Prevenzione o morte, dei sistemi sanitari pubblici

Le polemiche sulla “secretazione” dei verbali degli esperti del Comitato Tecnico Scientifico non fanno che confermare la inaffidabilità della classe dirigente politica di questo Paese.

I cittadini avevano toccato con mano la confusione e la concitazioni organizzativa presente nelle prime settimane del 2020 in relazione alla epidemia di nCoV 19 come si chiamava il virus, apparentemente confinato all’estremo oriente. OMS e CDC oltre che la letteratura scientifica proveniente in particolare da Cina e Corea avevano già inondato di notizie e certezze sulla rapidità e modalità di diffusione del contagio, così come sugli scarsi mezzi clinici e di prevenzione attuabili.

Eera già evidente la esplosione di casi negli agglomerati e nelle collettività in particolare sanitarie (ospedali e varie), altamente urbanizzate ed industriali. Così come era evidente la necessità di misure di distanziamento, di isolamento, di barriera individuale ( mascherine) e di igiene accurata.

Per chi ne avesse voglia è istruttiva la lettura delle pubblicazioni, scientifiche e divulgative del dicembre 2019 e gennaio 2020. Scrivemmo già quanto fosse stupefacente che i nostri governanti non avessero appurato in loco le conseguenze della epidemia, ma sicuramente lo fecero, come tutti gli altri direttamente o indirettamente (sedi diplomatiche o servizi di informazione, giornalisti, viaggiatori…) e mantennero probabilmente confidenziale la crisi per motivi che interpreterà la storia.
E ricercando fra i documenti nelle direzioni sanitarie, nei ministeri, negli assessorati, si ritrovano note sulla necessità della sorveglianza delle polmoniti , sulla gestione di casi sospetti nei DEA, perfino un vecchio piano di contrasto alla epidemia / pandemia di influenza, messo lì, probabilmente in un cassetto, a causa dei costi che avrebbe generato una qualche esercitazione (videoconferenza di Lavoro e Salute / PRC).

Sembra un gioco, così come è stato un gioco l’impiego di rilevatori della febbre e la compilazione di schede di nominativi per eventuale tracciamento , nella estate appena trascorsa davanti a stabilimenti balneari o locali di movida.
La fiducia sulla Protezione Civile che stava provvedendo da tempo a acquisire dispositivi di protezione ha permesso di sottacere quanto stava accadendo per “ non generare panico”. Questo è comprensibile in termini di biolitica ma probabilmente pecca di paternalismo.

Un inspiegabile senso di sicurezza ha generato ritardi nella attuazione di piani di protezione ed è stato accompagnato e sostenuto dalla confusione tra scienziati e dalla ipotesi che il virus si sarebbe comportato come i suoi fratelli della SARS e della MERS che erano scomparsi dopo poco tempo e dopo un numero di casi e di morti “limitato”. Ragionamenti che non dovevano essere prodotti e una crisi sanitaria non è un imprevisto bensì una sottostima di problemi in un contesto di strutture inadeguate. I virus anche se sconosciuti non sono intelligenti e sono piuttosto prevedibili nelle loro potenzialità cliniche e diffusibilità. Non possono essere oggetto di dibattito bensì rappresentare uno stimolo a pianificare o apportare rapidamente una adeguata difesa. Probabilmente di setimana in settimana si attendeva che l’epidemia si spegnesse da sola.

Questa è stata la fase 1, nella fase 2 ci siamo affidati soprattutto al senso di responsabilità di cittadini dopo il lockdown che ha messo in ginocchio la nostra economia e, stando ai dati che emergono, è stato un fallimento, speriamo solo parziale.

Abbiamo appreso molte cose che devono servire da riflessione e guida:

  • la infezione è relativamente imprevedibile nel suo decorso e da numerosi casi asintomatici vira fino a gravi forme di malattia;
  • gli asintomatici sono molti;
    alcuni infetti possono contagiare molti;
  • una volta introdotto in una struttura di collettività chiusa si diffonde rapidamente e coinvolge un gran numero di persone soprattutto se non sono in atto misure di test e isolamento;
  • ospedali e centri assistenziali sono particolarmente a rischio sia ovviamente per la introduzione del virus che per la sua diffusione che per la ridondanza nella diffusione medesima coinvolgendo anche ogni tipologia di personale ;
  • le terapie sono scarse e impegnative per il paziente e per i sanitari e costose;
    le misure di buona igiene troppo dimenticate nel passato sono fondamentali;
    le protezioni individuali vanno adeguate al contesto ( altro è la mascherina nella collettività, altro la protezione di varia tipologia indispensabile per gli operatori sanitari;
  • le nostre strutture sanitarie , a cominciare dai DEA, sono ancora inadeguate per una rapida e corretta gestione di una nuova ondata e già un caso sospetto può mettere in crisi numerose unità di ricovero che non hanno adeguata flessibilità recettiva;
  • un numero considerevole di casi in ingresso in una struttura ospedaliera può comportare la necessità di una riorganizzazione interna che elimini altri servizi anche essenziali ( nella epidemia sono saltate reti fondamentali come sale operatorie, rete STEMI, ambulatori…);
  • la scuola e le aziende produttive possono rappresentare un importante serbatoio e una area di rapida diffusione per il virus;
  • alcune attività economiche di piccola e media portata ( negozi, ristoranti, bar, uffici…) con modesti accorgimenti di protezione possono garantire una buona sicurezza;
  • il cosiddetto smart working rende ancor più incapacitata la pubblica amministrazione;
  • gran parte dei cittadini non sono in grado di seguire lo sviluppo informatico anche a causa delle piattaforme offerte e dei sistemi di dialogo spesso complicati , cangianti, incomprensibili non intuitivi …;
  • il personale di soccorso, di pubblica sicurezza e chi, a vario titolo, interviene in condizioni di emergenza necessita di formazione e adeguamento dei dispositivi di protezione;
  • le strutture ambulatoriali di base stentano a rispondere ai bisogni molteplici dei cittadini, a parte la fornitura di ricette;
  • non esiste un sistema di cura di secondo livello diffuso sul territorio capace di intervenire per le diagnosi e le terapie a favore dei malati , salvo eccezioni, attività di volontariato o privato sanitario, ma limitatamente a poche attività (parlo di day hospital, servizi di terapia iniettiva, altri servizi di diagnosi e cura miniinvasia….);
  • il comportamento responsabile, in particolare evitare assembramenti senza mascherina, non è una certezza, anzi ormai è dimostrato che molte persone, giovani e non giovani, concorrono in assembramenti senza protezione e questo può rappresentare una condizione di elevato rischio di diffusione. Un particolare riferimento va portato a livello dei trasporti e del circuito scolastico ove gli assembramenti pre ingresso rappresentano un momento critico potendo vanificare ogni precauzione in atto nella struttura;
  • è necessario implementare la diagnosi la più rapida e accurata possibile.

Queste sono alcune delle cose che abbiamo imparato e di cui dovremmo far tesoro per affrontare l’autunno e l’inverno, a parte l’acclarata difficoltà di disporre di un vaccino.
Dentro questo contenitore vanno poi rilevate la confusione della comunicazione, le difficoltà di orientarsi sui necessari mezzi di diagnosi e terapia point of care che, in questa pandemia , se contestualizzati adeguatamente, risultano fondamentali scaricando le strutture di maggior livello.
Tra le situazioni confuse e conflittuali risulta particolarmente critica quella dell’isolamento e della quarantena. Tanto per chiarire : l’isolamento viene imposto al soggetto sospetto o chiaramente infetto o malato, mentre la quarantena dovrebbe essere assicurata ai contatti ancora sani. Questo produce un effetto domino difficilmente alienabile e con ricadute che possono assumere una portata considerevole. Basti questo esempio : uno studente ha la febbre ed è soggetto sospetto deve porsi in isolamento con esecuzione del tampone possibilmente “subito” , se il tampone è positivo e il risultato è rapido si conviene che i contatti stretti e quindi i famigliari siano posti in quarantena ( in francese elegantemente in quatorzaine). Le conseguenze sono immaginabili, ma almeno la rapidità ha consentito di circoscrivere l’evento. Se al riconoscimento del giovane caso sospetto, però, non consegue una rapidità di azione diagnostica ( tampone) tutto il meccanismo di prevenzione primaria ( isolamento in particolare) produce ricadute organizzative ed economiche con risvolto sulla società e non solo sulla famiglia fino a prova contraria, magari dopo alcuni giorni, con tampone negativo.

Quindi la rapidità diagnostica è indispensabile per evitare di inceppare la quotidianità organizzativa ed economica della collettività.
Un buon passo in avanti sarebbe quello di disporre di hot spot fissi e mobili per i tamponi da fare immediatamente e ovunque , un altro passo sarebbe quello di disporre di metodi diagnostici affidabili rapidi. Le autorità sanitarie dovrebbero sostenere la ricerca in questo settore.

Questa problematica è stata relativamente poco “sentita” durante il lock down ma sarà la sfida del prossimo autunno/inverno.

L’epidemia di SARS COV 2 sta mostrando che le infezioni e le malattie infettive scarsamente gestibili senza adeguate misure di prevenzione, profilassi vaccinale e terapia sono presenti nel mondo e sono un sfida per l’umanità. Si deve comprendere che scienza e individuo non sono onnipotenti, in questo caso la scienza “civile” ha dimostrato altresì di non sapere nulla , anche se certamente qualcuno “sa”.

Si è anche capito (speriamo) che alcuni capisaldi per la lotta alle epidemie, postulati fin dalla antichità e di poco modificati nei secoli successivi sono un baluardo ancorché facile da superare, per i germi. Peraltro alcune norme di igiene sono state sempre condivise, anche dalla cultura popolare: lavaggio delle mani, non promiscuità nei periodi epidemici, e tanti altri accorgimenti di buon senso, oltre le masherine, ovviamente. Insomma “diagnosi veloce, quarantena, isolamento, distanziamento, igiene” sono ancora fondamentali. Attendiamo il vaccino che deve essere prioritariamente offerto ai sanitari, ai “fragili” , alle forze dell’ordine, ai militari , e poi alla popolazione, ultimo, ci auguriamo, ai politici e agli amministratori che devono dimostrare coraggio e altruismo.

C’è confusione perché c’è paura e più gli esperti sottolineano che non bisogna diffondere panico più la gente perde fiducia. La “gente” non è composta da una massa informe di idioti, le persone chiedono serietà e sincerità da parte di chi governa la cosa pubblica. Non ottengono nulla di questo. Ma le autorità devono assumere azioni radicali verso che non si attiene alle regole, purché precise.
Una epidemia da virus emergente, stupefacente nella sua drammaticità ma certamente attesa ancorché di rara rilevanza clinica scientifica come questa , senza possibilità di vaccinazioni di massa , può comportare una sconfitta per la società umana.

Si deve però ricominciare a vivere , tutti affermano che il lockdown non è più praticabile. Si deve cominciare a vivere rischiando perché il mondo non può fermarsi. Il recente lockdown ha scardinato la economia di gran parte della popolazione italiana. Questo non può ripetersi. Il primo passo, in attesa del vaccino, è una responsabilizzazione comune e diffusa da part di tutti, giovani, meno giovani, lavoratori, imprenditori, autorità sanitarie …. nel rispetto delle misure di precauzione.

Questo è fondamentale e ciascuno deve essere posto nelle condizioni di non esporre o essere esposto dolosamente. Le cosiddette “autorità” devono vigilare sul mantenimento delle norme di sicurezza che sono poche e semplici da attuare, anche se in alcuni contesti complesse e costose da realizzare. Ma alle autorità si chiede proprio questo: sostegno nel realizzare le misure fondamentali di precauzione e prevenzione. La ricerca di un colpevole a tutti i costi non serve a nulla. E sono inutili e fuorvianti discussioni sulla legittimità di misure di precauzione e prevenzione che sono inalienabili.
Al mondo siamo tanti, in mancanza di un vaccino prima o poi molti rischiano di morire di COVID 19 ma la economia non può e non deve fermarsi perché questa è la nostra vita.
Proprio questa pandemia ci ha insegnato che è capitale concepire una nuova forma di sviluppo che metta il lavoratore e la persona al centro.
Per fare questo non sono sufficienti i proclami bensì un nuovo concetto di economia e di produzione di beni e servizi.
La nostra tecnologia e lo sviluppo scientifico contrastano l’evoluzione naturale, ma farne a meno significherebbe una esplosione di disagio ulteriore per molti esseri umani e un rischio reale di conflitti, conflitti diversi dal passato: non più nazione contro nazione ma gruppi di umani contrapposti, perché senza risorse per sopravvivere. La sfida è questa: una nuova economia e una nuova società

umana, ma realistica e per tutti, sarebbe infatti curioso che il mondo offra ricchezza a pochi e sopravvivenza scarsa ai più.
La buona notizia è che comunque il mondo non finirà, ma non dovrà essere per “pochi”.
Ovviamente siamo in attesa di un buon vaccino oppure che il virus scompaia per conto suo.
Ma lascerà il posto ad altre patologie diffusibili.
Prepariamoci, almeno filosoficamente. Visto che ancora nessuno prepara i sistemi sanitari e sociali adeguatamente. Il nostro Paese ha molti handicaps fra cui principalmente gli attuali governanti e le opposizioni tutti inaffidabili, ma i cittadini ragionano e possono far valere il loro pensiero, rivoltando gli equilibri e riformando i numerosi aspetti dell’attuale aspetto socio economico.

Roberto Bertucci

Infettivologo, Torino

Redazione Mensile cartaceo Lavoro e Salute

Pubblicato sul numero 8/9 settembre 2020 www.lavoroesalute.org

Puoi leggerlo anche in versione interattiva: http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-settembre-2020/

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