Tutti esperti di giovani
Agli adulti in generale piace parlare dei giovani. Accade da sempre e non è certo una novità di questi mesi vedere tanti adulti parlare di o in nome di chi pensano di conoscere perché ci vivono accanto, o incontrano o… percepiscono. Piace molto poi il poter confermare il proprio pensiero cogliendo, tra le tante immagini povere di pensiero che i media o le chiacchiere in libertà distribuiscono per l’uso e gli abusi di luoghi comuni, quelle che più si prestano al loro sdegno, o al loro lamento, alla loro protettiva supposta comprensione, al loro elogio o al loro dito alzato. Avremo adulti che applaudono i “bravi ragazzi” che vogliono tornare in classe o quelli che accarezzano o condannano quelli che già chiamano “furbetti della dad”. Leggeremo e ascolteremo apprezzamenti della virtù, del conformismo o della disobbedienza, del diritto al necessario o all’eccesso, scorgeremo facili e rassicuranti ironie o libere interpretazioni o il più delle volte proiezioni del bisogno di vedere quello che si vuol vedere. Troveremo compiacimento negli adulti che cercano il somigliante o anatemi in quelli che si appagano di condanne, c’è sempre una foto a disposizione per ogni argomento.
Quante volte in questi anni abbiamo visto le “fotonotizie” delle file chilometriche davanti ad un negozio Apple per l’uscita dell’ultimo modello di I-phone, quante volte abbiamo visto adulti stigmatizzare il gregarismo, la scarsa autonomia dei “ragazzi di oggi” marcando la differenza tra un inesistente “noi” e un supposto “loro”? Sono giudizi che hanno il sapore amaro dell’inutile, perché troppi adulti hanno dimenticato di essere stati bambini, come hanno dimenticato quei momenti eccezionali dell’adolescenza in cui ti accorgi che non sei lo stesso di ieri, come hanno dimenticato quanto gregarismo c’era anche in tanti momenti “gloriosi” della loro gioventù. E quel diabolico lavoro di selezione del proprio vissuto a cui noi diamo il nome di ricordi non aiuta a confrontarci con la complessità e le contraddizioni di corpi e anime che si affacciano a un pessimo mondo.
In troppi abbiamo dimenticato un aspetto decisivo della persona umana nell’epoca del suo crescere, oggi come sempre, o per lo meno da quando questa età della vita è stata scoperta e raccontata: si tratta della miracolosa possibilità, alla stragrande maggioranza degli adulti ormai sconosciuta, di ripensare se stessi e il mondo attorno portandosi in dote una straordinaria e imprevedibile disponibilità al cambiamento, una passione che può esplodere nel momento più impensato, una forza concreta di cambiare abitudini consolidate, di sfuggire agli stereotipi, di ribaltare in generosità quello che un attimo prima era l’assoluta ed egocentrica voglia di affermazione.
Quello che probabilmente gli adulti, giovani emergenti o nostalgici di “quei tempi quando invece noi…”, ricchi o arricchiti sprezzanti, sfruttati o sfruttatori che siano, fanno fatica a decifrare, oltre le solite narrazioni sulle opere buone o cattive di piccole minoranze, è l’immenso, apparente, spiazzante grande silenzio di una generazione che ha ereditato non un debito economico o finanziario, come disgustosamente continuano a ripetere coloro che misurano la vita nello spazio di un portafoglio o di un titolo di borsa, ma hanno ereditato l’imperdonabile perdita della speranza che un altro mondo sia possibile. È il silenzio di uno sguardo estraneo, quando non è ostile, di coloro per cui “tornare come prima” significa anche tornare in una scuola che li ha emarginati, o che li ha delusi, o che li ha divisi misurandoli per meriti e prestazioni. E tornare come prima significa prolungare questa misurazione nella vita, gareggiare dibattendosi nell’assenza di un futuro senza sogni.
Ancora prima che un virus si prendesse gioco dell’umanità intera, avevano provato, non più di due anni fa e non certo in silenzio, a ricordarcelo, coprendo in decine di milioni la superficie di tante città del mondo, quando giustamente hanno dato più credito a una loro coetanea che a tutti i governi del mondo. Furono irrisi, compatiti, accolti da sorrisi di comprensione, accarezzati, usati e dimenticati in un attimo.
Il silenzio con cui ci circondano ora, che noi osiamo interpretare usando l’impropria e deformante lente dei nostri ricordi o delle ricette politiche, sociologiche o “familistiche” più volte rimasticate e fallite, non è mancanza di parola, non è mancanza di idee. Ce ne accorgeremo e quando questo silenzio si trasformerà in un grido, l’unico augurio sincero che dovremmo farci è che non sia un grido familiare e rassicurante.
Mirco Pieralisi
Insegnante
18/1/2021 https://comune-info.net
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