Ogm in Italia? No grazie!
La pericolosità delle posizioni della ministra dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, sono conosciute come è stato di recente dimostrato con il suo sostegno incondizionato alle scelte del Parlamento di Bruxelles in materia di Politica Agricola Comune Europea.
Le strategie della Ministra, a detta di molti, sono in linea con le richieste della grande proprietà agricola del nostro paese, mentre la tutela dell’ambiente, nelle sue azioni, è quasi sempre un vincolo da aggirare piuttosto che la base di scelte politiche. Tuttavia Bellanova è stata in grado di superare le più fosche aspettative, con alcune proposte di decreti legge che stanno transitando in parlamento in questi giorni che riguardano addirittura gli OGM. Le Commissioni Agricoltura di Camera e Senato stanno infatti discutendo quattro proposte di Decreto legge (bozze num 208, 209, 211, 212) su sementi e materiale di propagazione (sementi, vite e piante da frutto) presentate dal Ministero dell’Agricoltura.
Al contrario della maggior parte dei paesi altamente industrializzati, In Europa abbiamo una normativa tutelante rispetto agli organismi geneticamente modificati, frutto di anni di battaglie e di forte attivazione della società civile che ha permesso di vietarne la produzione e la circolazione.
La prima moratoria è del 2001, mentre l’ultimo atto legislativo è del 2015, recepito in Italia nel 2016, con la possibilità per uno Stato membro di vietare in tutto o in parte il proprio territorio alla coltivazione di OGM.
Le ragioni, giusto per ricordarle, per le quali si scelse di poter vietare la coltivazione di OGM sono i loro rischi per l’ambiente, per gli alimenti e per i mangimi, perché possono dare adito a svariati effetti indesiderati, oltre che per aspetti socio-economici. Esse inoltre annullano la biodiversità di un territorio e aumentano drasticamente la dipendenza degli agricoltori dall’agroindustria che li produce e commercializza.
Gli effetti devastanti della diffusione massiccia di sementi OGM sono sotto gli occhi di chiunque in paesi che hanno aperto le porte alla loro diffusione come il Messico o il Brasile: perdita di varietà originarie, crisi della piccola produzione agricola, perdita di fertilità dei terreni, incremento dell’uso di erbicidi e molto altro ancora.
Più recentemente l’agroindustria ha provato a sostenere la diffusione di una nuova tipologia di OGM, basata su quelle che vengono chiamate le New Breeding Techniques (NBT). Come spiega questo articolo, le NBT dicono di essere più precise dell’ingegneria genetica “tradizionale” e di alterare solamente una parte delle basi di DNA della pianta. In realtà non è l’entità della modifica a cambiarne la pericolosità o gli effetti indesiderati che essa può determinare.
Dopo un paio di anni di tentennamenti, il 25 luglio del 2018 la Corte Suprema di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che i prodotti ottenuti tramite New Breeding Techniques, vanno equiparati agli OGM e quindi assoggettati alle stesse normative.
All’interno di un simile quadro normativo appare quantomeno bizzarro che a pochi giorni da Natale e nel mezzo di una pandemia e di una crisi economica spaventosa la Ministra dell’Agricoltura si preoccupi di avanzare una legge per permetterebbe in futuro la commercializzazione di sementi relative a varietà ottenute tramite le NBT e che pertanto sono di fatto bandite dalla coltivazione nel nostro Paese.
Inoltre non c’è stato un vero dibattito parlamentare, non c’è stato un confronto con soggetti quali agricoltori, mondo ambientalista, produzione del biologico, o quantomeno questo confronto, se con qualcuno c’è stato, non è stato pubblico né trasparente. In un comunicato congiunto in occasione di questa discussione parlamentare numerose associazioni ambientaliste denunciano che «I decreti non solo tentano di introdurre gli OGM, “vecchi” e “nuovi”, nel nostro Paese, ma cancellano anche diritti fondamentali degli agricoltori come quelli dello scambio di sementi e della risemina – diritti codificati dalla Legge 6 aprile 2004, n. 101 […] Di fatto si vuole aprire la strada a un pericolo ben più grande rappresentato dai “nuovi” OGM, che […] servono a prolungare l’esistenza di quell’agricoltura a monocoltura intensiva insostenibile e sempre più dipendente dalla chimica che di fatto minaccia sempre di più la biodiversità, l’ambiente, la salute e la sopravvivenza della tradizione agricola italiana.
I “nuovi” OGM sono ancora più insidiosi dei “vecchi”, in quanto con le nuove tecniche di ingegneria genetica si possono modificare di fatto la grande maggioranza di specie di interesse agrario quali le ortive come il pomodoro, i fruttiferi come il melo o la vite e quelle di interesse forestale».
Greenpeace e Aiab inoltre, in un comunicato del 12 dicembre in cui veniva preannunciato il tentativo del Ministero della Agricoltura aggiungevano che «Al netto di tutte le contraddizioni sin qui rilevate, qualora si volesse seriamente affrontare questo tema, ci preme sottolineare con forza che nelle proposte di Decreto sono assenti tutte le tematiche relative alla tracciabilità e ai protocolli di laboratorio per verificare il tipo di modifica genetica effettuata e la verifica che non ci siano modifiche accidentali disseminate nel genoma; […]. È chiaro a tutti che l’informazione, se non completa, non permette alcun tipo di controllo. Queste mancanze, tra l’altro, fanno “scopa” con l’irrisorietà delle sanzioni. Da 1000 a 6000 euro per l’ortofrutta se si omette di identificare il materiale GM. Non c’è bisogno di essere grandi multinazionali per togliersi lo sfizio di infrangere le regole.»
Abbiamo chiesto a Federica Ferrario, Responsabile della Campagna Agricoltura di Greenpeace Italia, un commento su questa preoccupante vicenda «In un momento in cui è necessario puntare tutto sul Green Deal e mettere in pratica un cambio di rotta del settore agroalimentare per affrontare anche i crescenti problemi per il settore dovuti al cambio climatico, rispolverare gli OGM – “nuovi” o “vecchi” che siano, tra l’altro subdolamente e senza un confronto con i diversi portatori di interesse – è anacronistico. Al contrario, sarebbe necessario utilizzare i fondi pubblici e il Recovery fund per sviluppare pratiche agricole e ricerca che puntino appunto a salvaguardare e incrementare biodiversità e metodi di produzione ecologici».
La discussione in Commissione congiunta proseguirà a gennaio fino al voto. Viste le premesse, un’ampia mobilitazione sulla tematica sarà quanto mai necessaria.
24/12/2020 https://www.dinamopress.it
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