Covid-19 e covidismo: tra malattia, isteria biopolitica e militarizzazione
La gestione Covid-19 è sempre stata improntata a livello epidemiologico e securitario, gettandoci in un vero e proprio “stato d’eccezione”, ciò che in scienza politica indica una particolare situazione all’interno di uno Stato che comporta la sospensione delle caratteristiche tipiche di uno Stato di diritto. Ciò ha dato adito a misure restrittive completamente fallimentari, mentre i sistemi sanitari delle democrazie liberali mostravano tutte le loro contraddizioni: privatizzazione della sanità, ingenti finanziamenti alle cliniche private e centralità/potere delle case farmaceutiche che continuano ad influenzare le politiche, la ricerca e l’agenda sanitarie globali. In tutto questo la militarizzazione della salute andava di pari passo con lo “stato d’eccezione” in Italia, l’incremento delle spese militari, del commercio delle armi e l’avvento della missione ‘Defender Europe 20’, la missione NATO più grande degli ultimi 25 anni sul territorio europeo che a marzo 2020 è stata sospesa e a giugno ha proseguito con i 6mila militari già arrivati da Washington con il fine di dissuadere la Russia da qualunque mira espansionistica.
Lo “stato d’eccezione” e la militarizzazione da Covid-19 hanno visto i suoi risvolti biopolitici (covidismo) nel linguaggio che è stato usato e nel senso di competizione, mettendo gli uni contro gli altri. Di questo e molto altro ne parliamo con Antonio Mazzeo, giornalista, saggista, ecopacifista e antimilitarista, attivo nei Movimenti No-Mous e vincitore nel 2010 del Primo premio “Giorgio Bassani” di Italia Nostra per il giornalismo. Già collaboratore di Pressenza Italia e per Africa Express, ha incentrato le sue inchieste sulla militarizzazione dei flussi migratori che compongono la Fortezza Europa, sul commercio di armi, sulla geopolitica, sul dramma delle guerre e sulla violazione dei diritti umani.
Durante la crisi sanitaria l’epiteto di “negazionista” è stato usato anche in modo strumentale. Quale ruolo ha avuto?
Proviamo intanto a dare un significato al termine. Secondo l’enciclopedia Treccani, connegazionismo viene indicata “polemicamente una forma estrema di revisionismo storico, la quale, mossa da intenti di carattere ideologico o politico, non si limita a reinterpretare determinati fenomeni della storia moderna ma, specialmente con riferimento ad alcuni avvenimenti connessi al fascismo e al nazismo (vedi l’istituzione dei campi di sterminio), si spinge fino a negarne l’esistenza o la storicità”. Si può comprendere dunque la gravità dello stigma sociale che è stato attribuito a tutte quelle persone “ree” di aver messo in discussione le narrazioni main stream sul Covid19. Abbiamo assistito perfino alla criminalizzazione di chi ha posto domande e dubbi sulla reale origine del coronavirus (tema del tutto sparito dal dibattito politico e mediatico), sulle responsabilità delle istituzioni internazionali, statali e locali nel non aver contrastato efficacemente l’espansione dei contagi, o sulla sostenibilità e legittimità delle misure militar-sicuritarie di “contenimento” imposte a suon di decreti, estremamente limitanti di diritti individuali e sociali, ecc. Oggi si arriva ad etichettare come negazionista pure chi si espone nel denunciare gli ignobili profitti delle transnazionali farmaceutiche e gli evidenti limiti e pericoli dei vaccini. Per alcuni io stesso sarei un negazionista perché più volte ho osato documentare la dichiarata “centralizzazione” e “militarizzazione” di milioni di dati sensibili delle persone sottopostesi a vaccinazione, ponendo altresì seri dubbi sulla fondatezza costituzionale di un eventuale passaporto vaccinale per poter frequentare luoghi pubblici o viaggiare tra le regioni e i paesi Ue. Ovviamente il primo effetto dell’uso generalizzato e del tutto decontestualizzato del termine negazionista consente di delegittimare le sempre meno voci fuori dal coro ed affermare il pensiero unico in tempi di pandemia. Con la conseguenza di cancellare ulteriormente gli spazi di libertà d’espressione e dibattito socio-politico. Fare apparire come negazionista ogni critica alle pratiche imposte autoritariamente e finanche spesso prive di rigore scientifico, consente di assimilarne l’autore all’assertore della non esistenza della pandemia. Un folle terrapiattista, ancora più pericoloso dei fascionegazionisti di lager e camere a gas, da bandire perfino anche dai social, dove invece possono continuare a proliferare svastiche e croci celtiche.
Perché, all’interno della sinistra radicale, ad eccezione di Wu Ming e della storica Alessandra Kersevan, questo termine è stato poco problematizzato? Non si ha avuto la capacità politica?
E’ indubbio che oggi a sinistra siano enormi le difficoltà a dar vita e sviluppare un dibattito serio e partecipato sull’escalation autoritaria e ultraliberista che la “gestione” della pandemia ha generato soprattutto a danno dei ceti socialmente ed economicamente più deboli del paese. La visione statalista maggioritaria nelle aree della cosiddetta “sinistra radicale” mentre sono minoritarie le tendenze più spiccatamente libertarie, non facilita di certo i percorsi di elaborazione di pensieri “altri”. A ciò si aggiunge l’impossibilità di trovare luoghi fisici di confronto e discussione collettiva dati i generalizzati lockdown, l’imposizione del “distanziamento sociale” e i ripetuti divieti di “assembramento”. Non saremmo certo a questo punto se nelle ultime decadi, sinistra “radicale” e “moderata”, l’associazionismo, le organizzazioni sindacali, ecc. avessero fatto fronte comune contro il neofascismo dilagante e lo stesso negazionismo storico sui crimini del colonialismo italiano in Africa o di quelli perpetrati in Yugoslavia durante la seconda guerra mondiale, Con l’aggravante di aver consentito a Casa Pound, alla destra estrema e a quella in doppio petto che siede in Parlamento di capovolgere la narrazione sul negazionismo e scagliarsi contro coloro che provano a documentare i falsi storici sulle foibe e il “genocidio titino” degli italiani d’Istria e Dalmazia, come ad esempio è accaduto alla stessa Alessandra Kersevan o alla triestina Claudia Cernigoi. Proprio i Wu Ming ci ricordano che la destra si è appropriata dell’accusa di negazionismo per consentire a certa narrazione risalente al collaborazionismo filonazista di diventare storia di Stato (vedi l’istituzione del Giorno del Ricordo). “Quel che è più grave – aggiungono i Wu Ming – il termine spinge verso la patologizzazione dei discorsi sgraditi e la psichiatrizzazione dell’avversario: se non sei d’accordo con me che la penso come tutti allora neghi la realtà, e chi nega la realtà è un folle o un demente, e coi folli o i dementi non si può ragionare…”.
Devo comunque dire che in Italia non sono mancate in queste mesi altre importanti voci di contro-pensiero sulla pandemia e di denuncia sulla militarizzazione dilagante. Penso ad esempio al Gruppo di ricerca pandemico che ha raccolto a sé studiosi, pedagogisti, medici, psicologi, ecc. e che ha pubblicato recentemente un prezioso volumetto di cui ne consiglio la lettura (Anarchia contro il virus. Cronache e prospettive, Zero in condotta edizioni), all’Osservatorio sulla repressione, ad alcuni centri sociali e circoli libertari, a politologi e sociologi come ad esempio Turi Palidda dell’Università di Genova, Pietro Saitta dell’Università di Messina ed altri.
Durante la prima ondata e il primo lockdown l’attenzione sulla contagiosità era riservata ai famosi runner o su chi usciva per fare delle passeggiate in solitaria, mentre i luoghi di lavoro, con il benestare di Confindustria, erano visti come inviolabili. La colpevolizzazione tra la gente e la “caccia all’untore” nascondono un ruolo politico?
La caccia all’untore in tempi di pandemia ha consentito innanzitutto di legittimare ignobili pratiche di controllo sicuritario e repressione, accelerare la militarizzazione di ogni spazio pubblico, sperperare enormi risorse finanziarie con l’acquisto e utilizzo di sistemi di videosorveglianza, droni, ecc., senza che tutto ciò creasse preoccupazioni di alcun genere tra la stra-maggioranza dell’opinione pubblica. Ovviamente tutto ciò ha consentito pure una grande operazione di manipolazione e occultamento delle verità sulle cause e le responsabilità dello scoppio della pandemia e degli innumerevoli errori, volontari e non, che le autorità pubbliche hanno commesso nel tentativo, fallimentare, di contrastare i contagi. Il runner è un capro espiatorio, ancora più fragile e facilmente criminalizzabile perché è solitario e “disobbediente”.
Prima con le restrizioni, poi con le multe che incidevano sulla fedina penale, le forze armate a presidiare le strade, i droni e poi la conseguente militarizzazione della crisi sanitaria fino ad arrivare ad avere il Generale Figliuolo a gestire l’emergenza. Sono state fornite le condizioni “culturali” per militarizzare la società?
Sì, sono convinto che non c’è stata scelta in tutti questi mesi che non abbia perseguito innanzitutto il fine di condizionare pesantemente l’assetto democratico del paese, accelerare i processi autoritari, di militarizzazione e riarmo, rafforzare ulteriormente il peso delle classi dominanti e ridurre al lumicino le pratiche di lotta, l’opposizione e il dissenso. Un golpe bianco fatto di innumerevoli decreti e divieti e che temo sarà seguito presto – così come accaduto con i colpi di stato in America latina negli anni settanta del secolo scorso e le ricette neoliberiste adottate dai militari torturatori – con un ulteriore pesantissimo attacco al salario e ai diritti sindacali di milioni di lavoratori dipendenti. Tutto ciò mentre si perpetrerà la condanna all’assoluta precarietà delle nuove generazioni.
Sabino Cassese e Giorgio Agamben, coraggiosamente, hanno criticato la violazione delle libertà costituzionali che da Conte a Draghi continua ad esserci. Siamo solo all’inizio di uno “stato d’eccezione”?
Lo stato d’eccezione è ormai stato permanente e i decreti, le circolari e gli stessi atti e comportamenti delle autorità di governo e dell’apparato poliziesco e militare hanno nei fatti re-iscritto la carta costituzionale. Senza una nuova resistenza sociale e politica il rischio che il post-pandemia sia segnato da una società di stile e modello orwelliano è davvero reale.
In tempi in cui vengono a galla gli effetti della privatizzazione della sanità ed emerge il “dogma della sicurezza”, è un caso che Bill Gates abbia un ruolo centrale nel dettare l’agenda sanitaria globale?
Bill Gates, la sua fondazione e la rete di holding finanziarie medico-farmaceutiche sviluppatasi parallelamente sono certamente un aspetto chiave per comprendere l’ulteriore spinta alla privatizzazione selvaggia del sistema sanitario globale. Però Gates & soci non sono l’unico attore in questo devastante processo economico e socio-sanitario. La stessa guerra dei vaccini che vede su fronti contrapposti transnazionali farmaceutiche e industriali e persino le grandi potenze nucleari è la riprova dell’esistenza di una ristretta pluralità di protagonisti. Questo lo dico perché non vorrei che anche a sinistra si riproducesse la falsa immagine di Grande fratello del plurimiliardario di Seattle. La complessità della globalizzazione richiede uno sforzo che vada aldilà di pericolose esemplificazioni.
In questi periodi bui, saremo in grado di costruire un’altra visione politica in critica al sistema-mondo?
Mi si consenta il pessimismo dell’ottimismo. Quanto sta accadendo è di una rilevanza reazionaria e controrivoluzionaria che non ha precedenti nella storia universale degli ultimi ottant’anni. La pandemia ha ulteriormente moltiplicato i divari tra le classi sociali e ciò è avvenuto tra indicibili e dolorosi lutti e le condanne all’isolamento forzato di miliardi di persone. La corsa al riarmo, anche nucleare, è stata rilanciata come non accadeva da tempo e insieme all’instabilità globale tutto ciò accresce i rischi di olocausto. Non voglio poi pensare alla cosiddetta “transizione ecologica” che sarà implementata a suon di miliardi dal governo Draghi o dalla Ue e dalle altre potenze economiche mondiali. Però la storia dell’umanità ci insegna che anche di fronte al peggiore del fascismo militarista c’è stata la capacità prima di resistere all’annientamento e poi di sconfiggerlo. Ricostruire legami, solidarietà e resistenze è un nostro dovere. E dobbiamo provarci. Subito.
Lorenzo Poli
18/4/2021 https://www.pressenza.com
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