Gli invisibili esclusi dal vaccino

Lo scorso anno, la Ministra Teresa Bellanova parlava dell’importanza di rendere visibili gli invisibili, ossia di facilitare la regolarizzazione di uomini e donne migranti, soggetti a maggior precarietà e sfruttamento proprio a causa del fatto di non essere in possesso di documenti, tramite una sanatoria inserita nel Decreto Rilancio promosso dall’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Se prima le testate giornalistiche si erano concentrate, seppur momentaneamente, sulle iniziative e sulle proteste dei braccianti agricoli stranieri che reclamavano la propria regolarizzazione, a maggior ragione alla luce dell’attuale emergenza sanitaria, oggi sono tornati a  essere invisibili, scomparsi dal dibattito pubblico. Eppure continuano a essere presenti quelle condizioni di precarietà e sfruttamento, unite alla difficoltà di poter accedere al piano vaccinale.

La procedura di regolarizzazione sta andando verso il fallimento: già l’anno scorso si sottolineava come i soli settori dell’agricoltura, del lavoro domestico e dell’assistenza alla persona fossero pochi per permettere ai lavoratori e alle lavoratrici stranieri di regolarizzarsi, escludendo tutti gli altri (dall’edilizia al turismo e alla logistica, per esempio). Secondo il rapporto del 2020 della campagna Ero straniero – L’umanità che fa bene, «il totale delle domande ricevute ammonta a 207.542: l’85% del totale delle domande trasmesse (176.848) riguarda il lavoro domestico e di assistenza alla persona, mentre le domande per l’emersione del lavoro subordinato (agricoltura, pesca, altro) hanno riguardato il 15% del totale (30.694). Per quanto riguarda invece l’altra procedura prevista nel decreto ‘rilancio’ (art. 103, comma 2), sono state 12.986 le richieste di permesso di soggiorno temporaneo presentate direttamente da cittadini stranieri (e non dai datori di lavoro come nell’altra procedura): un numero molto basso, com’era prevedibile dal tipo di requisiti richiesti». Tuttavia, al 31 dicembre 2020, come sottolinea sempre la campagna Ero Straniero nel rapporto pubblicato il 4 marzo, per quanto riguarda la prima procedura, a fronte delle oltre 207.000 domande in tutta Italia sono stati rilasciati solo 1.480 permessi di soggiorno, ossia lo 0,71% del totale. Inoltre, «al 16 febbraio 2021, a sei mesi dalla chiusura della finestra per l’emersione, solo il 5% delle domande è giunto nella fase finale della procedura, mentre il 6% è nella fase precedente della convocazione di datore di lavoro e lavoratore per la firma del contratto in prefettura. In circa quaranta prefetture, distribuite su tutto il territorio, non risultano nemmeno avviate le convocazioni e le pratiche sono ancora nella fase iniziale di istruttoria».

I dati allarmanti derivano dai lunghissimi tempi burocratici che impediscono di fatto ai lavoratori e alle lavoratrici migranti di regolarizzarsi. Se da un lato queste tempistiche sono date anche da difficoltà amministrative – su cui incide, tra le altre cose, la mancanza di ulteriore personale, come viene evidenziato nel rapporto – causate dalle misure di emergenza sanitaria, dall’altro è evidente che il problema è a monte: le leggi italiane in materia di immigrazione sono scritte in modo tale da alimentare un limbo fatto di precarietà e irregolarità, contribuendo all’esclusione sociale e alla vulnerabilità di chi è soggetto a tali leggi.

È inevitabile far riferimento alla legge Bossi-Fini che vincola il permesso di soggiorno al contratto di lavoro rendendo di fatto difficile, se non impossibile, la permanenza della persona straniera in Italia. Questo perché da un lato pone chi vuole entrare in Italia nella pressoché impossibile condizione di dover possedere un contratto di lavoro ancor prima di arrivare – idea senza senso, come se si potessero incrociare domanda e offerta di lavoro a distanza, senza conoscersi, quando il lavoratore o la lavoratrice si trova ancora nel paese di origine – dall’altro perché se per ottenere il permesso di soggiorno occorre avere un lavoro (e viceversa), gran parte delle persone che arriva in Italia per altre vie – solitamente quelle più pericolose, come quella del Mediterraneo, in assenza di strade legali e sicure – rimane schiacciata da una realtà che le costringe a lavorare in nero, in assenza di tutele, nella speranza di regolarizzarsi nel corso del tempo.

Sono trent’anni che l’Italia va avanti con regolarizzazioni periodiche senza cambiare una legge discriminatoria che vede uomini e donne migranti solo come forza lavoro sfruttabile e non come soggetti i cui diritti devono essere riconosciuti. Essere sans-papiers significa, tra le altre cose, avere maggiori difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari: benché l’Italia sia uno dei Paesi europei che ha affermato di voler garantire il vaccino a ogni persona, a prescindere dal proprio status, il problema rimane la burocrazia piena di ostacoli, specialmente per chi fa parte delle categorie più vulnerabili. Secondo le ultime stime, si parla infatti di circa 500mila persone che rischiano di non accedere alla campagna vaccinale, tra cui vi sono i senza dimora sia italiani che stranieri, una parte della popolazione di etnia Rom e Sinti, richiedenti asilo e lavoratori e lavoratrici stranieri senza permesso di soggiorno. Come spiega l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi), «una delle maggiori difficoltà segnalate al Ministero della Salute è la mancanza di documenti per poter accedere di fatto alle prestazioni offerte dal Servizio sanitario pubblico, tra cui in questa fase è cruciale la vaccinazione anti Covid19». Per questo motivo l’Asgi – insieme alle associazioni Caritas Italiana, Centro Astalli, Emergency, Intersos, Médecins du Monde, Medici contro la Tortura, Medici per i Diritti Umani (Medu), Medici Senza Frontiere (Msf), Sanità di Frontiera e Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (Simm) – ha inviato una lettera al Ministro della salute Roberto Speranza affinché venga realizzato un piano vaccinale strategico indirizzato proprio a queste categorie, tramite specifiche modalità di inclusione e flessibilità amministrativa.

A tutto questo si aggiunge un’altra realtà «invisibile» semplicemente perché la si vuole rendere tale senza parlarne mai abbastanza: quella degli hotspot e dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr). In questo caso si parla di trattenimenti illegittimi nei confronti di uomini e donne migranti a cui non solo viene privata la libertà personale tramite detenzione arbitraria – questione per cui l’Italia, nel 2016, era già stata condannata nel caso Khlaifia c. Italia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, facendo appello all’Art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – ma che vivono in condizioni insostenibili a causa del sovraffollamento, di mancanza sia di assistenza sanitaria adeguata che del rispetto dei diritti umani basilari. Nei Cpr vengono continuamente denunciati sia episodi di violenza da parte delle forze dell’ordine sia condizioni sanitarie estremamente precarie. Il gruppoMai più Lager – No ai Cpr esegue un lavoro di aggiornamento costante sulle condizioni dei Cpr, in particolare sulle condizioni del Cpr di Milano. In un aggiornamento del 26 febbraio si parla infatti di mancanza di visite specialistiche, trattenimento illegittimo di minori, malati psichiatrici e tossicodipendenti. Inoltre ci sono stati almeno tre casi di Covid, mancano sanificazioni e spesso le forze dell’ordine non indossano le mascherine.

Nonostante i numerosi appelli e le numerose proteste per chiudere quelli che sono dei veri e propri lager dove i diritti umani non esistono, nulla è stato fatto per cambiare una situazione che continua a essere insostenibile almeno dal 1998, anno in cui con la legge Turco-Napolitano nacquero i centri detentivi per migranti da identificare o in attesa di espulsione. Nessun governo da allora ha mai contestato questo sistema e lo stesso vale per la legge Bossi-Fini che continua a essere in vigore senza arrivare mai a un suo superamento tantomeno all’abolizione effettiva. Il Coordinamento Migranti di Bologna pone come obiettivo quello di ottenere un permesso di soggiorno incondizionato ed europeo, libero dai requisiti stringenti del contratto di lavoro e del reddito, che spesso conducono la persona ad accettare condizioni inumane, degradanti e di sfruttamento per poter accedere al documento in questione. Non mancano le minacce e gli abusi dei datori di lavoro che costringono uomini e donne migranti ad accettare salari fin troppo bassi, consapevoli del fatto che senza quel lavoro, non possono ottenere il permesso di soggiorno.

L’attuale governo del Presidente Mario Draghi, tra le altre cose, ha affermato di voler rafforzare i rapporti bilaterali e plurilaterali Libia-Ue e Turchia-Ue, nonostante i numerosi rapporti inerenti alle violazioni dei diritti umani che giornalmente avvengono nei centri di detenzione libici da parte delle milizie, ai respingimenti illegali nel Mediterraneo Centrale verso la Libia e nell’Egeo verso la Turchia da parte delle autorità greche – senza contare le condizioni inumane in cui si trovano rifugiati e richiedenti asilo negli accampamenti dell’isola di Lesbo.

Le attuali leggi italiane, e in ultima analisi le leggi europee, che governano l’immigrazione contribuiscono alla creazione di un sistema strutturalmente razzista e classista in cui a rimetterci sono persone i cui diritti umani vengono sistematicamente negati, anche durante l’emergenza sanitaria, e a cui si risponde con politiche di esclusione sociale, di espulsioni, di  controllo delle frontiere e di rimpatri.

Oiza Q. Obasuyi

Esperta di relazioni internazionali, migrazioni e diritti umani

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 46 di maggio-giugno 2021:  “La salute non è una merce

Photo Credits: “Invisible” by Alyssa L. Miller is licensed under CC BY 2.0

20/4/021 https://www.attac-italia.org

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