MES o non MES, ma è davvero questo il dilemma?

Mentre la curva dei contagi si impenna, le strutture sanitarie iniziano a congestionarsi e l’intero sistema di prevenzione e monitoraggio va in tilt, come mostrato dalle file chilometriche ai drive-in per la somministrazione dei tamponi, un grido di dolore si alza dalla parte meno sofferente del Paese: “Va subito preso il MES, il contagio aumenta, servono soldi non ideologie” si lamenta Renzi dagli scranni di Italia Viva, sempre in sintonia con Forza Italia (da Carfagna a Brunetta: “Criminale lo stato di emergenza senza il MES”) e con il PD (Bonaccini: “Cosa deve ancora succedere per comprendere che servirebbero subito per la sanità pubblica i 36 miliardi di euro del MES?“). Addirittura, a mostrare l’universalità di queste lamentazioni e per perorare la causa del MES si forma in fretta e furia un gruppo interparlamentare di ‘responsabili’, trasversale a varie forze che siedono in Parlamento.

Di cosa stanno parlando questi personaggi? Il MES, Meccanismo Europeo di Stabilità, è un’istituzione europea che ha messo a disposizione di tutti i Paesi membri una linea di credito emergenziale per affrontare la crisi pandemica. Come abbiamo avuto modo di spiegare, il denaro prestato dalle istituzioni europee porta con sé anni di austerità: i Governi che ricorrono ai prestiti europei rinunciano di fatto alla gestione della politica economica nazionale, ed impegnano il proprio Paese ad una lunga stagione di tagli alla spesa sociale ed aumento della pressione fiscale. L’austerità è il prezzo da pagare per accedere al denaro europeo, ed il MES non fa eccezione. In particolare, per rimanere nelle grazie di questa istituzione e non perdere l’accesso alla linea di credito – evento che scatenerebbe la tempesta finanziaria – è necessario tenere i conti ‘in ordine’, cioè praticare sanguinosi piani di drenaggio di risorse pubbliche dall’economia.

Tuttavia, la violenta accelerazione nella diffusione dei contagi riporta la questione alla ribalta: il sistema sanitario nazionale ha senz’altro bisogno di essere sostenuto e rafforzato, dunque perché non farlo con i soldi offerti dal MES? La domanda è interessante, a nostro avviso, non tanto per il suo contenuto specifico, quanto piuttosto perché sottende una visione del funzionamento del sistema economico che rappresenta una trappola ideologica e politica da cui è bene guardarsi. Ma andiamo con ordine.

Il contenuto specifico della proposta appare del tutto inconsistente. La linea di credito del MES è una forma di finanziamento alternativa alla tradizionale raccolta di denaro sui mercati finanziari. In buona sostanza, nel caso in cui lo Stato abbia necessità di prendere in prestito delle risorse per coprire le spese eccedenti le entrate, può farlo emettendo titoli di Stato (i BTP), che vengono sottoscritti prevalentemente da grandi banche di investimento a tassi di interesse di mercato, oppure può chiedere gli stessi soldi alle istituzioni europee. Dal punto di vista meramente finanziario, l’unica differenza sta dunque nel costo di questo debito, ovvero nel tasso di interesse che lo Stato deve pagare al suo creditore. Bene, ad oggi lo Stato emette titoli di Stato a 5 anni (la medesima durata del prestito MES) ad un tasso dello 0,3%: al confronto, il prestito del MES offrirebbe un risparmio in termini di interessi di un centinaio di milioni di euro su circa 60 miliardi di euro di spesa annua per interessi da parte dello Stato. In parole povere, dal punto di vista finanziario il MES ci consentirebbe un risparmio insignificante. Il prezzo da pagare per questo risparmio, tuttavia, sarebbe tutto fuorché insignificante, poiché porterebbe con sé una serie di condizioni politiche che ci costringerebbero, negli anni a venire, a tagliare lo stato sociale e ad aumentare le tasse pagate dai cittadini, con conseguenze economiche negative ben più cospicue del risibile risparmio sul costo dell’indebitamento. Per questo, nell’attuale contesto di bassi tassi di interesse, la proposta di ricorrere alla linea emergenziale del MES appare debolissima.

Ma, come dicevamo, ben più rilevante è la dimensione politica entro cui quella proposta si colloca. Quella proposta, infatti, è la risposta sbagliata ad una domanda giusta. Risorse aggiuntive per rafforzare il sistema sanitario, dai macchinari delle terapie intensive alle strutture per somministrare i tamponi, dal personale medico agli infermieri, sarebbero non solo opportune ma drammaticamente necessarie. Ci servono soldi, sì. Ma perché Renzi e soci, anziché limitarsi a questa richiesta generica, sentono il bisogno di specificare che ci servono i soldi del MES? Come mai questi figuri, tra le altre cose, dimenticano di menzionare quanto Gualtieri a più riprese e Conte nella conferenza stampa del 19 ottobre hanno ribadito a chiare lettere, cioè che il MES non comporterebbe spese aggiuntive a favore del sistema sanitario ma solamente una forma alternativa di finanziamento delle spese già programmate?

Dietro all’idea che le uniche risorse disponibili siano quelle che l’Europa concede c’è un’operazione politica e ideologica che si sostiene sul mito della scarsità delle risorse. Se non possiamo immaginare alternative ai soldi del MES, e questa è la forza del messaggio che si prova ad affermare in questi giorni, abbiamo accettato una visione dell’economia e della società che ci schiaccia, che limita la nostra autonomia politica impedendoci qualsiasi risposta adeguata all’attacco che viene portato avanti contro le condizioni di vita di milioni di lavoratori e disoccupati. La riduzione dei salari, lo sblocco dei licenziamenti, l’aumento della precarietà, qualsiasi offensiva contro i lavoratori assumerà la forma di un sacrificio necessario imposto dalla crisi pandemica in un contesto di risorse scarse; e, ecco il paradosso, i pochi soldi che saranno messi a disposizione – i fatidici soldi del MES, per l’appunto – possono essere usati solo se si accettano esattamente gli stessi sacrifici da cui ci si voleva liberare, perché le istituzioni europee chiedono a garanzia dei prestiti precise riforme del mercato del lavoro che ne aumentino la flessibilità, tagli alle pensioni e alla spesa sociale, più tasse, riduzione del debito pubblico, privatizzazioni e liberalizzazioni.

Insomma, il MES si afferma sempre più come strumento retorico utile a rafforzare una gabbia ideologica, una vera e propria trappola per tutte quelle forze politiche che ambiscono a sviluppare un punto di vista autonomo rispetto al disegno neoliberista imposto dalle istituzioni europee da oltre trent’anni. Davanti alla crisi pandemica, guardare ai soldi del MES significa operare una scelta politica precisa: significa sacrificare precari, disoccupati e lavoratori tutti per assicurare ai profitti un maggiore margine di sfruttamento negli anni che verranno.

Esiste una via alternativa: lo Stato può raccogliere autonomamente molte più risorse rispetto ai 36 miliardi offerti dal MES e soprattutto può farlo fuori dai vincoli politici che il MES porta con sé, emettendo sul mercato titoli di Stato ed invocando, ove necessario, il supporto dell’autorità monetaria, la banca centrale. Questa via alternativa, che ci permetterebbe di fronteggiare la crisi pandemica con una risposta forte e determinata, si pone però in contrasto con il disegno politico dell’austerità di matrice europea, un disegno basato proprio sulla rinuncia degli Stati allo strumento del debito pubblico. Questo è il motivo per cui, nel dibattito attuale, sentiamo parlare solo dei soldi del MES. Ribaltare questa narrativa può essere un primo passo per riconquistare margini di autonomia politica nei durissimi mesi che abbiamo davanti.

CONIARE RIVOLTA

Collettivo di economisti

21/10/2020 https://coniarerivolta.org

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