Gli effetti della pandemia sulle persone anziane: isolamento e “ageismo”.
CONTESTO/INQUADRAMENTO
Le persone anziane sono maggiormente a rischio di ammalarsi gravemente e morire a causa del COVID-19.
A metà 2020, a livello mondiale l’età media dei casi confermati di COVID-19 era 51 anni (ONU, maggio 2020), ma i tassi di mortalità per gli over80 era cinque volte maggiore. Più del 95% dei decessi causati dalla pandemia in Europa ha riguardato adulti over60; negli Stati Uniti l’80% dei decessi ha riguardato adulti over65; in Cina circa l’80% dei decessi era riferito ad adulti di 60 anni e oltre. Per quanto riguarda l’Italia, il II Rapporto congiunto dell’Istituto Nazionale di Statistica e dell’Istituto Superiore di Sanità sulla mortalità della popolazione residente a causa del COVID-19, riferito al primo quadrimestre dell’anno, rileva che ”l’eccesso di mortalità dei mesi di marzo e aprile 2020 è più consistente per gli uomini di 70-79 anni e di 80-89 anni per i quali i decessi cumulati dal primo gennaio al 30 aprile 2020 aumentano di oltre 52 punti percentuali rispetto allo stesso periodo della media 2015-2019; segue la classe di età 90 e più con un incremento del 48%” (Rapporto Istat/Iss, giugno 2020).
Le persone anziane sono anche più vulnerabili rispetto alle conseguenze della solitudine e dell’esclusione sociale che la pandemia sta comportando.
Secondo la WHO – Organizzazione Mondiale della Sanità, il problema dell’impatto della pandemia sulle persone over 60 non è stato ancora adeguatamente preso in considerazione. Sulla rivista scientifica The Lancet e sul Journal of the American Geriatrics Society vari articoli hanno segnalato i rischi dell’isolamento e della “trascuratezza” – che può configurarsi in certi casi come “maltrattamento” o “abbandono” – nei confronti delle persone anziane (Armitage and Nellums, 2020; Han and Mosqueda, 2020), senza però elaborare un quadro unitario e comprensivo della situazione.
A partire da questo scenario, una recente revisione di letteratura (Banerjee, et al., 2020. Review article) ha indagato la vulnerabilità psicosociale delle persone più anziane durante la pandemia,
anche a partire da studi realizzati in precedenti analoghe situazioni
di emergenza, individuando vari e sfaccettati fattori di rischio
indiretti, che si aggiungono ai rischi diretti, biologici e fisiologici
(la co-morbidità di malattie croniche, l’assunzione poli-farmacologica,
ecc.): mancanza di sicurezza, solitudine, discriminazione a causa
dell’età, discriminazione sessuale, trascuratezza/maltrattamento e
difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari diventano cruciali nella
situazione attuale di pandemia e rendono ancora più “pesanti” le
conseguenze a livello fisico e psicologico per le persone anziane.
In particolare, gli
autori individuano un “percorso” di inter-relazione tra i molteplici
fattori di rischio, culminante nell’isolamento ed emarginazione delle
persone anziane, la cui “leva” originaria sarebbe l’ “ageismo.
IL FENOMENO DELL’ “AGEISMO”
L’ageismo, cioè la svalorizzazione o discriminazione verso le persone anziane a causa dell’età, e la conseguente privazione dei diritti umani, emergono come un elemento comune di sofferenza per questa fascia di popolazione durante la pandemia, impattando sul benessere psicofisico e sulla qualità della vita. Il termine “ageism” (da age: età) è stato coniato dallo psichiatra e geriatra statunitense Robert Butler nel 1969 per assonanza e analogia con concetti quali razzismo e sessismo, e trent’anni dopo è stato accolto nella lingua francese (âgisme) e ben più tardi in quella italiana come ageismo, restando tuttavia un’espressione poco usata (www.treccani.it).
La WHO definisce l’ “ageismo”
come stereotipo, pregiudizio e discriminazione nei confronti delle
persone in base alla loro età, evidenziando tra l’altro come si tratti
di una forma di discriminazione “normalizzata”, cioè implicitamente considerata “normale” a livello sociale – a differenza del razzismo e della discriminazione sessuale (WHO Report on Ageing and Health,
2015). All’interno della comunità le persone anziane sono comunemente
stigmatizzate a causa della loro età cronologica, e con l’aumentare
dell’età aumenta l’attribuzione di stereotipi negativi riguardanti i
cambiamenti a livello fisico, cognitivo ed emotivo, questo fenomeno
provoca:
– la diffusa e sistematica esclusione dalle persone anziane
da opportunità di tipo educativo, lavorativo, abitativo, possibilità
riguardanti i trasporti, i servizi sanitari e sociali, le opportunità
legislative, ecc.
– l’errata “normalizzazione” delle malattie, in
particolare quelle di tipo neurodegenerativo e i problemi di salute
mentale, considerate parte del processo di invecchiamento.
Questi
stereotipi, pregiudizi, discriminazioni vengono interiorizzati dalle
persone anziane e ostacolano i percorsi di assistenza/cura nonché
l’attivismo civico: lo stigma sociale percepito/interiorizzato
fa sì che le persone anziane siano meno propense a impegnarsi in
attività che favoriscono la loro inclusione/integrazione e la difesa dei
propri diritti a causa della credenza implicita che sia necessario
“sacrificare” il proprio benessere per “lasciare spazio” alle giovani
generazioni (Walsh et al., 2016; Donizzetti, 2019).
La pandemia di COVID-19 – al pari di precedenti crisi sanitarie mondiali come ad es. la peste bubbonica, l’influenza, le guerre mondiali e le recessioni economiche – ha ulteriormente “normalizzato” l’ageismo, paradossalmente proprio all’inizio del lancio della Decade for Healthy Ageing 2020 – 2030 da parte della WHO. La maggiore vulnerabilità delle persone anziane rispetto al contagio, e il bisogno maggiore di assistenza sanitaria – inclusi un numero più elevato di giorni di ospedalizzazione con terapia intensiva e supporto respiratorio – sono stati controbilanciati dalla percezione di “basso potenziale” di produttività e utilità sociale (Baker and Fink, 2020): quest’analisi costi – benefici ha probabilmente orientato il sistema sanitario pubblico nel dare priorità alle persone giovani e di mezza età rispetto a quelle più anziane (Lintern, 2020).
FATTORI DI RISCHIO MULTIDIMENSIONALI PER LA POPOLAZIONE ANZIANA
Gli autori della Review sostengono che lo stigma dell’ageismo produce emarginazione e isolamento, grazie all’intreccio con i fattori di rischio diretti e indiretti per la salute e il benessere delle persone anziane: quest’ipotesi parte dall’analisi della situazione pre-esistente alla pandemia di COVID19.
I noti fattori di rischio diretti hanno una base biologica, mentre quelli indiretti sono una combinazione di fattori biologici, psicologici e sociali.
Tra i fattori psicosociali, oltre al fenomeno dell’ageismo, sono stati rilevati in particolare l’esclusione sociale e l’isolamento delle persone anziane.
Una “scoping review” (Walsh et al, 2016) ha indagato in maniera specifica il fenomeno dell’esclusione/emarginazione delle persone anziane, identificando 4 elementi comuni a diversi Paesi:
- Relativizzazione (le persone anziane vengono escluse o meno, in rapporto alla norma/regola condivisa e al concetto di “integrazione” diffuso nella società, che ad esempio influirà sulla organizzazione delle strutture tipo RSA)
- Capacità di iniziativa, autonomia e indipendenza (di cui spesso le persone anziane vengono private “per il loro bene”)
- Dinamicità (l’esclusione sociale è un fenomeno dinamico che si evolve in base al “movimento” delle persone da una categoria sociale a un’altra; i fattori che contribuiscono all’esclusione sociale non sono statici ma interagiscono l’uno con l’altro e mutano nel tempo)
- Multidimensionalità (il processo di intersezione/intreccio e la teoria del “minority stress”
– stress continuo e traumatico a cui sono soggette le persone
discriminate – implicano l’esistenza di più fattori causali
dell’esclusione sociale).
I fattori multidimensionali hanno un effetto cumulativo e un impatto di tipo longitudinale (cioè a lungo termine) sulla salute e sul benessere.
Le dimensioni/ambiti di esclusione sociale individuate sono:
- Il vicinato di quartiere e la comunità
- Le relazioni sociali
- I servizi, le attività ludico-ricreative (amenities), i trasporti
- Le risorse materiali e finanziarie
- Gli aspetti socio-culturali
- La partecipazione a forme di cittadinanza attiva
Alcuni studi hanno analizzato il fenomeno dell’emarginazione delle persone anziane in relazione all’attuale situazione pandemica (Lambrini, 2016).
C’è una certa analogia tra gli ambiti dell’esclusione sociale delle persone anziane, identificati prima della pandemia, e i fattori indiretti che influiscono sul loro benessere durante la pandemia (Walsh et al, 2016).
La maggiore vulnerabilità delle persone anziane all’infezione del nuovo coronavirus ha comportato che i vincoli e le limitazioni fossero spesso applicati in maniera più rigorosa a questa popolazione. Le limitazioni hanno interagito con l’esclusione sociale già in atto, producendo nuove forme di emarginazione, e ciò ha ulteriormente minato il mantenimento delle funzioni di autonomia, indipendenza, iniziativa (agency) – in alcuni casi già precario. In specifico, durante la pandemia, il “distanziamento sociale” (ri-nominato dalla WHO come “distanziamento fisico” a marzo 2020) ha bloccato i contatti con i parenti e gli amici – fonte di rassicurazione e sostegno, ha impedito la partecipazione alle attività/impegni di tipo sociale e ricreativo – opportunità di integrazione a livello comunitario.
Sono comparsi nuovi modelli di fruizione on line dei servizi, ma la diffusa “analfabetizzazione digitale” delle persone anziane ha causato un loro scarso utilizzo da parte degli over60. E così, i servizi “primari” sono diventati meno accessibili per coloro che ne hanno maggiormente bisogno!
Infine, da citare i fattori di rischio inerenti le politiche di sanità pubblica (Andrade, 2020), quali:
– la penuria di risorse materiali e professionali in ambito sanitario e
ospedaliero, che ha comportato ad esempio la sospensione di terapie e
servizi considerati non essenziali (fisioterapia, terapia occupazionale,
cure dentarie e oculistiche, cure palliative, riabilitazione
neurocognitiva, psicoterapia, ecc.)
– le restrizioni di
accesso/disponibilità di servizi essenziali (ad esempio maggiori
difficoltà nel fare la spesa, acquistare farmaci, ecc.)
– la
sospensione/chiusura di attività e servizi di social welfare specifici
per la terza età (ad esempio centri diurni, circoli ricreativi, visite
domiciliari, ecc)
Gli autori notano perciò che la pandemia di COVID-19 sembra aggravare l’emarginazione pre-esistente della popolazione anziana attraverso un percorso comune/intrecciato e un “effetto combinato” dei fattori di rischio diretti e indiretti. In aggiunta, come abbiamo visto, l’approccio di tipo “utilitaristico” alla misura restrittiva del distanziamento fisico ha rinforzato l’isolamento delle persone anziane all’interno delle proprie comunità, e fronte di una scarsità di azioni o interventi supportivi/protettivi.
STRATEGIE PER PROMUOVERE IL BENESSERE DELLE PERSONE ANZIANE DURANTE LA PANDEMIA: A CALL TO ACTION
Alcuni ricercatori (D’cruz M., Banerjee D, 2020; Lim et al., 2020) hanno elaboratori delle Raccomandazioni per i governi sotto forma di una “Advocacy Review”,
al fine di ridurre le conseguenze dell’ageismo e dell’isolamento
sociale, in linea con le indicazioni sull’ ”invecchiamento attivo” (Healthy Ageing) della WHO e con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (U.N. Sustainable Development Goals) delle Nazioni Unite – in particolare Ob. 3 “Garantire una vita sana e promuovere il benessere per tutti a tutte le età”.
Si
tratta di un vero e proprio “modello biopsicosociale” per la “cura” e
la promozione del benessere di questa fascia di popolazione, che parte
dai bisogni/problemi e propone strategie/interventi di comunità “mirati”
con l’obiettivo di facilitare l’inclusione delle persone anziane e
contrastare la loro esclusione/emarginazione durante – e dopo – la
pandemia di COVID-19.
- Dare priorità alle persone anziane all’interno del servizio sanitario, in quanto popolazione a rischio elevato
I ricercatori suggeriscono un programma di screening di comunità per le persone anziane coordinato dai servizi di cure primarie, comprendente risorse professionali e strumentali necessarie per agire tempestivamente in termini di diagnosi, la gestione e trattamento dei casi. L’inserimento di tale programma all’interno del sistema sanitario consentirebbe di superare l’ostacolo della difficoltà di accesso ai servizi. Inoltre, la priorità alle persone anziane riguarda anche l’erogazione di dispositivi di protezione nelle aree meno fornite (Alzheimer Europe, 2020) - Garantire la continuità delle cure per tutte le altre condizioni/patologie mediche
Il suggerimento è di utilizzare la formula della “prescrizione medica” per consentire un accesso facilitato e rapido per le persone affette da patologie croniche e degenerative; laddove i servizi necessari (ad esempio riabilitazione fisioterapica e neuro-cognitiva, psicoterapie, ecc) vengono sospesi, è necessario prevedere forme alternative di assistenza e cura (ad es. telemedicina), in cui gli operatori sanitari seguano in maniera costante le persone anziane e i loro familiari/caregiver fornendo informazioni, istruzioni, supporto emotivo, ecc. - Prevedere l’eventualità di una situazione di emergenza
Molte persone anziane vivono da sole: cadute accidentali o peggioramenti delle proprie condizioni cliniche possono accadere, perciò sono necessari sistemi di allarme o rilevatori acustici, numeri telefonici di emergenza, servizio di trasporto con ambulanza, ecc. Un intervento tempestivo riduce il rischio di aggravamento della situazione e dell’ “affaticamento” del servizio sanitario. - Garantire la “sicurezza” dell’approvvigionamento alimentare
- Welfare sociale
L’assegno di pensione e le altre misure di welfare che garantiscono la “sicurezza” non devono subire interruzioni. Utile istituire servizi di mediazione sociale per le persone anziane che non possono chiedere aiuto per la mancanza dei documenti/informazioni necessarie e dei servizi preposti, e sono perciò a rischio di manipolazione o truffa (CDC, 2020) - Consentire il rimpatrio alle persone immigrate e ai viaggiatori/migranti anziani
E’ prioritario il ritorno nella terra d’origine per le persone anziane che si trovano in condizioni socio-economiche precarie, che rimangono “intrappolate” nel luogo di residenza o nel luogo di arrivo per via del lockdown e delle restrizioni della mobilità dovute alla pandemia; si raccomanda inoltre – all’interno dei centri di accoglienza – di applicare/interpretare le linee guida alla luce delle esigenze dei migranti anziani. - Istituire help lines
Le linee tel di assistenza e supporto gestite dagli enti sanitari, le organizzazioni di volontariato e i servizi sociali possono aiutare le persone anziane a segnalare episodi di maltrattamento e fornire aiuto dal punto di vista medico, sociale, legale, riducendo le situazioni di pericolo e rischio per l’anziano stesso o la sua famiglia. - Favorire l’alfabetizzazione digitale e la comunicazione virtuale
Fornire semplici istruzioni in forma scritta e/o registrata può aiutare le persone anziane a “prendere confidenza” con i servizi digitali durante la pandemia. Alcuni studi hanno dimostrato che un approccio integrato all’alfabetizzazione digitale (personale a supporto e materiali di tipo educativo) migliora la conoscenza e il conseguente utilizzo delle tecnologie informatiche (Agewell Foundation, 2020). Inoltre, frequenti tel o videochiamate da parte di familiari, volontari e/o operatori riducono il senso di isolamento e di “dis-connessione”. - Condividere i protocolli assistenziali con la persona
I protocolli di assistenza e cura riguardanti il contagio in forma grave nonché le procedure inerenti il fine vita vanno discussi con la persona anziana, che sa di essere “suscettibile” a tali rischi, e ha bisogno di sapere quanto la sua autonomia e volontà verrà protetta/rispettata - Fare attenzione in maniera particolare alle persone con disturbi cognitivi (inclusa la demenza)
La deprivazione di stimoli ambientali aggrava notevolmente la condizione clinica delle persone anziane con problemi di tipo neuro-cognitivo, e sono stati osservati peggioramenti a livello psicologico e comportamentale a seguito delle restrizioni causate dalla pandemia. - È’ importante perciò ri-orientare la persona attraverso strumenti di aiuto visivo/acustico e stimolazione tattile, strutturare la giornata in maniera routinaria, utilizzare modalità stimolanti a livello cognitivo (arte, musica, aroma-terapia, ecc).
- Servizi di “ricovero” a lungo termine
Le residenze per anziani, i reparti di lungodegenza, e strutture simili devono essere presidiate con particolare cura, in maniera da assicurare il distanziamento fisico tra gli ospiti senza produrre isolamento sociale (CDC, 2020) - Campagne di educazione sanitaria con un taglio “positivo”
Attraverso campagne informative, educative e comunicative su piattaforme multimediali possono essere veicolati messaggi su semplici misure da adottare a casa per promuovere il proprio benessere e la propria salute (ad esempio alimentazione corretta, attività fisica, igiene del sonno, tecniche di rilassamento e meditazione, leggere e scrivere, ecc) (Home Care Assistance, 2020) - Fare attenzione in maniera particolare alla “diversità”
Le persone anziane non sono un gruppo omogeneo; la risposta globale alla pandemia di COVID19 non ha tenuto conto della diversità intrinseca nell’invecchiamento nel momento in cui è stata elaborata sotto forma di indicazioni e raccomandazioni da parte di alcuni Paesi (ad esempio il COVID-19 Response del governo australiano). E’ perciò necessario adottare un approccio multiculturale alla questione dell’invecchiamento: il campo di studi della “gerodiversity” fornisce basi teoriche per il trattamento medico e psicologico delle persone anziane all’interno di un contesto ecologico che include l’identità/eredità culturale, l’ambiente sociale, il livello comunitario, il sistema familiare, le relazioni significative; inoltre, si inquadra all’interno di un concetto di “giustizia sociale” e di analisi del processo di costruzione delle disuguaglianze (Iwasaki et al, 2009). Grazie a questo approccio, strategie di tipo protettivo, preventivo e terapeutiche possono essere adattate alla varietà e diversità dei bisogni e delle specifiche situazioni di ogni persona anziana. - Dare l’opportunità di diventare protagonisti
Si raccomanda di considerare le persone anziane come “stakeholder” (portatori di interesse), coinvolgendole nelle decisioni di politica sanitaria che riguardano la loro salute, ad esempio istituendo delle task force che ascoltino il parere dei membri anziani.
Da segnalare anche il progetto EuroAgeism – THE EUROAGEISM PROJECT (https://euroageism.eu/), che mira ad analizzare – e tentare di modificare – l’attitudine pregiudizievole a considerare/trattare le persone in base all’età, concentrandosi in particolare sulle fasce giovanile e anziana: per quanto riguarda la popolazione un network internazionale di ricercatori, policy makers, professionisti del settore sanitario e sociale, coordina 15 programmi di ricerca sulle strategie per:
- migliorare la partecipazione attiva delle persone anziane all’interno della comunità (lavoro, volontariato, ecc)
- evidenziare e rendere noto il “peso” dell’ageismo nell’accesso a beni e servizi
- promuovere una società “age-friendly”, che sostenga le persone anziane nel realizzare a pieno il proprio potenziale.
Il progetto, avviato a novembre 2017, ha ricevuto il sostegno del programma europeo HORIZON “Marie Skłodowska-Curie EU Framework for Research and Innovation”, è coordinato da una commissione di ricerca della Commissione Europea (Research Executive Agency of the European Commission), e ha recentemente prodotto delle Raccomandazioni specifiche per la popolazione anziana, rivolte ai governi e i decisori politici (Previtali, Allen, Varlamova, 2020).
CONCLUSIONI
Durante questi lunghi mesi funestati dalla pandemia le persone anziane sono andate incontro a un numero elevato di rischi per la salute dovuti a fattori biologici, psicologici e sociali, di cui alcuni pre-esistenti (ad es. l’ageismo) e altri di recente comparsa (aumento mortalità/morbilità e limitazioni all’accesso ai servizi). Molti studi evidenziano il rischio concreto che tale situazione possa continuare anche dopo la fine della pandemia, aggravando l’isolamento/emarginazione – la “tappa” finale dell’effetto combinato dei fattori su menzionati. Alcuni autori di revisioni sistematiche hanno individuato e suggerito interventi specifici e mirati, che possono essere coordinati/realizzati direttamente dal sistema sanitario (ad esempio la riduzione dei tempi dei percorsi di assistenza/cura per le persone anziane, l’attivazione di servizi di cure primarie facilmente accessibili, la consegna di farmaci e dispositivi medici a domicilio a cura degli operatori sociali “di comunità”, ecc), in integrazione con gli altri enti/risorse del territorio, e in sinergia con le misure di sanità pubblica (ad esempio l’aumento delle risorse professionali e strumentali ospedaliere). Tra le azioni raccomandate, fondamentale un cambiamento di “sguardo” che dia alle persone anziane la possibilità di diventare stakeholder/protagonisti rispetto alle scelte sulla propria salute, rispettando le differenze individuali socio-culturali e promuovendo le competenze di resilienza.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
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- II Rapporto Istat/Iss – IMPATTO DELL’EPIDEMIA COVID-19 SULLA MORTALITÀ TOTALE DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE – PRIMO QUADRIMESTRE 2020. 4 giugno 2020
A cura di A cura di R. Longo (DoRS)
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