Lavoro, poco smart e molto precario
In un suo breve intervento, pubblicato sul sito collettiva.it Il segretario generale della GCIL Funzione Pubblica, Serena Sorrentino affronta i problemi sollevati dall’espansione delle forme di lavoro remoto durante la quarantena imposta per limitare la diffusione della pandemia Covid-19.
“Durante la pandemia tante lavoratrici e lavoratori hanno continuato a lavorare per garantire i servizi essenziali ai cittadini – esordisce -. Nel settore pubblico, al netto della legge 81 e dei decreti del governo, adesso è più che mai necessario disciplinare le parti normative e soprattutto alcuni diritti contrattuali: per primo il diritto alla disconnessione. Molti addetti hanno operato con fasce orarie autogestite, oppure attraverso accordi di implementazione dell’orario per garantire ogni servizio. È il momento di definire le regole sui tempi, le pause, lo stato psico-fisico del lavoratore”.
C’è poi un aspetto di carattere economico e normativo: “Bisogna affrontare la questione dei buoni pasto e del salario accessorio. In generale dobbiamo inaugurare un vero lavoro agile: una prestazione che non sia legata all’ambiente di lavoro, ma consenta maggiore flessibilità, che non sia solo una misura di conciliazione ma anche uno strumento di benessere organizzativo”. Per fare questo la Fp chiede un accordo quadro nazionale: “Pensiamo sia indispensabile per adattare la struttura contrattuale alle esigenze dello smart working“, dice il segretario. (…)
“Visto il contributo dei lavoratrici e lavoratori pubblici nella fase emergenziale, e con la ripresa delle attività prevista nella Fase 3, abbiamo bisogno di strumenti adeguati di valorizzazione economica e professionale. Che deve avvenire con il rinnovo del contratto nazionale: per questo guardiamo con preoccupazione alla legge di bilancio, che finora nel dibattito non prevede l’aumento delle risorse per i rinnovi pubblici”. L’ultima ex Finanziaria prevedeva per il 2019-21 un aumento di 87 euro medi: “La cifra è assolutamente insufficiente”.
Sino ad ora ‘’art. 90 intitolato come e dedicato al ‘Lavoro agile’ del DL 34/2020 ( c.d. Decreto Rilancio) convertito con modificazioni dalla L. 17 luglio 2020, n. 77 ne delimita l’istituzione al periodo che arriva al 31 dicembre 2020.
In queste dichiarazioni sono contenuti in sintesi i nodi della condizione dei lavoratori, tanto del settore pubblico quanto di quello privato, che praticano il lavoro remoto, impropriamente sempre definito come smart working.
In questi mesi c’è stato modo di leggere o venire a conoscenza di testimonianze diverse di esperienze di lavoro da casa, legate alla funzione del lavoratore, alla tipologia di organizzazione cui appartiene, alla condizione familiare. Di contro quanto l’impresa o la pubblica amministrazione hanno modificato il proprio flusso lavorativo, conservato coerenza e completezza dell’organizzazione? Quanto e cosa dei nuovi assetti organizzativi diventerà componente permanente dell’organizzazione?
Secondo il fact-sheet del 16/06/2020 dal titolo ‘Lavoro agile in situazioni emergenziali – Applicazione di un modello “ibrido” tra lavoro agile e telelavoro’ – realizzato dal Dipartimento innovazioni tecnologiche, sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici (Dit) dell’Inail- c’è una distinzione fondamentale tra due tipi di lavoro a distanza, già citati nel titolo.
Telelavoro: è una forma volontaria di lavoro a distanza, nell’ambito, per quanto di nostro interesse, di un rapporto di lavoro subordinato, che incide sugli aspetti organizzativi dell’attività lavorativa, il cosiddetto decentramento produttivo.
Lavoro Agile: è una modalità esecutiva del rapporto di lavoro subordinato, basata essenzialmente su un obbligo di risultato che si realizza attraverso un accordo scritto tra le parti (datore di lavoro e lavoratore). Tale accordo disciplina l’esecuzione della prestazione svolta all’esterno dei locali del datore di lavoro, l’esercizio del potere direttivo, gli strumenti di lavoro, tempi di riposo, ecc.
Per i ricercatori del Dit, l’adozione massiva del lavoro agile dal contesto di necessità imposto dall’emergenza, ha determinato l’applicazione di una modalità di lavoro a distanza che può essere definita come “una via di mezzo” fra il telelavoro e il lavoro agile, integrando i requisiti essenziali e tipici dei due modelli.
“La velocità imposta dal cambiamento obbligato dall’emergenza ha comportato, nella maggioranza dei casi,
una sovrapposizione tra ambiente domestico e ambiente di lavoro, senza un’adeguata preparazione dei
lavoratori alla visione organica del rischio in un contesto, di fatto, familiare, in cui la convivenza obbligata
dettata dall’emergenza, rende la gestione del lavoro complessa.”
Arriviamo, secondo il report, ad una situazione paradossale.
“In questo senso, senza avallare una automatica deresponsabilizzazione del datore di lavoro, il lavoratore agile della fase emergenziale, è coinvolto sempre di più in un’auto-responsabilità comportamentale e a sua volta è promotore di una formazione condivisa con gli altri membri del nucleo familiare, ai fini della prevenzione.”
Il report segnala l’emergenza di una terza forma di lavoro a distanza, una forma cooperativa.
“Oltre alle forme di lavoro agile e telelavoro, l’emergenza ha rappresentato, per molti lavoratori, l’esperienza di una terza modalità lavorativa: un “coworking” tra individui responsabili della propria attività, autonomi, di diversa età, trasformando l’ambiente domestico-lavorativo in un maker space”
Una inedita, radicale e veloce trasformazione imposta dall’emergenza
‘La velocità imposta dal cambiamento obbligato dall’emergenza’ ha indubbiamente creato una situazione complessa in cui l’estensione delle ‘forme ibride’ di lavoro a distanza richiede quell’intervento normativo di cui parla la giovane segretaria della CGIL PA, tuttavia la conseguenza sarà il permanere di alcune situazioni e l’avvio di processi di cambiamento dell’organizzazione del lavoro. È necessaria, per poter comprendere la nuova situazione ed intervenire in essa, una ricerca capace di descrivere le forme concfete di organizzazione del lavoro che si sono create, oltre la disponibilità dei dati quantitativi complessivi.
Il fact-schet del Dit infatti conclude “Nel contesto emergenziale del Covid-19 – si sono verificati scenari inaspettati di adattamento del lavoro, in tempi brevissimi. Le soluzioni adottate hanno consentito il proseguimento di molte attività produttive e le tecnologie hanno permesso un adeguamento, nella contingenza, capace di superare alcuni limiti della normativa di riferimento”. Per gli autori del documento di ricerca, “il lavoro agile che si è declinato in questo scenario emergenziale, rappresenta un’occasione di riflessione e futura sperimentazione, al fine di perfezionare ulteriormente il lavoro a distanza, con una particolare attenzione a uno sviluppo delle tecnologie integrate a quelle operative, per accompagnare la tutela del lavoratore”.
Uno straordinario campo di ricerca che è necessario esplorare, laddove il metodo non può essere che quello della ricerca-azione da parte delle organizzazioni dei lavoratori intese in tutte le loro declinazioni possibili: ricerca, lotta, auto-organizzazione, ricerca.
Stiamo ripercorrendo le trasformazioni indotte dalla crisi pandemica nella condizione dei lavoratori, il lavoro a distanza è una sezione del ‘mercato del lavoro’ di quella realtà fatta di lavoro, non-lavoro, lavoro precario e informale.
Il giornale della CEI L’avvenire fa a sua volta un suo viaggio in quella che che definisce la ‘pandemia sociale’ in diverse città, ecco dalla prima:
“Due numeri e un’immagine. È quello che rappresenta l’aumento della povertà a Roma. Effetto Covid, che ha però aggravato una condizione già ad alto rischio. I numeri sono i circa 7mila nuclei familiari che si son rivolti al centralino che la Caritas diocesana ha attivato proprio per l’emergenza Covid-19. E le 6mila famiglie che vanno a prendere i pacchi alimentari nei 30 centri appositamente aperti dalla Comunità di Sant’Egidio in tutta la città.
(…)
«Da tempo avevamo denunciato un aumento della povertà a Roma. Ora siamo di fronte a un’accentuazione di situazioni che erano già ai limiti – spiega Elisa Manna, curatrice del rapporto sulla povertà della Caritas diocesana –. A novembre 2019 scrivevamo degli “equilibristi della povertà“. Parlavamo di un imprevisto che avrebbe fatto precipitare una fascia della popolazione. Ma immaginavamo fatti personali che avrebbero potuto far sprofondare queste persone nella povertà, non immaginavamo un’epidemia. Il Covid è stato l’imprevisto collettivo che ha provocato lo scivolamento»
(…)
Col lockdown ‘i più colpiti sono stati gli anziani, le famiglie con bambini, le donne, le persone che avevano bisogno di terapie, in particolare psichiatriche. Tra chi è venuto a chiedere i pacchi alimentari troviamo chi ha problemi con la cassa integrazione, colf e badanti, collaborazioni a progetto che sono saltate, la filiera del turismo e della ristorazione, quelle dei trasporti e delle pulizie. Quelli che arrotondavano lo stipendio con altri piccoli lavori, non per un di più ma per arrivare alla fine del mese’”.
“Sant’Egidio prima del Covid aveva tre mense a Trastevere. Ora ha 30 centri di distribuzione di pacchi alimentari in tutta la città. Aperti un giorno alla settimana. A Cinecittà il sabato. Alle 15 c’è già una lunga fila che va avanti fino alle 18. Tutto ordinato e tranquillo. Aperto il 25 aprile, accoglie ogni sabato 200 persone. In tutta la città sono più di 6mila i nuclei familiari a ricorrere ai centri di distribuzione[1]”.
Una lunga serie di storie che, al di là dei numeri illustra gli effetti della catastrofe sociale che ha investito interi settori economici e strati sociali. La formazione sociale italiana, afflitta da stagnazione storica, rischia non solo una recessione, ma quasi con certezza una disgregazione di filiere, territori ed aree sociali, nonostante le iniezioni di reddito ed i finanziamenti forniti ai settori più in crisi[2], nei quali possono solo attenuare gli effetti delle chiusure di attività e la crescita verticale dei livelli di indebitamento.
Nell’articolo Guerre stellari digitali abbiamo scritto: “La crisi pandemica non solo ha immiserito la stragrande maggioranza dei lavoratori, dipendenti e indipendenti, ma ha rivelato come la composizione la struttura della produzione, della distribuzione e dell’amministrazione, assieme agli assetti urbani, non potranno tornare come prima.”
La catastrofe informale
Questo è tanto più vero quanto più la ‘pandemia sociale’ ha investito ogni angolo della ‘economia mondo’ con proporzioni diverse e con una esasperazione delle diseguaglianze.
Le misure di blocco delle attività, della circolazione di cose e persone hanno impattato pesantemente tutte le economie, le diverse filiere produttive, commerciali ed amministrative. La pratica del lavoro da remoto, più o meno agile più o meno smart, si è incrementato globalmente in un modo mai visto prima, in misura maggiore l la crisi ha investito centinaia di milioni di persone dall’india, al Brasile, poste nella condizione del lavoro informale, che non hanno quasi mai conosciuto i forme di integrazione del reddito in base alla dissoluzione delle attività in cui erano impiegate.
L’esodo biblico indiano
In India la dichiarazione del lockdown del 25 marzo ha coinvolto circa 1 miliardo e 300 milioni di persone. Questa misura ha chiuso le possibilità di lavoro per la gran parte degli oltre 100 milioni di lavoratori dei settori informali che vivevano nei ghetti delle grandi città, trasformandoli da un giorno all’altro in profughi diretti verso i loro villaggi di origine[3]. Si allontanano dalle grandi città uomini, donne e bambini, ad ogni ora del giorno portandosi dietro le loro povere cose.
Stime basate su una indagine del 2017-18 sul mercato del lavoro in India valutano che ci siano oltre 415 milioni di lavoratori nel settore informale, rappresentando circa il 90 per cento della forza lavoro totale[4].
Un articolo del The Indian Express può dare una idea dei fenomeni di migrazione interna all’India[5], della loro composizione sociale. Un articolo di Al-Jazeera ci offre una serie di immagini più eloquenti di qualsiasi discorso[6].
In India non esiste solo l’enorme settore informale, attualmente la percentuale dei settori ad alta tecnologia è circa del 8% per cento del prodotto nazionale lordo ed il mercato delle imprese dell’ICT era previsto crescere ad una percentuale del 7% per i prossimi 5 anni, sotto i colpi della pandemia la previsione di crescita per quest’anno è del 3-5% , indubbiamente una percentuale significativa in questo contesto di crisi. Il settore ICT indiano fornisce per lo più servizi più che tecnologie di punta come la Cina e gli Stati Uniti, comunque fortemente integrato nel ciclo mondiale e capace di adattarsi alle nuove condizioni[7]. La distanza tra il settore dell’ICT, dell’alta tecnologia -che risponde alla domanda ei servizi cloud, della virtualizzazione, del processo di automazione tramite la robotica, alla trasformazione della forza lavoro ed alla richiesta di riduzione dei costi- è crescente nei confronti del settore informale dell’economia.
Brasile, latino america: domanda di reddito
Il Brasile, dove governa Bolsonaro, la pandemia sociale colpisce duramente il vasto settore del lavoro informale, scatena una crisi economica che rivela ed approfondisce le diseguaglianze sociali. Due settimane prima del manifestarsi della pandemia Covid-19 l’Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica (IBGE) ha pubblicato dati dall’Indagine Nazionale sulle abitazioni (PNAD) mostrando come circa 38 milioni di persone lavorano nel settore informale. In 11 ddei 27 stati più del 50% dei lavoratori sono nel settore informale. E quindi al difuori della protezione delle leggi sul lavoro. Oltre al lavoro informale un report recente dei ricercatori della Rede de Pesquisa Solidária stima che la pandemia dovrebbe impattare sino alla percentuale del 81% della forza lavoro nazionale, quindi mettendo in crisi la nozione di lavoro sicuro[8].
Questa condizione, sotto i colpi della pandemia, alimenta la discussione e la richiesta di forme di garanzie di reddito che risale in Brasile alla istituzione, con Lula al potere, della Bolsa Familia. Il 30 marzo il senato brasiliano ha approvato un provvedimento che istituito per tre mesi un ‘reddito di emergenza per i lavoratori del settore informale’ definito come ‘corona voucher’[9]. Il crollo del settore informale in particolare in America Latina ha rilanciato il dibattito e la richiesta di forme di protezione sociale[10].
Gli equilibri finanziari di molti stati sono sottoposti a fortissime tensioni e pongono vincoli alle risposte che i singoli stati possono dare ai bisogni indotti dalla crisi. Come risultato dello shock provocato dalla pandemia circa 100 paesi, gran parte di loro definibili come economie emergenti, stanno esplorando la possibilità di ottenere assistenza dal Fondo Monetario Internazionale o espandendo prestiti già in atto[11].
Stiamo entrando in una nuova fase della globalizzazione, una nuova tappa della evoluzione della economia mondo?
La sfera del digitale che innerva ogni processo di innovazione tecnologica, che governa l’estrazione di valore da ogni forma di vita e di relazione sociale, per un verso pervade ogni fibra del tessuto sociale per un altro verso si rinchiude in sé, marginalizzando una quota rilevante dell’umanità, sottoposta nella sua condizione informale alle maree ed alle tempeste dei cicli economici. D’altra parte quella sfera perfetta multidimensionale non potrebbe esistere senza il contributo di quel mondo di sotto, ci vorrebbe una illustrazione secondo lo stile della rivista di fumetti ‘Métal Hurlant’.
La diffusione inedita del lavoro a distanza provoca necessariamente nelle direzioni aziendali, non solo nelle organizzazione dei lavoratori, una riflessione sul suo utilizzo, sul suo impatto sull’ organizzazione aziendale.
L’articolo dell’Economist dal titolo ‘Working life has entered a new era’ osserva come i servizi di rete permettano il veloce download, la condivisione di documenti e le video conferenze, ricorda come negli anni ’70, in occasione degli scioperi durati 3 settimane in sostegno della lotta dei minatori ci furono tagli dell’energia e chiusura delle stazioni televisive. La fiducia negli uffici centralizzato non sarà mai più ripristinata, secondo l’articolo. La dirigenza di Twitter ha giò detto che sarà concesso a tutti gli impiegati di lavorare da casa per sempre, a Facebook si aspettano che ciò accada a metà dei dipendenti entro un decennio. Le stesse aspettative sono riportate dall’articolo del Wall Street Journal, ma come dicono titolo e sottotitolo The Shift to Remote Work Could Be a Big Swing and a Miss – Companies rushing to make remote work permanent may come to regret those decisions once lockdowns ease. Si riferisce che in due indagini nel mese di aprile un terzo dei dirigenti intervistati hanno riferito di un aumento della produttività come risultato dell’imposizione del lavoro da casa, tuttavia il lavoro in presenza permette forme di collaborazione in sittuazioni anche informali che la separazione virtuale non permette. Lo stesso Zuckerberg di Facebook afferma metà dei dipendenti vogliono tornare in ufficio il più presto possibile. In sostanza non si può dare nulla per scontato nell’organizzazione del lavoro fondata sulla rete e le tecnolgie digitali in genere, salvo che costituisce un terreno di contesa necessaria, di conflitto inevitabile dove la posta in gioco è la totalità delle condizioni di vita e di lavoro da sottrarre ad un controllo totalitario che arriva a governare le relazioni più informali e personali.
Sembra passato un secolo dai tempi in cui il ‘movimento contro la guerra’ veniva definito la ‘seconda grande potenza’, gli equilibri mondiali, le forme dell’economia mondo sono radicalmente mutati. Ben altra è la complessità che ai movimenti del terzo decennio del XXI secolo tocca affrontare. Gli equilibri precari in cui sopravviveva una parte importante dell’umanità sono stati sconvolti dalla crisi da Covid-19, si presenta la necessità e l’occasione di uno straordinario sfogo corale e globale per comprendere i movimenti generati dalla crisi, una dimensione globale che richiede l’attivazione delle relazioni che pure esistono tra una pluralità di soggetti distribuiti nelle diverse regioni del globo. Tocca ritrovare un nesso tra differenti condizioni di vita, culture e identità che l’organizzazione dell’economia mondo, frammenta, divide ed anzi pone in conflitto, attraverso anche il governo della crisi/trasformazione permanente: la sua rivoluzione permanente.
[1] https://www.avvenire.it/attualita/Pagine/pandemia-sociale-2.
[2] https://www.ilsole24ore.com/art/stop-licenziamenti-nuova-cig-e-incentivi-misure-il-lavoro-decreto-agosto-AD8oV8f
[3] https://www.bbc.com/news/world-asia-india-52086274.
[4] https://www.wiego.org/blog/die-hunger-or-virus-all-too-real-dilemma-poor-india-and-elsewhere https://abcnews.go.com/International/life-lockdown-brutal-indias-female-day-laborers/story?id=69893685.
[5] https://indianexpress.com/article/explained/coronavirus-india-lockdown-migran-workers-mass-exodus-6348834/.
[6] https://www.aljazeera.com/indepth/inpictures/pictures-india-poor-struggle-coronavirus-lockdown-200329133626495.html.
[7] https://www.computerweekly.com/news/252483964/Inside-India-the-worlds-IT-powerhouse.
[8] https://blogs.lse.ac.uk/latamcaribbean/2020/06/03/the-impact-of-covid-19-on-brazils-precarious-labour-market-calls-for-far-reaching-policies-like-universal-basic-income/.
[9] https://agora.folha.uol.com.br/grana/2020/04/caixa-tem-fila-de-espera-de-mais-de-5-horas-para-saque-do-auxilio-emergencial.shtml.
[10] https://oecdecoscope.blog/2020/06/29/reaching-out-to-informal-workers-in-latin-america-lessons-from-covid-19/.
[11] https://www.caixabankresearch.com/en/economics-markets/financial-markets/emerging-countries-and-covid-19-brink-financial-crisis.
Roberto Rosso
29/7/2020 https://transform-italia.it
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