Ecco come Big Pharma si assicura sempre guadagni stratosferici, anche con i vaccini
Tremila pubblicazioni scientifiche scandagliate per individuare le strategie dei giganti della farmaceutica finalizzate a massimizzare i profitti e sfruttare l’attuale crisi sanitaria a loro vantaggio,
a discapito dell’interesse generale. È un lavoro d’inchiesta e
d’analisi approfondito quello condotto da Public Eye, Ong elvetica, i
cui risultati sono stati pubblicati a marzo nello studio “Big Pharma si prende tutto” (disponibile nella versione integrale solo in inglese, in tedesco e francese una sintesi).
Nello studio, sono state riassunte le principali dieci strategie
implementate dalle grandi industrie farmaceutiche a difesa dei loro
interessi.
«La pandemia ha crudelmente messo in evidenza non
solo le carenze strutturali, ma pure il modello d’affari problematico
grazie al quale l’industria farmaceutica genera da decenni margini di
profitto astronomici» scrive nell’introduzione Public Eye. Nell’anno
della pandemia planetaria, più di 93 miliardi di euro di fondi pubblici
sono stati investiti nello sviluppo dei vaccini, diagnostica e
trattamento del Covid-19. Un’occasione persa dai governi per imporre
l’accessibilità a questi fondi pubblici in cambio di trasparenza sulle
condizioni di accesso e dei prezzi dei farmaci prodotti, rilevano gli
autori dello studio. Così facendo, in un processo totalmente opaco,
prevale la logica della massimizzazione dei profitti delle industrie
private a detrimento dei bisogni della salute essenziali della
popolazione. Le aziende riescono così a imporre dei prezzi elevati
ingiustificati, ma non contestabili in assenza di dati trasparenti. Ed è
proprio l’opacità uno dei pilastri delle strategie utilizzate dalle
grandi aziende del ramo che impediscono la discussione democratica sui
farmaci. Senza dati certi, i giganti dell’industria farmaceutica
gonfiano sistematicamente le stime dei propri investimenti nella ricerca
e lo sviluppo dei nuovi medicinali, minimizzando invece il contributo
dei fondi pubblici. I nuovi medicamenti vengono poi brevettati dalle
grandi aziende per garantirsi i profitti derivanti. Alla radice del
problema, l’accordo sui diritti di proprietà intellettuale relativi al
commercio (Adpic), in vigore dal 1995. Quest’ultimo conferisce il
diritto alle multinazionali di approfittare della loro posizione
monopolistica per fissare dei prezzi eccessivi, malgrado gli ingenti
fondi pubblici di cui sono state beneficiarie. A farne le spese sono
soprattutto le popolazioni dei Paesi più poveri, escluse dai vaccini
Covid-19 per ragioni economiche. Per questi motivi, Public Eye e Amnesty
International hanno lanciato una petizione affinché anche la Svizzera
sostenga la possibilità di derogare agli Accordi internazionali sui
brevetti (si veda l’articolo allegato).
Ma
le norme sui brevetti si ripercuotono pure nei Paesi ricchi dove si
assiste all’esplosione dei costi della salute. In questi Paesi, i
cittadini pagano due volte la fattura, dapprima sovvenzionando la
ricerca privata coi soldi delle loro tasse per poi essere
successivamente costretti a pagare i medicamenti a prezzi spropositati.
Ma
l’attuale legislazione internazionale dei brevetti nel campo della
salute produce altri effetti nefasti. Eloquente è il caso della
pandemia, afferma l’Ong, annotando che già nella primavera dello scorso
anno vi erano segnali evidenti che la procedura dei brevetti dei vaccini
avrebbe generato difficoltà di approvvigionamento. Seppur segnalati,
quegli appelli rimasti inascoltati hanno poi portato alla penuria
mondiale che oggi conosciamo, creando al contempo un’accumulazione
futura delle riserve dettata dal panico di rimanerne senza.
La
radice del problema, scrivono gli autori, è considerare la salute come
un prodotto commerciale qualsiasi da cui ricavare il massimo del
guadagno. La ricerca del massimo profitto spinge le grandi case
farmaceutiche a concentrarsi quasi esclusivamente sui trattamenti medici
delle malattie croniche quali il cancro o il diabete, particolarmente
redditizie ai loro portafogli in ragione della durata d’impiego. Le
terapie delle malattie infettive, particolarmente presenti nei Paesi
poveri, sono state quasi ignorate perché non lucrative. «Fino a poco
tempo fa, le società farmaceutiche si disinteressavano delle malattie
trasmissibili o dei vaccini. L’avvento della pandemia Covid-19 ha
parzialmente cambiato le cose. Le grandi imprese farmaceutiche
fiutandone l’affare, hanno acquistato o stretto collaborazioni con
piccole imprese nascenti impegnate nella ricerca in questo campo». È il
caso del colosso americano Pfizer, la più grande società del mondo
operante nel settore della ricerca, della produzione e della
commercializzazione di farmaci. Negli ultimi decenni la Pfizer aveva
condotto una politica aggressiva di acquisizione di piccole aziende
farmaceutiche per assumere un ruolo dominante nel mercato farmaceutico
mondiale. È in questa logica che nel 2018 si associò alla tedesca
BioNTech già, azienda promettente nella ricerca e lo sviluppo di vaccini
anti-influenzali con la metodologia innovativa RNA, da cui nacque poi
il primo vaccino anti Covid-19. Albert Bourla, amministratore delegato
della Pfizer, il giorno dell’annuncio al mondo della scoperta del
vaccino anti Covid-19, vendette il 62% delle sue azioni guadagnando in
un sol colpo oltre 5 milioni e mezzo di dollari.
La Pfizer è
solo un esempio di un sistema generalizzato tra le grandi imprese
farmaceutiche, annota Public Eye. «Negli ultimi venti anni, il settore
della farmaceutica si è progressivamente trasformato in un’industria
d’investimento. Le grandi aziende impiegano i propri fondi per acquisire
ditte concorrenti e piccole imprese innovative, speculando sui guadagni
derivanti dai brevetti diventati di loro proprietà. Lo scopo finale è
versare dividendi astronomici ai loro azionisti».
Per tutelare i propri vantaggi, le Big Pharma non lesinano fondi per l’attività di lobbismo, rileva la Ong con sede a Losanna. Negli Stati Uniti, 39 dei 40 rappresentanti del potere legislativo che hanno ricevuto i più importanti contributi delle società farmaceutiche, siedono nelle commissioni sulla salute. In Svizzera, l’intensa opera di lobbing verte a bloccare ogni tentativo di ridurre i prezzi dei farmaci, tra i più alti del mondo intero.
Francesco Bonsaver
17/3/2021 https://www.areaonline.ch
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