La guerra alle Ong nell’Italia di Draghi

Raid della polizia, requisizione di telefoni e computer, navi sequestrate. Intercettazioni su vasta scala di attivisti, avvocati, giornalisti. Indagini penali che minacciano decenni di pene detentive. Il governo italiano è seriamente intenzionato a impedire alle persone di agire come se Black Lives Matter.

Da quando la pandemia ha conquistato il mondo, i governi sono caduti, sono rinati e caduti ancora. Quando il contagio colpì l’Italia un anno fa, la nuova coalizione di centrosinistra stava già camminando su un ghiaccio sottile. A febbraio il ghiaccio si è incrinato e il premier Giuseppe Conte è stato fatto cadere. Al suo posto, si è insediato a capo di un nuovo governo l’ex capo della Banca centrale europea Mario Draghi, promettendo oltre 10 miliardi di euro alle imprese ma poco in termini di sostegno diretto ai lavoratori.

Apparentemente questo è un governo «tecnico», che va oltre le divisioni politiche tra i partiti ed è diretto da uno statista veterano dell’Unione europea presunta liberale. In realtà la coalizione trasversale di Draghi segna il ritorno della destra alle alte cariche: la Lega islamofobica, razzista, di destra è stata ricondotta all’ovile, legittimata dall’emergenza. Mentre Trump è stato detronizzato su una sponda dell’Atlantico, in Europa la destra ha tratto forza dalla crisi sanitaria. L’unico grande partito che non ha aderito al governo di Draghi, i postfascisti di Fratelli d’Italia, stanno crescendo rapidamente nei sondaggi, grazie a un pericoloso mix di teorie del complotto sul Covid-19, lobbismo per i piccoli imprenditori e delirio xenofobo.

Cosa significa la tolleranza di questi politici apertamente razzisti per il piano europeo per la crisi? La pandemia ha accelerato una serie di trasformazioni nel modo di produzione (digitalizzazione, gig economy) penalizzandone altri (catene di approvvigionamento just-in-time, viaggi aerei a lunga distanza). Ma il progetto del capitale per la crisi internazionale è un’altra questione. Il metodo della classe dominante di affrontare lo shock fa parte di un’impresa a lungo termine, una controrivoluzione contro il lavoro che tenta di completare la risposta alla crisi finanziaria del decennio precedente: trasferire capitali dallo stato al settore privato, mantenere bassi i salari, e mettere da parte le strutture democratiche.

Il controllo delle frontiere – quella miscela di logistica e polizia, che impone diseguaglianze globali lungo punti di infiammabilità localizzati – non si sottrae a questa ondata ideologica. In effetti, il Mediterraneo ne rappresenta senza dubbio un esempio lampante, in quanto terra di nessuno antidemocratica di tecnocrazia e mercati.

Le domande che il movimento antirazzista deve affrontare ora sono: quali nuove tecnologie di polizia verranno introdotte per mantenere il nostro apartheid planetario? Quali dispositivi logistici vengono adattati, inventati o accelerati dalla nostra crisi attuale? In un’epoca in cui vengono imposti nuovi confini intorno e all’interno di continenti, paesi e persino città, quali innovazioni si stanno preparando per l’espansione dei laboratori sperimentali dell’impero tra Europa e Africa?

Attacco ai salvatori di vite

In un’estrema dimostrazione di sincronicità tra la sfera giudiziaria e quella politica, nelle prime settimane del nuovo governo «tecnico» italiano si sono verificati una serie di attacchi contro le missioni di soccorso delle Ong che agiscono in solidarietà con le persone che tentano la traversata dalla Libia dilaniata dalla guerra all’Europa. Entrambe le indagini erano iniziate sotto il governo precedente in seguito all’«estate delle migrazioni» e inaugurano una nuova stagione di criminalizzazione.

Alle 5 del mattino dell’1 marzo, un centinaio di agenti di polizia hanno fatto irruzione nelle case e negli uffici in tutta Italia, sequestrando computer, telefoni e file degli attivisti. Gli imputati sono, in poche parole, presi di mira con l’accusa di aver commesso il crimine di salvare vite umane.

L’Ong italiana Mediterranea Saving Humans, lanciata due anni fa da una rete di attivisti di tutta Italia, è sotto inchiesta in relazione a un’operazione della fine del 2020, quando ha salvato ventisette persone abbandonate su una petroliera da oltre un mese in condizioni disperate. Sia Malta che l’Italia avevano rifiutato il loro intervento umanitario.

I pubblici ministeri italiani affermano che Mediterranea ha salvato i migranti in cambio di quattrini, poiché mesi dopo la società proprietaria della nave mercantile ha fatto una donazione all’Ong. Queste speculazioni hanno attraversato le prime pagine della stampa più becera, accusando il movimento antirazzista di essere composto da truffatori e imbroglioni. Ciò che è chiaro è che il governo italiano è infastidito dal confronto con una Ong che – per usare le parole de pubblici ministeri – «cerca di sostituirsi allo Stato».

Le carte mostrano che le indagini su Mediterranea hanno incluso intercettazioni di attivisti fin dal settembre 2020 quando al governo c’era Conte; ma sembra che l’arrivo di Draghi abbia catalizzato il processo di criminalizzazione. Mediterranea, inoltre, non è l’unica Ong finita nel mirino.

L’indagine sull’Ong tedesca Jugend Rettet – iniziata alla fine del 2016 sotto il governo guidato dal Partito democratico – ora è stata formalmente chiusa e una serie di accuse sono state mosse contro l’equipaggio e il capitano, nonché contro le Ong Save the Children e Medici senza frontiere. Come in molti altri casi contro le missioni di salvataggio, le accuse penali includono le fattispecie di «favoreggiamento e sfruttamento dell’immigrazione clandestina», reati che comportano pesanti condanne detentive e che mettono sullo stesso piano chi salva le vite di uomini e donne e i trafficanti di esseri umani.

Sappiamo anche che l’indagine ha comportato intercettazioni su largo raggio, sono stati spiati anche gli avvocati della difesa – una violazione molto allarmante della privacy dei clienti da parte dello Stato – e giornalisti di inchiesta. Le intercettazioni ai giornalisti somigliano a un atto di intimidazione nei confronti di Francesca Mannocchi e Nancy Porsia che hanno trascorso anni a svelare la stretta collaborazione del governo italiano con le milizie libiche dal 2017, quando vennero finanziati i gruppi armati affinché da trafficanti di esseri umani divenissero violenti controllori delle frontiere.

Allo stesso tempo, è stata condotta un’altra inchiesta contro un’altra delle navi di soccorso di Medici Senza Frontiere, questa volta il reato ipotizzato è quello di traffico internazionale di materiale di scarto, in relazione allo smaltimento errato dei vestiti inzuppati dal mare dei migranti. Inoltre, la nave di salvataggio Sea Watch 3 è stata nuovamente sequestrata per motivi amministrativi. Ancora, una coppia di anziani attivisti a Trieste aiuta da anni i migranti dell’Asia centrale, curando i piedi di persone che hanno camminato per migliaia di chilometri per accedere alla ricchezza e alla pace dell’Europa. Anche loro sono stati accusati di «tratta di esseri umani»… E l’elenco potrebbe continuare.

La via europea

Anche se alcune di queste sono indagini iniziate anni fa, sembra che l’insediamento del tecnocrate Mario Draghi abbia accelerato il processo di criminalizzazione. Il messaggio che viene trasmesso implicitamente non è solo che le vite dei neri non contano, ma che agire come se lo facessero è, di per sé, un’attività criminale. Come si concilia tutto ciò con l’insediamento di un nuovo governo «filoeuropeo»? O con l’immagine di Draghi come emblema dell’Europa liberale e minacciata dal «populismo»?

Potrebbe sembrare che Draghi venga da un altro mondo rispetto alla destra populista. Ma a un esame più attento, le differenze si stanno riducendo. L’anno scorso, dall’Ungheria alla Sicilia, i politici di destra hanno tentato di fondere la guerra alle migrazioni con la guerra al virus, spacciando la loro retorica xenofoba. Draghi non fa dichiarazioni del genere: è salito al potere senza alcun programma, seminando giusto qualche accenno sulle politiche che intendeva perseguire. I suoi riferimenti sparsi alla politica sulle frontiere sono stati pochi ma chiari: nuovi accordi con i paesi di partenza per contrattare controlli alle frontiere e deportazioni sostenute dall’Ue per le persone in Italia senza documenti.

Oggi sono passati dieci anni da quando la Primavera araba ha rotto l’accordo europeo con Gheddafi e aperto nuove ondate di immigrazione; cinque anni da quando l’accordo tra Ue e Turchia ha chiuso la porta ai rifugiati siriani, afgani e iraniani; quattro anni dall’accordo omicida tra il Pd italiano e le milizie libiche. Questa è la via europea, che Draghi rappresenta.

Gli attacchi alle Ong sono iniziati seriamente alla fine del 2016, con una collusione tra blog trumpisti, populisti a 5 Stelle, razzisti della Lega Nord e procure antimafia che si agitavano contro un nuovo obiettivo. Tra questi un gruppo di ex poliziotti imbarcati con la nave di salvataggio Save the Children, sotto la falsa identità di membri di una società di sicurezza privata hanno poi passato documenti a Matteo Salvini e ai servizi segreti italiani, che a loro volta hanno inoltrato i dossier alle procure siciliane. Il principale ex ufficiale coinvolto ora afferma di pentirsi delle sue azioni: «Ogni volta che sento di centinaia di migranti che muoiono in mare, mi sento responsabile». Di questo si tratta.

Come sappiamo ormai per certo, grazie ai fascicoli di indagine appena diffusi, fu il ministro degli interni democratico dell’epoca Marco Minniti a spingere perché le Ong venissero coinvolte da inchieste che poggiano su questa rete di spionaggio; per tutto il 2017 il centrosinistra è riuscito a criminalizzare le Ong, a spingerle fuori dal mare e a finanziare le milizie libiche per il controllo delle acque. La criminalizzazione delle Ong è sempre stata un progetto mainstream, in combutta con i teorici della cospirazione fascisti e le spie.

Il mondo ne ha preso atto nel 2018 quando il governo 5 Stelle-Lega con Salvini ministro degli interni ha scelto la strada del conflitto frontale non solo con le Ong, ma anche con la guardia costiera italiana. Cavalcando un’ondata di attacchi diffamatori e menzogne della stampa, Salvini ha propagandato accuse penali, sequestri di navi, detenzione di persone a bordo e diffamazione, atti per i quali è attualmente coinvolto in due importanti procedimenti giudiziari in corso.

Dopo il crollo di questo governo tutto populista nel 2019, è nata una nuova alleanza di centrosinistra tra M5S e Pd, con un nuovo ministro dell’interno, Luciana Lamorgese. Ha introdotto un approccio apparentemente più morbido: le multe alle Ong sono state abbassate (ma non cancellate) il procedimento penale è stato rallentato, ma i sequestri amministrativi e gli impedimenti sono continuati, portando questo governo a guadagnare la poco invidiabile posizione di aver bloccato più navi delle Ong dell’esecutivo precedente, con accuse assurde come «smaltimento improprio dei rifiuti» e «attrezzature per la pulizia non corrette».

Ora, nel 2021, lo stesso ministro è al governo ma la coalizione è cambiata ancora una volta e, con essa, le accuse sono tornate alla ribalta. È un complotto guidato da Salvini? La Lega, tornata al potere, sta riportando il razzismo in campo?

Con ogni probabilità, la verità è ancora peggiore. Il fatto è che Lega e M5S non sono più battistrada, ma hanno guadagnato l’egemonia culturale. Da allora le loro opinioni sulla migrazione sono diventate egemoniche non solo tra i partiti politici italiani, ma in tutta Europa, visto che i partiti neofascisti nell’ex blocco orientale hanno ostacolato ogni tentativo di creare una politica migratoria europea riformata e uniforme.

Draghi ha chiarito che intende entrare a far parte di un negoziato europeo (un aspetto che Salvini ha completamente ignorato quando era ministro degli interni, snobbando un vertice di decisiva importanza). Forse il procedimento penale contro le Ong è il metodo del governo Draghi per dimostrare ai suoi partner dell’Ue che l’Italia può fare la sua parte nel controllo delle frontiere, in cambio di una rinnovata riforma della politica migratoria dell’Ue che allevierebbe la pressione sui politici italiani.

Probabilmente non è un caso che la Ong Mediterranea stesse per acquistare una nuova nave: la velocità dell’operazione sembra mirata a impedirne l’acquisizione. Che figura avrebbe fatto Draghi se si fosse presentato a un vertice sulla rinegoziazione europea della politica di frontiera mentre un movimento di attivisti italiani aveva appena acquistato una barca in grado di salvare cinquecento persone?

L’Africa dopo il Covid

Draghi può essere silenzioso come il lockdown, ma le sue azioni parlano chiaramente. A metà marzo, il ministro degli esteri Luigi di Maio ha visitato la Libia insieme al capo della compagnia petrolifera italiana Eni. Lo scorso 6 aprile lo stesso Draghi ha incontrato il nuovo primo ministro libico Abdul Hamid Dbeibah per discutere le coordinate consuete dei rapporti euro-africani: petrolio, gas e migrazioni. Il nuovo governo libico, sostenuto dall’Onu, costituisce l’altro cardine instabile sulla porta dell’Europa. Per chiudere i porti, Italia e Libia devono coordinare l’oppressione dei lavoratori africani. Compreso, come ha sottolineato Draghi nella conferenza stampa, il muro del confine meridionale della Libia.

Centomila persone hanno attraversato il Mediterraneo lo scorso anno, nonostante le chiusure e le frontiere, seguendo lo stesso percorso del redditizio gasdotto che va dalla Libia alla Sicilia. Finora quest’anno quindicimila persone sono riuscite nella traversata. Molti arrivano in Europa solo al terzo o quarto tentativo di attraversare il Mediterraneo, dopo essere stati catturati e torturati dalla cosiddetta guardia costiera libica che viene finanzia dall’Ue e della quale Draghi ha osato elogiare le «missioni di salvataggio»».

La stragrande maggioranza di coloro che tentano di raggiungere l’Europa attraverso questa back way – una scorciatoia – sono stati spinti dalla devastante povertà imposta alle classi lavoratrici africane attraverso decenni di misure di austerità e un drenaggio neocoloniale delle risorse. Se prima della pandemia c’erano alcuni segnali di speranza – le possibilità dell’economia nigeriana alimentata dal petrolio e importanti cambiamenti politici dal Sudan al Ghana – l’Africa post-Covid deve affrontare nuovi, vasti problemi. I prezzi delle risorse e del petrolio sono scesi insieme alla produzione, il turismo è quasi morto. Ancora più importante, come accade in Europa, gli stati sono ubriachi dei loro nuovi poteri di polizia.

Dalle proteste contro la brutalità della polizia in Nigeria e la repressione politica in Senegal, fino all’invasione etiope del Tigray, il cambiamento è in atto. Sarebbe ridondante sottolineare come la crisi sanitaria abbia esacerbato la povertà e i conflitti esistenti, e sarebbe sciocco ignorare come questi conflitti producano pressioni sui confini dell’Europa. Finché le disuguaglianze globali comportano che un lavoratore possa guadagnare dieci volte di più raccogliendo olive nell’Europa meridionale che facendo l’insegnante di inglese in una scuola dell’Africa occidentale, la gente si sposterà.

Il confine marittimo tra i nostri continenti resta quindi una zona bellica di lotta di classe, chi non ha mezzi cerca di accedere alla ricchezza e alla sicurezza che la vita stabile in Europa può offrire. Come ha giustamente sottolineato Charles Heller, la sovrapposizione del nuovo apartheid sanitario e dell’apartheid globale dei confini porta solo maggiore violenza e resistenza.

La classe dirigente italiana crede che con Draghi primo ministro può prendere il controllo di una situazione instabile, domare le sue masse ribelli e imporre un nuovo giro di profitti. Ma ciò dimostra solo la loro disperazione: Draghi rappresenta decenni di disastrosa politica monetaria e di fallimentare diplomazia europea.

Ogni presidente del consiglio italiano promette «finalmente» un’efficace politica di espulsione, «finalmente» una nuova efficace collaborazione con la Libia e «finalmente» la lotta all’immigrazione clandestina. Ma ogni presidente del consiglio sottovaluta le forze della solidarietà europea e, soprattutto, la forza del proletariato africano.

Richard Braude, traduttore e attivista antirazzista, vive a Palermo. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.

23/4/2021 https://jacobinitalia.it

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