SALUTE NELLA DIFFERENZIATA
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Il diritto alla salute, insieme al diritto all’istruzione, costituisce le fondamenta della cittadinanza sociale nel nostro Paese ed ha le sue radici nell’Art. 32 della Costituzione che recita “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività…..”
Che cosa ha mosso sostanzialmente le regioni a chiedere l’Autonomia Differenziata in Sanità?
Le ragioni effettive delle richieste di AD da parte dei territori più ricchi del Paese sono motivate dall’esigenza di ottenere l’autonomia economico-finanziaria ed emanciparsi dalle politiche di austerità imposte dallo Stato dopo la crisi economica del 2007/2008.
Mentre, infatti, in seguito alla crisi le regioni del centro-sud finivano sotto la tutela del Ministero dell’Economia e Finanza e vedevano i propri servizi declinare inesorabilmente, quelle del centro-nord acceleravano la ristrutturazione dei loro SSR, utilizzando l’ampia autonomia loro attribuita dal Titolo V° Cost. Ora intendono portare a termine il processo autonomistico tramite l’Art.116, c.3 Cost., svincolarsi dalla ricentralizzazione delle politiche di finanza pubblica conseguenti alla crisi e trattenere quasi tutto il gettito fiscale nel proprio territorio.
La pandemia, pur avendo certificato il fallimento dei Servizi Sanitari Regionalizzati, soprattutto nelle regioni richiedenti l’AD e con i residui fiscali più alti, ha ulteriormente accentuato tale spinta, al fine di accaparrarsi i finanziamenti del Recovery Fund. Se tale processo non si fermerà a pagare saranno le regioni più povere, perché diventerà impossibile garantire perequazione e solidarietà verso i “territori con minore capacità fiscale per abitante” (Art. 119, 3 C. Cost.)
Che succederà in concreto se passerà l’Autonomia Differenziata in Sanità?
Sarà cancellato il nostro il Servizio Sanitario Nazionale, ora improntato ai principi di universalità, equità e solidarietà, per cui tutti i cittadini, indipendentemente da origini, residenza e censo devono essere curati allo stesso modo con oneri a carico dello Stato, mediante prelievo fiscale su base proporzionale.
Avremo 21 Servizi sanitari diversi e ogni Regione ne deciderà l’organizzazione in base alle risorse disponibili, da suddividere però con le altre materie, 23, se passassero tutte. E, poiché è prevedibile che le risorse non bastino, le regioni ricorreranno ad assicurazioni, fondi integrativi e sanità privata: la salute come merce e non più come diritto.
Al centralismo dello stato si sostituirà il centralismo delle regioni, mentre le autonomie dei comuni e delle assemblee elettive continueranno a essere annullate e mortificate.
Le Regioni del Centro-Nord, senza più vincoli di spesa e di bilancio da parte dello Stato e favorite dal trattenimento di gran parte delle proprie tasse, potranno riorganizzare i propri servizi. Invece per le regioni del Sud e isole, già ora sotto finanziate (1) e penalizzate dal Titolo V, si prospetta il tracollo della sanità pubblica, poiché, ridotti o annullati i trasferimenti da parte dello Stato, le entrate derivanti dalla propria insufficiente base impositiva non basteranno al finanziamento dei servizi sanitari e sociali: sarà difficile costruire e gestire ospedali e servizi sanitari, assumere e formare il personale, fare prevenzione, assicurare le cure per cui aumenterà la mobilità sanitaria verso il Centro e il Nord, per i soli ricchi, però.
I Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) che non sono stati mai calcolati in base al reale fabbisogno dei territori continueranno ad essere realizzati solo in parte e in modo difforme tra aree povere e ricche e tra Nord e Sud, cioè i servizi saranno garantiti ancora di più a macchia di leopardo.
I Servizi territoriali ed ospedalieri saranno influenzati dalle scelte politiche che, finora, hanno privilegiato gli ospedali rispetto ai territori, e il privato. Un esempio eclatante è rappresentato dalla Lombardia con 20 cardiochirurgie, soprattutto private, più che in tutta la Francia. Mentre per l’assistenza territoriale e domiciliare, che rappresenta almeno il 50% del fabbisogno sanitario, i servizi non esistono o sono insufficienti. Pandemia
Assunzione e trattamento del personale: non vi sarà più un unico contratto nazionale, i lavoratori avranno meno capacità di difesa e saranno sottoposti ancor più al ricatto dell’esternalizzazione dei servizi.
Scuole di specializzazione e selezione della dirigenza sanitaria: avremo specializzandi di serie A) – inseriti nella rete formativa con standard nazionali elevati ed uniformi – e di serie B) – specializzandi con corso regionale e standard formativi minimi per avere manodopera da impiegare velocemente. La differenziazione formativa, ridurrà qualità e uniformità delle cure.
Politica dei farmaci e dei dispositivi di protezione: si deciderà regionalmente sulla scelta dei farmaci equivalenti con conseguenti disuguaglianze di accesso nelle varie regioni. Chi fornirà presidi sanitari e dispositivi per la protezione individuale, la cui mancanza ha causato tantissimi morti tra il personale? Come e dove saranno procurati i vaccini che l’Italia non produce? Si tratta di produzioni strategiche che vanno recuperate e poste necessariamente sotto il controllo diretto dello Stato.
Tutela degli alimenti: standard per la qualità e salubrità degli alimenti, per il controllo e le analisi saranno diversi per ciascuna regione. Inammissibile per una materia così delicata.
Tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro: standard e indirizzi per il controllo di salute e sicurezza dei lavoratori saranno diversi in ciascunaregione. Lo stesso sarà per la formazione dei tecnici di vigilanza. Le leggi regionali, fin qui, hanno determinato grandi difformità di scelta, che hanno favorito l’accomodamento con le aziende piuttosto che l’adozione di impianti e tecnologie sicure, ma costose. E’ improbabile che le regioni ricostituiscano dei reali servizi di tutela del lavoro dopo averli ridotti quando non smantellati; scelta obbligata sarà oppure li affideranno ai privati.
Prevenzione primaria: significa protezione della salute attraverso la tutela dell’ambiente perseguendo la salubrità di aria, acqua, alimenti, dell’habitat e di tutte le attività che vi si svolgono. E’ stata sempre ostacolata finché, con il passaggio della materia, dalla sanità all’ambiente, è quasi cessata. E’ cessata perché richiedendo grossi investimenti da parte dei privati e cura/vigilanza costante da parte degli organi pubblici di controllo, comporta diminuzione dei margini di profitto e assunzione di personale da parte delle regioni.
Sanità Animale: la pandemia ci insegna che nella propagazione della Covid e di altri virus animali rivestono un ruolo importante la deforestazione, la riduzione della biodiversità, gli allevamenti intensivi che predominano ovunque e che sono sostenuti da forti interessi.
Ora sappiamo che in questecondizioni virus e batteri possono fare il “salto di specie” e passare all’uomo, i cui sistemi immunitari richiedono tempi lunghi per raggiungere un equilibrio con questi ospiti. Devolvere alle regioni un settore che presenta molti punti critici, tra cui rischi di diffusione epidemica, e che richiede un forte rinnovamento culturale è estremamente pericoloso.
La pandemia ha certificato che la regionalizzazione della sanità ex Titolo V non è stata in grado di garantire al paese livelli di assistenza, adeguati e omogenei, ed anzi ha prodotto voragini di inefficienza ed insolvenza. Sarà ancora peggio con l’AD che, accanto a limiti sostanziali, viola i principi fondamentali della Costituzione scritti nei seguenti articoli: Art.2 che richiama al valore della solidarietà, Art.5 che dichiara l’unità e indivisibilità della Repubblica,
Art.119 che impone la perequazione, risorse aggiuntive e interventi speciali per i territori svantaggiati e da ultimo l’Art.53 che prevede l’obbligo di concorrere alle spese pubbliche secondo la propria capacità contributiva.
(1) Il finanziamento del SSN si basa sulla spesa storica, che considera come parametro principale l’età della popolazione. Così le regioni del Centro-Nord, che hanno storicamente una popolazione più anziana (che abbisogna di più servizi) ricevono di più di quelle del Sud, con una popolazione giovane, ma con una aspettativa di vita minore, causa le condizioni socioeconomiche, che ne penalizzano la salute e l’accesso alle cure.
Loretta Mussi
Medico Sanità Pubblica
Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute
Articolo pubblicato sul numero di aprile del mensile
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