Il complottismo nasconde i conflitti
Che determinate persone o gruppi, per il loro potere politico, economico o sociale, possano influenzare gli eventi, sembrerebbe un’evidenza. In fondo qualsiasi forma di potere si fonda sulla capacità di influire e prendere decisioni capaci di modificare il corso della storia. Eppure tale evidenza sembra essere svanita vista la facilità con cui qualsiasi ipotesi di complotto viene oggi ridicolizzata («gombloddo»).
I complotti esistono, i complottisti pure
Anzitutto partiamo da un’affermazione semplice, quasi banale: i complotti esistono. Non tutte le teorie del complotto sono rimaste teorie. Alcune sono state verificate. Ma se sono le prove a permettere di discernere tra scoperta di una cospirazione e mero delirio paranoico, quello che permette di svolgere questo processo critico sono le intuizioni e il sospetto.
Certo, i «maestri del sospetto» che Paul Ricoeur ha individuato in Nietzsche, Freud e Marx, grazie al sospetto e al dubbio avevano svelato i meccanismi dell’essere umano riguardo alla religione, al suo inconscio e alla società del capitale. Ma si trattava di un sospetto critico, insito nella contraddizione e nella complessità del pensiero, non nella semplificazione mitologica degli eventi. Oggi il sistema mediatico alternativo trasmesso nei social network ha invece scatenato un delirio opposto.
Le teorie del complotto sono diventate una mania, un tentativo di risposta immediato e automatico a tutto ciò che non riusciamo a spiegarci. Il cittadino alla ricerca di verità si trasforma in detective, si perde nella narrazione e nell’indagine, senza passare all’azione. D’altra parte il complottista si sente un «iniziato» a una realtà nascosta, finendo così per essere anche lui parte e vittima della cospirazione, credendo di detenere un sapere segreto.
Il complottista risponde alla frustrazione, dettata dall’inafferrabilità delle ragioni che muovono il mondo, con la soddisfazione di chi ha capito quali trame invisibili ne sono la causa. Insomma le teorie di complotto sono il precipitato delle paure del momento che il più delle volte non vengono affrontate. La letteratura e la psicologia del primo Novecento le hanno espresse rispettivamente tramite il romanzo poliziesco, la fantascienza (da George Orwell a Matrix) e l’analisi della paranoia. La filosofia di Karl Popper sostiene invece che si tratta di una forma moderna di superstizione, come quella che in passato attribuiva la causa degli eventi al disegno degli dei. Solo che al posto degli dei sono stati messi i Savi di Sion, gli alieni e Big Pharma.
Perché si ricorre al complotto?
Si ricorre al complotto per diverse ragioni. Anzitutto perché cerchiamo di darci delle spiegazioni a cose che ci sfuggono, e, anziché approfondire, tagliamo corto. Le teorie del complotto sono scorciatoie del pensiero. La seconda ragione è che abbiamo sfiducia nei media mainstream poiché legati al potere. La terza è che il potere è diventato sempre più invisibile e noi ne siamo sempre più lontani. E da un lato «ciò che è invisibile, diventa ciò che è nascosto», dall’altro non sappiamo nei confronti di chi o cosa indirizzare la nostra rabbia sociale. Durante la Rivoluzione francese si diffuse la «Grande Paura», ovvero il timore che i nobili stessero tramando per affamare il popolo, che reagì bruciandone i castelli. Più il potere diventa rarefatto più si ha invece la tendenza a fantasticare sui nessi causali.
Chiaramente la segretezza degli accordi di alcuni centri di potere dà ai complottisti l’assist per giustificare l’assenza di prove, come nei casi del Gruppo Bilderberg o degli Illuminati: poiché gli accordi sono segreti, non possiamo provare la loro esistenza ma nemmeno la loro inesistenza. E la sempre maggiore distanza da quei canali di trasmissione politica che erano i partiti, ha provocato un’ondata di complottismo che, secondo alcuni, sostituisce le ideologie in un mondo post-ideologico, semplificando la realtà e provando a dare senso alla complessità, limando le incongruenze, spianando le contraddizioni.
Il complottismo nasconde i conflitti. L’esempio giudeo-bolscevico
Un esempio su uno dei complotti più famosi della storia permette di capire la matrice di molti altri. All’inizio del Novecento si diffuse in tutta Europa un’opera poi rivelatasi costruita ad arte, i Protocolli dei Savi di Sion, che denunciava un complotto internazionale giudeo-bolscevico, poi alla base dell’ideologia hitleriana e della Shoah. Ancora oggi, in alcuni paesi, opere affini alimentano l’antisemitismo sfruttando l’odio verso le grandi ricchezze, collegandole agli ebrei. Su questo binomio infatti si fondano oggi gli attacchi a George Soros alla base delle teorie di «sostituzione etnica» in voga tra le destre di molti paesi.
Nello specifico, ciò che fu più volte denunciato dai nazisti come complotto «giudeo-bolscevico» e da Mussolini come complotto delle «plutocrazie occidentali», non era altro che l’identificazione di un capro espiatorio su cui riversare le colpe del vero responsabile delle crisi tra le due guerre: il capitalismo e l’imperialismo nazionalista. Il complotto servì a creare consenso e mascherare i veri responsabili, e dare una connotazione razziale al conflitto permise di proteggere le borghesie nazionali tedesca e italiana che, temendo la crescita esponenziale dei partiti di massa e vedendo nell’esplosione della rivoluzione russa il loro più grande nemico, hanno alimentato la teoria del complotto giudeo-bolscevico per nascondere le responsabilità sulle cicliche crisi del capitalismo dalla rivoluzione industriale in poi, riuscendo a dividere un fronte di contestazione alle borghesie liberali europee. Del resto teorie del complotto che proteggono i dominanti deviando la rabbia dei dominati si ripetono ancora oggi.
Complottismo di ieri, paure di sempre. Di cosa abbiamo paura?
Se è vero che le teorie del complotto sono i sintomi delle nostre paure, possiamo notare che queste paure sono storicamente conosciute ma sono state dimenticate. La neutralità predicata dal neoliberismo cerca di eliminare la riflessione sulla storia, sull’arte e sulle ideologie, che un tempo permettevano di esprimere tali inquietudini e di decifrare la realtà, creando così un vuoto culturale su cui le teorie di complotto proliferano.
La paura di essere manipolati in fondo non è che l’effetto odierno dell’alienazione individuata da Marx e Feuerbach durante la rivoluzione industriale, il processo che porta l’uomo a disumanizzarsi a causa della macchina e della distanza dal prodotto del proprio lavoro. Questo straniamento è stato denunciato da tutte le avanguardie artistiche di fine Ottocento e inizio Novecento. Oggi questa perdita di senso della realtà su cui si innesta il complottismo si amplifica nelle conseguenze degli effetti devastanti della precarizzazione, della delocalizzazione produttiva, delle logiche neoliberali e dalla profonda confusione tra realtà e mondo virtuale. Non a caso proprio su queste macerie i «sovranisti» reclutano i loro fan.
Converrebbe affrontare questi temi, elaborando una proposta politica che rimetta al centro del dibattito, democratizzandolo, le cause dell’impotenza di fronte a chi detiene il potere, quali il precariato, l’elusione fiscale della grandi multinazionali, le delocalizzazioni, l’austerità, il controllo sui nostri dati, piuttosto che lasciarli alla trasformazione che ne fanno i complottisti, che vengono poi recuperati dalle destre.
Scienza, nuove eresie e appropriazione del linguaggio
La sfiducia nei confronti delle narrazioni dei governi ha scatenato oggi un’ondata di cospirazionismo diffuso insieme a una guerra civile culturale. Così il termine complottismo impone nel discorso pubblico un pensiero binario e srotola un tappeto rosso a finti dialoghi tra sordi, che scatenano botte da orbi, tra tifosi del mainstream sudditi del pensiero unico e complottisti da strapazzo. La terra di mezzo fatta di divulgazione scientifica, confronto, lettura e comprensione di dati è divorata dal modo in cui sono costruiti i social network da un lato e dalla spettacolarizzazione delle arene politiche dall’altro. Una guerra che si rivela funzionale al potere e alla sua egemonia.
Il primo danno è la facilità con cui viene bollato come complottista, e quindi eretico, qualsiasi pensiero critico. In secondo luogo è stato delegittimato il dibattito e lo scambio democratico di conoscenze tramite l’educazione e la divulgazione scientifica. La violenza con cui alcuni interpreti della scienza, anziché fare divulgazione, bullizzano i presunti «ignoranti», presta il fianco a sospetti immotivati. Inoltre il sapere degli scienziati è diventato non argomentabile nel senso che per essere verificato occorre far parte di quello stesso gruppo di esperti. La «società iper-scientifica – scrive Alessandro Leiduan – oggi ha restaurato un modo di consacrazione del sapere che si verificava presso le società dove regnava l’oscurantismo: la fedeltà all’autorità dello specialista (prima i dottori della Chiesa, oggi gli scienziati)».
La crisi sanitaria ha mostrato in realtà che all’interno del mondo scientifico esistono punti di vista diversi. Questo può essere percepito come una mancanza di autorevolezza ma anche considerato come un sano dibattito scientifico. Non si tratta di paragonare dei novax o dei terrapiattisti a dei Giordano Bruno o Galileo Galilei, ma di spiegare come questa ondata di oscurantismo è generata da una cronica mancanza di divulgazione scientifica e di democratizzazione dei saperi attraverso l’educazione, cui i social network non possono sopperire. Non poter accedere a certi livelli di conoscenza provoca sfiducia nei confronti della scienza stessa.
Perché, occorre dirlo, persino la scienza è fallibile, per tre ragioni. La prima è politica: la scienza, come qualsiasi fonte di sapere, è sempre stata storicamente influenzata dal potere. Basti pensare che, se così non fosse, il Manifesto della Razza non sarebbe stato firmato dai principali scienziati italiani nel 1938. E oggi la scienza, la tecnica e le scienze economiche, anziché essere al servizio del progresso, sono diventate i principali strumenti al servizio del liberismo e delle sue crescenti e ineluttabili diseguaglianze, come se non ci fosse alternativa all’austerità, alla disoccupazione e al libero scambio senza regole.
La seconda ragione è economica: la comunità scientifica, ad esempio, non può non fare i conti con l’influenza dei gruppi farmaceutici nei confronti di studi e commissioni che valutano la sicurezza dei prodotti. Infine, occorre ricordare che il metodo scientifico per definizione non produce verità assolute ma eventi altamente probabili ed è a questo scarto che il mondo dei negazionismi o anche semplicemente dei critici guarda (anti-vax su tutti). Ed è proprio su questo scarto che occorrerebbe invece fare luce attraverso l’educazione e la divulgazione scientifica.
Danni del complottismo
Insieme al pensiero critico, sono state delegittimate una serie di nozioni che hanno un fortissimo valore politico e possono essere strumenti di lotta, di cui ci dobbiamo riappropriare. Foucault ha sottolineato l’importanza del linguaggio quando è strumento di dominio, quando intende escludere e controllare. Mi riferisco alle parole che ormai ridicolizzano chi le pronuncia: «potere forte»; «pensiero unico»; «lobbies». Come accade per il termine «negazionista» – come spiegano i Wu Ming – il termine complottista «spinge verso la patologizzazione dei discorsi sgraditi e la psichiatrizzazione dell’avversario». In questo tribunale linguistico per direttissima in cui si concentra tutto il «disprezzo di classe», i gruppi di potere accusati, vengono in un sol colpo assolti per mancanza di prove e deridono i loro accusatori. Anche tramite il linguaggio, il complottismo scherma il potere.
La letteratura e la psicologia hanno mostrato il complottismo come una forma «zoppa» di conoscenza chiarendone gli aspetti più irrazionali. Andare al di là della patologizzazione del complottismo attraverso la storia e il linguaggio ci permette di coglierne i risvolti politici. Non si tratta solo di un bias cognitivo ma anche di una cultura che può produrre delle realtà nefaste. Se oggi si assiste a uno spostamento verso destra del dibattito pubblico non si può non notare il ruolo centrale del complottismo e delle sue conseguenze.
Partiamo dall’assunto generale del complottismo: il potere appartiene sempre agli stessi che fanno di tutto per mantenerlo. Quest’affermazione può avere due effetti, non necessariamente alternativi, che si nutrono reciprocamente. Il primo è che le teorie del complotto deresponsabilizzano: se tutto è controllato e manovrato, non posso agire nella realtà perché non conto nulla. Ciò genera l’allontanamento dalla politica, l’astensionismo o l’acquiescenza a un dato di fatto immutabile, accompagnata da una diminuzione di senso civico e comportamenti pro-sociali.
Prima ancora di armare l’estrema destra, il complottismo provoca una sorta di «riciclaggio politico» delle rivendicazioni e delle contestazioni, svuotandole apparentemente di connotazioni ideologiche. L’altro effetto possibile è una presa di coscienza che scatena una rivoluzione (che spesso è di matrice reazionaria come nel caso di QAnon o del djihadismo). Hannah Arendt infatti ci ricorda che il complottismo ha conseguenze reali: l’ideologia nazista si è servita del complotto per fondare la sua azione politica. L’ideologia (complottista) può diventare fonte e spiegazione di un fenomeno sociale e di un cambiamento politico, quindi causa di fascismo. Ancora oggi le teorie complottiste sono un espediente low cost che permette di capitalizzare lo scontento, aprendo degli spazi politici anche al di fuori dei vecchi partiti. L’esempio più recente e violento è rappresentato dalle contestazioni negli Stati uniti: il complottismo ha accompagnato l’elezione di Trump così come gli eventi sovversivi di Capitol Hill in cui i protagonisti erano i seguaci della teoria QAnon.
Il M5S è stato invece un esempio emblematico di «rivoluzione passiva» a metà strada tra i due effetti descritti sopra: dicevano di essere l’antipolitica, di voler «aprire il parlamento come una scatoletta di tonno», poi sono diventati partito di governo, prima con la Lega, poi con il Pd. Pagano da tempo il prezzo della loro neutralità ideologica subendo un processo di normalizzazione inesorabile.
La Lega e Trump invece, ideologicamente più definiti e col sostegno già acquisito del mondo conservatore, hanno capito la formula magica del neoliberismo di cui sono contemporaneamente i guardiani e gli agitatori di opposizione. Attraverso il complottismo riescono a razionalizzare il malessere sociale, assicurandosi il sostegno di coloro che subiscono le ricette neoliberali: i perdenti della mondializzazione come gli operai della Rust Belt americana o del nord Italia. Estreme destre mondiali e complottismo si nutrono a vicenda attraverso una rete propagandistica fortemente ancorata nei social network, come ricostruito da Report in questa puntata sulla fabbrica della paura di Salvini e Meloni. L’emigrazione verso la Lega di una buona parte dell’elettorato del Movimento Cinque stelle durante le ultime elezioni europee e amministrative conferma questo fenomeno di spostamento a destra, accompagnato da un’ondata di complottismo che ricicla e recluta i suoi sostenitori dal magma dell’astensione, della contestazione e della confusione ideologica. Il complottismo è quindi la bugia con cui le destre nutrono il consenso degli oppressi per sostenere i loro oppressori.
È sia l’alibi dei dominati che non riescono a cambiare il mondo, sia il gioco di prestigio che permette al potere di restare al suo posto.
Tobia Savoca, palermitano, è laureato in Giurisprudenza in Italia dove si è abilitato alla pratica forense, e laureato in Storia in Francia, dove attualmente insegna. Scrive di storia, politica, società ed educazione.
5/2/2021
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