Il vaccino è di tutti, non di chi arriva primo
Il vaccino è un bene comune. Deve essere un bene pubblico e globale. Come è giusto che sia. Senza se e senza ma. Sappiamo anche che per avere un vaccino per il Covid dobbiamo aspettare ancora, forse, ben oltre la primavera del 2021. Perché devono essere rispettate tutte le fasi della ricerca, della sperimentazione e i controlli che riguardano la messa in commercio. Checché ne dica Trump che vorrebbe bruciare le tappe in nome del profitto di pochi e della propaganda elettorale, infischiandosene della salute pubblica. Come del resto ha già fatto anche propalando pericolose fake news come l’efficacia di iniezioni di idrossiclorochina. Insieme a quella altrettanto negazionista di Bolsonaro, quella di Trump è stata fin qui la peggiore gestione della pandemia. Negli Usa è stata già stata superata la soglia dei 200mila morti. In assenza di un sistema sanitario pubblico il Covid ha colpito soprattutto le fasce più fragili, in particolare gli afroamericani che, dopo l’uccisione di George Floyd e di altri neri per mano di poliziotti, continuano a riversarsi nelle strade al grido Black lives matter in un crescendo di protesta antirazzista e sociale come scrive nel suo reportage Alessia Gasparini.
Anche Putin ha proclamato di avere già a disposizione un vaccino. Lo
ha detto sul far di ferragosto poco prima che giungesse la notizia del
“malore” del suo oppositore Navalny, un caso che ci ha riportato alla
memoria quello di Aleksandr Litvinenko morto dopo che gli era stato
servito un tè al polonio. In questo quadro la Cina, dopo essere stata
additata come Paese untore, affila le armi del proprio soft power
cercando di trasformare la Via della seta, in una via per l’egemonia
sanitaria.
Certo, il Paese che la spunterà per primo sul piano dei vaccini avrà
immensi poteri sullo scenario globale. La sfida è aperta. E tanto più,
in questo quadro internazionale come cittadini dobbiamo riuscire a far
sentire la nostra voce; dobbiamo usare tutti gli strumenti democratici
per esigere trasparenza ed esercitare un controllo pubblico. Tutti
devono poter accedere alla conoscenza che fa piazza pulita delle
velenose fandonie messe in giro da negazionisti e no vax (che, dopo
Berlino e Londra il 5 settembre marciano su Roma).Nessuno deve restare
indietro rispetto alla possibilità di accesso alla diagnostica, alle
terapie e ai vaccini, come si legge nell’appello Right2cure rivolto alla
presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e promosso
dal parlamentare europeo Marc Botenga, qui intervistato.
La commissaria Ue alla Salute, Stella Kyriakides, ha annunciato che
l’Europa ha già prenotato milioni di dosi di vaccino. Se questa
certamente è una buona notizia, di per sé, però, non basta. La pandemia è
un fenomeno globale. Non ci devono essere Paesi di serie A che, forti
di un potere economico, cercano di accaparrarsi dosi e brevetti (come
aveva tentato di fare Trump ottenendo un effetto boomerang) e Paesi di
serie B che restano ai margini. Purtroppo è già accaduto e continua ad
accadere. Se la polio è stata debellata nel 1994 in Europa, solo oggi è
stata sconfitta in Africa (su questo, l’approfondimento di Tulli).
Le scoperte scientifiche sono sempre frutto di gruppi di ricerca
internazionali e i risultati per quanto ci sia chi tenta di tenerli
segreti o di privatizzarli, prima o poi diventano patrimonio
dell’umanità. L’obiettivo oggi è fare sì che non ci sia un prima e un
poi.
Dal canto suo il professor Giuseppe Ippolito ci racconta
che in questa corsa al vaccino l’Italia ha in questo momento una
posizione d’avanguardia, ma questo non significa che giochiamo in
solitaria. «Il vaccino deve essere messo a disposizione di tutti»,
ribadisce il direttore scientifico dell’ospedale Spallanzani, intervistato da Filippi.
«Avere un vaccino creato, sperimentato e prodotto nel nostro Paese,
mette l’Italia maggiormente al riparo dai rischi di un “sovranismo
vaccinale”, che si sta affermando in molte nazioni, e di una nuova
guerra fredda nella quale le sfere di influenza sembrano definirsi anche
con la concessione o la negazione di supporti sanitari, medicinali e
vaccini».
Ma non possiamo accontentarci di questo. La fase delicata che stiamo attraversando richiede una assunzione collettiva di responsabilità, avverte l’autore di Spillover David Quammen intervistato da Damilano. Assunzione di responsabilità significa anche sottoporsi ai vaccini antinfluenzali. «Ottenere un buon tasso di vaccinazione anti-influenzale permetterebbe di avere una popolazione scolastica più protetta e le strutture territoriali potrebbero concentrarsi più attivamente sul Covid» scrive la pediatra Silva Stella. Per una maggiore protezione, individuale e collettiva.
Simona Maggiorelli
https://left.it4/9/2020
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