Tra improvvisazione e disorganizzazione

In tutte i territori del Paese si cerca disperatamente personale sanitario da assumere, medici, infermiere ed infermieri, operatori sanitari, e si fa fatica a trovarli. In Puglia capita che li si lasci a casa senza lavoro. È quel che è capitato ai circa 70 dipendenti della Rsa Fontanelle in provincia di Lecce. Una struttura che può ospitare fino a 104 ricoverati, tanti erano quelli ospitati al momento della prima ondata del coronavirus che si è insinuato nella struttura colpendo sia gli ospiti che il personale. Simonetta Coluccia lavorava in quella struttura come Oss e dice: “È stata la prima struttura del territorio ad essere colpita ed anche la Asl non ha saputo intervenire tempestivamente. Sono state chiuse le porte il personale all’interno non poteva tornare a casa e quello all’esterno non poteva entrare. Risultato, turni interminabili e contagi che si diffondevano. È stato dichiarato lo stato di emergenza ed è arrivato il personale Asl a sostituirci. Alla fine è stata sospesa l’autorizzazione all’esercizio e tutto il personale è stato mandato a casa”. Mobilitazioni e presidi di lavoratori e lavoratrici sembrano esser serviti, la struttura dovrebbe riaprire non si sa ancora bene se per ospitare i pazienti post Covid o per ricoveri protetti, ma la conclusione di Simonetta Coluccia è amara: “Cercano tanto personale ma a noi ci hanno lasciato casa”.

La carenza di personale, insieme ad una estrema difficoltà organizzativa, è la vera criticità della Puglia che però ha conseguenze sia sulla qualità del lavoro di medici e infermieri che sulla qualità del servizio. “La sanità è sufficientemente al disastro – afferma Domenico Ficco, segretario generale della Fp regionale -, veniamo da anni di piani di rientro è i risultati si vedono. Sono stati tagliati posti letto e personale, del tutto insufficiente rispetto ai bisogni di salute della popolazione”. Anche in Puglia come nel resto del Paese, in virtù dei decreti approvati per l’emergenza sanitaria, un po’ di assunzioni sono state fatte, poco più di duemila tra medici infermieri e operatori, ma ne servono almeno altrettanti. E i posti letto ospedalieri dovevano essere sostituiti dalle case della salute e dai servizi territoriali, non ve ne è traccia o quasi. Il risultato che interi servizi sono stati delegati ai privati, dalla psichiatria alla riabilitazione.

Un “pezzo” di struttura, inoltre, è stato devoluto in società in house, Sanità service, in capo alle Asl e gestiscono attività ritenute non Cor ma, aggiungiamo noi, certamente strategiche. Dal 118 al servizio cup ad esempio, “i lavoratori e le lavoratrici quando sono fortunati hanno rapporti di tipo precario e quando va male forme che rasentano il volontario” spiega Ficco, “Abbiamo chiesto l’internalizzazione di questi servizi, bisogna rendersi conto che la sanità è una filiera di attività, non solo medici e infermieri, se un pezzo non funzione, a cascata è tutto il sistema a risentirne. Non solo c’è anche chi della filiera è parte essenziale ma è invisibile”

“Noi, professionisti del laboratorio biomedico, abbiamo scelto di essere chi siamo: salviamo vite ogni giorno anche se un paziente non saprà mai che viso abbiamo”, ci dice accalorandosi Angela Michela, tecnica di laboratorio all’ospedale Moscati di Taranto e aggiunge: “Noi del laboratorio esistiamo. Siamo la troponina dietro l’attacco di cuore; siamo il gruppo sanguigno dietro una trasfusione sicura; siamo l’Hcg dietro una vita che sta crescendo; siamo la speranza di controllare la pandemia dietro il test Covid. Diamo speranza ai pazienti, diamo risposte a medici e infermieri, facciamo il tifo per le buone notizie che vengono rilasciate attraverso i nostri strumenti. Siamo esseri umani, non macchine”. Sono sotto pressione come tutti gli operatori sanitari, sono laureati a guadagnano 1.500 euro al mese. E, appunto, si sentono invisibili.

Il coronavirus è arrivato. La prima ondata non è stata particolarmente aggressiva è questo ha consentito alla sanità di reggere. Poi è arrivata l’estate, la campagna elettorale e le elezioni. Gli amministratori sono stati troppo impegnati per predisporre un piano Covid dettagliato e organizzato, basti pensare che la nuova giunta si è insediata solo lo scorso 24 novembre. E quel poco che è stato realizzato lo si è fatto senza nessuna interlocuzione con le organizzazioni sindacali. Non è stano nemmeno istituito, nonostante l’insistenza di Cgil Cisl e Uil, il coordinamento per la sicurezza dei lavoratori, tanti sono quelli contagiati, a fine ottobre se ne contavano 383, e i dati di novembre non ci sono. I numeri di oggi raccontano che si è passati da mille posti letto Covid a 3062 suddivisi in 28 strutture pubbliche e 6 del privato accreditato.

Ad ascoltare il racconto del dottor Diego Grasso, pneumologo presso l’ospedale di Lecce, quel che più preoccupa è l’improvvisazione e la disorganizzazione. “A marzo – racconta – avevamo creato un reparto Covid multidisciplinare, eravamo in quattro oltre me, un altro pneumologo, un rianimatore, due internisti, poi si sono aggiunti altri professionisti fino ad arrivare a undici, allora avevamo 20 posti letto. A giugno è stato chiuso e ciascuno è tornato al proprio reparto di partenza. L’esperienza fatta avrebbe dovuto servire per prepararsi alla seconda ondata. Nulla di fatto. La seconda ondata è arrivata e ha colto l’ospedale impreparato. Ai primi di novembre il reparto è stato riaperto, i posti letto sono diventati 40 ma ogni tanto veniamo spostati per alleggerire il pronto soccorso perennemente in emergenza”. E poi il personale in dotazione spostato in terapia intensiva, medici e infermieri arrivati senza una formazione specifica. Insomma disorganizzazione e improvvisazione.

Se a Lecce la situazione è quella appena descritta, nel resto della regione non cambia. Ancora il segretario della Fp Cgil dice: “Nelle strutture non sempre si riesce a predisporre correttamente il percorso sporco-pulito. Cominciano a mancare i dispositivi di protezione individuale. I pronto soccorso sono in emergenza quasi ovunque e la sanità del territorio non esiste. Le Usca, stanno nascendo adesso e a casa dei pazienti al momento non si vede nessuno. La testimonianza è diretta: ‘io sono positivo, il tampone che lo attesta l’ho fatto 8 giorni fa’”.  A parlare è ancora Domenico Ficco che aggiunge: “Mi sono chiuso in casa. Siccome nessuno mi ha contattato per il tracciamento ho cercato l’indirizzo di posta elettronica della mia Asl per comunicare, appunto di essere positivo, per poter fornire i nominativi dei contatti stretti e per poter essere autorizzato ad immettere la mia positività su Immuni. Sono ancora in attesa che qualcuno mi chiami. Per fortuna non ho sintomi e sono una persona responsabile. Se stessi male che alternativa avrei, oltre che andare al pronto soccorso?”

Roberta Lisi

26/11/2020 https://www.collettiva.it

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