Ambiente e scorie nucleari? Avevamo ragione!

di Alberto Deambrogio

Gutta cavat lapidem. C’è voluta tutta la tenacia e la perseveranza di alcune associazioni ambientaliste per avere, finalmente, la pubblicazione della cosiddetta CNAPI, la carta nazionale per l’individuazione delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il sito unico nazionale per lo stoccaggio delle scorie nucleari. Eppure mi è capitato personalmente, ormai ben più di un lustro fa, di ascoltare le promesse del deputato o del senatore di turno a sostenere che “tutto è pronto e posso assicurare che…”. Di promesse, di segreti o presunti tali, di rinvii, di opacità, di scelte irrazionali è costellata tutta la vicenda nucleare italiana, almeno a partire dal primo referendum della metà degli anni ’80. Chi ha voluto portare avanti le ragioni dello stop l’ha sempre dovuto fare lottando con le unghie e con i denti, passo a passo, superando delusioni, muri di gomma, momenti di gestioni straordinarie e commissariali: chi ricorda ad esempio il generale Jean? Chi ricorda, altro esempio, quanta disinformazione ha accompagnato i viaggi ferroviari verso le pratiche di riprocessamento all’estero?

I grandi sostenitori delle magnifiche sorti e progressive del nucleare, nuovamente sconfitti a referendum 10 anni fa, dovrebbero tra molti altri spunti riflettere anche oggi che finalmente un piccolo passo in avanti è stato compiuto con la resa pubblica della mappa dei siti possibili. Il nucleare italiano è stata cosa di fatto modesta, ma guardate quanti problemi si trascina e si trascinerà nel tempo!

Ora che un primo passo è stato faticosamente mosso è possibile avanzare qualche valutazione, sapendo che il tratto di strada da fare è ancora lungo e periglioso. In primo luogo occorre rilevare che la mappa è stata redatta secondo criteri messi a punto dall’I.S.P.R.A., siamo almeno nel campo scientifico e non della “teoria del dito puntato sulla carta” di berlusconiana memoria, quella che fece arrivare Scanzano Ionico alla ribalta nazionale e che fu sepolta da una giusta marea di proteste, in primis degli abitanti. Il fatto che si possa partire da una base scientifica verificabile, risolve alcuni problemi, falsifica e mette alla berlina alcuni errori marchiani da sempre rilevati dai soggetti politici e sociali che hanno lottato territorialmente e nazionalmente, lascia aperti interrogativi e possibilità che andranno risolti e colmati attraverso uno scatto democratico (tutto da mettere in pratica).

Il profilo deprimente di larga parte della classe dirigente e amministrativa di questo Paese, sin dalle prime ore dopo la notizia di pubblicazione, ha perso diverse occasioni per tacere. Abbiamo conosciuto e conosciamo da vicino gli amministratori vocati all’”investimento a breve”, territorio offerto per i depositi in cambio di laute compensazioni e di rapida quotazione personale e clanica al triste borsino del consenso. Ora conosciamo, in una rapida discesa a valle, parlamentari, sindaci, consiglieri che innalzano le motivazioni più varie e parimenti deboli per allontanare l’amaro calice.

A nessuno di questi è venuto in mente di provare a trattare i propri concittadini come persone razionali, pensanti, potenzialmente partecipanti e non come pure macchine da consenso altamente instabili. Tutti a rincorrere le straordinarie peculiarità e qualità di questo o quel territorio, magari maltrattato per altri versi, e zero disponibilità a partecipare ad un percorso che si dovrebbe volere comune, trasparente, razionale, critico. Chi da molto tempo questo approccio lo ha invocato, lo ha preteso in condizioni non semplici non può che vedere finalmente riconosciuto un punto a proprio favore.

Come ex consigliere regionale del PRC ricordo molto bene le manifestazioni, le assemblee, le discussioni d’aula in cui il nostro gruppo ha sostenuto sin dal 2005 la necessità di mettere in sicurezza le scorie presenti in provincia di Vercelli, di cementificarle, ma di non costruire ulteriori opere atte a diventare depositi non temporanei, ma potenzialmente definitivi. La carta pubblicata ora ci dà ragione, dà ragione alle associazioni con cui abbiamo lottato fianco a fianco ad iniziare da Legambiente, alle donne e agli uomini che sono cresciuti in un movimento magari non grandissimo, ma di lunga durata. Semplicemente avevamo e abbiamo davvero a cuore un territorio per l’oggi e per il domani e nella testa l’idea che l’unico modo per praticare quell’amore è non cedere a localismi beceri, interessi immediati e futili, consensi usa e getta foraggiati da fondi compensativi. Se nel perimetro della mappa non sono previsti siti possibili in provincia di Vercelli, occorre essere soddisfatti non perché tifosi di una “heimat” vercellese dalle favoleggiate qualità, ma perché sono state riconosciute valide a livello scientifico le valutazioni proprie del movimento antinuclearista nel suo complesso.

Quante volte abbiamo ripetuto la frase shock del nobel Rubbia che parlò di “sfiorata catastrofe planetaria” durante l’alluvione 2000 quando le acque lambirono gli impianti di Saluggia? Quante volte abbiamo consigliato la visione del bel documentario “Là suta” di Gaglianone, Monti e Rapalino per indurre a riflettere in prospettiva storica sul rispetto della nostra specie e sul tempo delle future generazioni alle quali noi consegnamo un pericolo? Quante volte ci siamo seduti in assemblea pazientemente con Gian Piero Godio, Umberto Lorini, Fausto Cognasso, Giorgio Comella, Paola Barassi, Rossana Vallino e tantissim@ altr@ per discutere, mostrare e confrontare dati, valutare progetti, denunciare inquinamenti…Ne è valsa la pena perché quelle posizioni costruite con fatica reggono il confronto con i criteri I.S.P.R.A.; l’unico rammarico semmai è quello per i denari pubblici spesi in opere temporanee che si potevano evitare e che troveranno presto la via della demolizione.

La piccola lezione che deriva da questa vicenda locale, ma che non si vuole localistica, è che il corpo a corpo sociale, politico e culturale con il problema può dare risultati. Nella temperie post-democratica che ci tocca vivere il rischio è di essere presi come singoli in una tremenda macchina della rappresentazione, indifesi e rancorosi, mai soggetti, men che mai soggetto collettivo.

Ora che la goccia ha cavato la pietra, che il documento e i criteri ordinatori ci sono, occorrerebbe utilizzare al meglio il tempo dato per non lasciare tutto nelle mani dell’istituzione. Non si tratta solo di verificare, cosa sacrosanta e quasi da vecchio sindacato ispettivo, la corrispondenza reale tra criteri e singoli siti potenziali (nell’alessandrino tutto bene ad esempio rispetto alle zone sismiche?), ma di cercare di agire un possibile protagonismo dal basso. Occorre vedere lo spazio pubblico, in questa occasione che ci è data, come uno spazio di forze che si misurano. La convergenza verso la decisione finale sarà sicuramente complicata, ma non sarà stata esercizio vano solo se produrrà consapevolezza critica, tessitura sociale, tentativi di ripoliticizzazione. Gli esiti di una scelta energetica negativa, ancora così gravosi, possono forse mettere in moto qualche riflessione di fondo non più rimandabile; bisognerà almeno provarci.

Alla solita governance andrebbe contrapposto un articolato processo partecipativo in grado di porsi da subito sia sul terreno del controllo sociale consapevole, sia su quello della rivendicazione attiva di nuove scelte in campo energetico e ambientale. L’occasione dovrebbe essere quella di un vero ribaltamento di paradigma. Non basta cercare di risolvere correttamente un grande problema derivato da un’opzione sbagliata, occorre sfruttare questa opportunità per imporre un nuovo rapporto tra produzione economica e riproduzione della vita e della natura.

Alberto Deambrogio

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

6/1/2021

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *