ostilità, in medio oriente, in Africa o altrove.
Sotto questa malattia terribile, sono scomparsi, in gran parte, proprio quelli che avevano fatto la prima e la seconda guerra mondiale. Persone, considerate improduttive e ormai anziane dalla società, magari ricoverate in case di cura. “Se muore un anziano è come se morisse una intera biblioteca”, forse saggezza indiana; se muore un giovane, di converso è come se morisse il futuro.
Ma il diritto ad una esistenza dignitosa appartiene a tutte e tutti, qualunque età anagrafica abbiano. Tutti sentiamo il peso di questa galera forzata, indispensabile per contenere il contagio, ma dovremmo utilizzare il tempo per ribellarci in qualunque forma che tutto torni come prima. Cioè un mondo spolpato dal capitalismo, pieno di ingiustizie, con una economia affamatrice dei più deboli, un mondo senza pace, maschilista sino al midollo che non riconosce libertà ed autonomia alle donne e che le ricaccia a fare le solite vestali della casa e della comunità.
“Il vero viaggio di scoperta” scriveva Marcel Proust “non consiste nel cercare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi”. La speranza che riponevano molti di noi, era e rimane quella che, l’esperienza brutale della pandemia, aprisse occhi, cuori e menti per profferire pensieri e modi di vivere differenti. Non siamo liberi di muoverci, di viaggiare, ma le vere libertà sono altre: la libertà di scelta, di pensiero, la libertà di essere liberi dal bisogno.
Le parole quando vengono usate per raccontare, per comunicare e non per comandare, creano davvero flussi di comunità e si contrappongono alla barbarie dell’annullamento dell’altro.
Molti hanno preso come imposizioni le giuste regole di prevenzione del contagio virale. Meglio prevenire che curare, meglio vivere che morire. Molti hanno pensato solo al loro orticello ed ora si ammassano, non solo non tenendo le regolari distanze, ma per correre ad una riapertura di tutte le attività commerciali, industrie, sport, per poter tornare a lavorare e avere reddito, altri a divertirsi, ad ubriacarsi e a drogarsi magari, frequentando in tanti discoteche, ristoranti, movide. Chi di noi non ha desiderio di ricominciare a vivere, voglia di benessere, chi non ha voglia di ricostruire? Chi vuole stare in clausura per periodi inenarrabili? La coscienza personale e civica dovrebbe prendere il sopravvento sugli egoismi personali, ma non è così. Chi, ancora, non vuole che riprenda l’economia? Parliamo allora di una economia che dovrebbe sempre basarsi non sul profitto, di uno stato che non dovrebbe sempre scaricare sulle donne tutto il welfare che non dà. Una economia che faccia investimenti, politiche industriali, che non permetta licenziamenti e delocalizzazioni delle attività produttive. Una economia che difenda i deboli e li rafforzi e soprattutto una economia e una politica che mettano il diritto alla salute pubblica in costituzione magari. Una economia che non costringa le donne nelle mura domestiche per non farle lavorare fuori casa. Una economia che veda lavorare tutti lavorando meno, che veda aziende in cui i lavoratori si autoriducono lo stipendio per non far cacciare i loro compagni. Una economia che non distribuisca diseguaglianze e uccida l’ambiente.
Una economia che concepisca un reddito non solo di sopravvivenza e che metta euro nelle mani di tutti coloro che ne hanno bisogno e, delle piccole e medie imprese di tutti e in particolare delle imprese femminili, per ricominciare.
Il paese, il pianeta è diventato una ISOLANOTTE dal titolo di un libro di poesie della poeta Edda Billi “Per un’alba che non ricordo più, confusa nel tramonto mi stringo al petto tutto il dolore del mondo e un libro dalla copertina rossa”.
Dai media abbiamo saputo, qualcosa che supponevamo e cioè che il virus creato in un laboratorio militare cinese, sia “scappato” inconsapevolmente. iniziando ad infettare. Sono esistete le guerre batteriologiche ed esistono. Non sappiamo se sia vero o sia una fake news come si usa dire. Vedremo.
Ci ricordiamo tutti l’HIV che ha ucciso negli anni ‘90 migliaia di persone, non solo omosessuali. La diffusione del preservativo avrebbe salvato il contagio e molte vite, ma sia omo che etero non li usavano: gli etero perché credevano che l’HIV riguardasse solo gli omosessuali.
Questo coronavirus riguarda tutti e se dobbiamo portare guanti e mascherine e stare distanti lo dobbiamo fare, sperando in un tempo circoscritto. La distanza vera fra le persone avviene dentro, nelle voci interiori mai fatte uscire, nella incomunicabilità, nel disamore e nel pregiudizio. Auspichiamo il ritorno al lavoro, allo studio, nella massima sicurezza, il ritorno degli abbracci, delle carezze, delle strette di mano, degli sguardi, della gestualità, del contatto fisico e non solo, ma prima, ripristiniamo una mente sana in un corpo sano. Solo così potremmo rivivere e continuare a lottare per un mondo differente.
Gina Di Francesco
20/4/2020 http://www.womenews.net
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