Smart working al femminile: i rischi da governare

L’utilizzo massivo del lavoro da remoto scatenato dall’emergenza sanitaria, apre un nuovo scenario sia per quanto riguarda l’organizzazione che relativamente alle condizioni di lavoro. Cresce infatti la consapevolezza che quanto adottato come prassi in questi mesi dalle aziende, probabilmente porrà le basi per il futuro di molte e molti di noi.

Occorre però fin da subito puntualizzare che quanto avvenuto a partire dal lockdown di marzo 2020 e che perdura ancora oggi, ha piu’ a che fare con la replicazione, laddove possibile, della prestazione di lavoro normalmente svolta in ufficio nelle abitazioni private, con mezzi tecnologici molto spesso inadeguati. Nella maggior parte dei casi di tratta quindi una modalità di lavoro caratterizzata dalla rigidità e dalla negazione del concetto stesso di agilità.

Il rischio concreto di questa implementazione massiva, prolungata e priva di regole del lavoro da remoto (ricordiamo infatti che insieme alla proroga dell’utilizzo dello “smart working” al 31.01.2021, è stata anche prorogata la possibilità di derogare rispetto all’accordo individuale previsto dalla legge 81/2017) è infatti che le uniche a trarne benefici siano le Aziende e che il lavoro agile si trasformi in un’occasione per esasperare la già troppo invadente flessibilità e parcellizzazione del lavoro.

Un utilizzo corretto del lavoro agile, quindi consapevole, più rigorosamente normato ed alternato al lavoro in presenza su richiesta del lavoratore, che non deve in alcun modo vedere eliminata la propria postazione di lavoro in ufficio, può invece portare alcuni benefici per le lavoratrici e lavoratori. Penso in particolare alla possibilità di gestire meglio e in autonomia il proprio tempo, conciliando lavoro e vita privata, e risparmiando sui costi di spostamento.

La riduzione della domanda di mobilità lavorativa si traduce poi, in una riduzione di consumi energetici, emissioni inquinanti e di gas serra, tempi costi e infortuni legati agli spostamenti casa-lavoro.

Ma perché quanto sopra diventi la realtà di tutte e tutti i lavoratori da remoto, occorre conoscere cosa realmente si sia verificato, esaminarne le criticità, in modo da poter elaborare delle proposte puntuali che vadano a sanare le maglie troppo larghe della normativa in merito e a denunciare le situazioni in cui i diritti già previsti dalla legge vengano violati.

A questo proposito segnalo l’inchiesta promossa dalla “Rete lavoratrici e lavoratori agili – Italia”, volta appunto alla reale comprensione dello status quo e alle concrete nuove necessità delle lavoratrici e dei lavoratori, come punto di partenza per costruire le basi per la rivendicazione di “diritti digitali”, che permettano non solo di non fare passi indietro rispetto a quanto previsto per il lavoro in presenza, ma anche di migliorare le condizioni di vita e di lavoro da remoto. Questo il lik al questionario online: urly.it/38c94

Le lavoratrici e i lavoratori non possono infatti permettersi ulteriori arretramenti, non possono sacrificare altri diritti.

Occorre evitare il rischio concreto che lo smart working si traduca in un ulteriore strumento in mano ai padroni per incentrare la vita delle persone sulle priorità della produzione: lavorare sempre e da ogni luogo, con orari spalmati su tutta la settimana e senza riposo, senza tempo per le relazioni e per lo svago, ben oltre le ore diurne.

Inoltre, dopo il piacere iniziale di vivere più a lungo in famiglia, non è assolutamente detto che sia altrettanto desiderabile o facile, una convivenza di lungo periodo priva dell’equilibrio che l’alternanza casa – lavoro garantiva. Per questo diventa fondamentale la possibilità di alternare il lavoro da remoto a quello in presenza.

A quanto sopra va a sommarsi il sovrapporsi dei tempi di vita con i tempi di lavoro, di cura dei figli/anziani e della casa, del riposo e dello svago. Se pensiamo poi al combinato disposto “smart working – didattica a distanza”, risulta facile pensare come un utilizzo non consapevole e acritico di questa modalità di lavoro possa mettere a dura prova sia a livello fisico che psicologico soprattutto le lavoratrici, sulle quali ancora oggi grava il peso maggiore per quanto riguarda il lavoro di cura.

Senza contare poi l’aumento dei costi fissi a carico delle lavoratrici e dei lavoratori come gas, energia, collegamento internet, etc. che ad oggi non viene nella maggior parte dei casi riconosciuto e coperto, a fronte di un innegabile risparmio da parte delle Aziende.

È necessario quindi avviare la discussione su questi temi cruciali, per molti versi nuova e difficile, da un punto di vista di classe.

Nadia Rosa

Responsabile lavoro, Partito della Rifondazione Comunista Federazione di Milano

21/10/2020 Questo il lik al questionario online: urly.it/38c94

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