Sulla soglia. Le reti solidali contro povertà e pandemia
«Sto in pensiero. Quello è un avvocato, non è nemmeno abituato a dormire per strada. Stamattina gli ho detto: “Giancarlo, e la coperta che ti ho dato ieri?” E lui, “l’ho data a una signora che non l’aveva”». Davide Conte, direttore del circolo Arci Pianeta Sonoro, parla concitatamente al telefono, circondato da sacchi di vestiti e coperte che due volontarie suddividono e impilano su quello che un tempo, molti decreti fa, era un palcoscenico.
Dietro di lui, numerose locandine appese alla parete presentano i corsi di musica che si tenevano qui, ora tenuti online.
Pianeta Sonoro, al civico 196/a di via Casilina, è il cuore pulsante di Akkittate, un progetto che coinvolge una trentina di Arci a Roma per portare sostegno materiale e umano a chi dorme per strada, la cui condizione si è aggravata con la pandemia e l’inverno. Ogni sabato notte le volontarie e i volontari di Akkittate distribuiscono circa 300 pasti caldi, generi alimentari, prodotti per l’igiene, vestiti e coperte fra le principali stazioni di Roma e nei quartieri limitrofi Tiburtino, Esquilino e San Lorenzo. Ma si stanno espandendo.
Pianeta Sonoro, volontari e volontarie fanno l’inventario
Presso la stazione di Termini dorme da una decina di giorni Giancarlo, un avvocato italo-venezuelano sulla cinquantina, emigrato per motivi politici. Arrivato a Roma alla fine dello scorso dicembre, ha cercato l’appoggio di alcuni parenti nel chietino. A causa della Covid, non ha potuto incontrare la nonna, la parente più stretta, che vive in una residenza per anziani.
Gli zii acquisiti lo hanno allontanato con diffidenza. Le ruote del suo trolley sferragliano sui sampietrini mentre Davide Conte lo conduce alla Caritas di via Marsala dove gli ha trovato un letto. Giancarlo parla un po’ a scatti e incede tentennando sui suoi mocassini con i lacci, ma sta bene.
Le misure anti-Covid hanno reso il protocollo d’ingresso delle strutture d’accoglienza H24 di Caritas, Sant’Egidio o del Comune, più alienante: isolamento fiduciario di dieci giorni, con tampone all’ingresso, poi dopo 5 giorni l’ultimo prima di uscire. Molti dormitori sono stati convertiti in strutture H24 da cui si può uscire ma non rientrare, per mantenere una bolla sanitaria.
Alcune, come in questo caso, hanno una funzione solo transitoria. «Tu qui ci vieni a fare la quarantena, dev’essere chiaro. Dove andrai dopo non ci compete: ma per entrare in qualsiasi altra struttura dovrai comunque fare così», dice perentoria l’infermiera all’ingresso. Giancarlo si guarda attorno intimidito, gli occhi neri spalancati. Davide gli assicura che si sentiranno per telefono, che a Pianeta Sonoro lo aiuteranno a trovare un lavoro e una sistemazione in futuro: «ricordatelo bene: tu, da oggi, qui hai degli amici, non sei più solo». Alla fine Giancarlo entra.
Il rapporto Istat del 2014 stima 50.724 persone senza dimora in Italia. Il profilo più comune: uomo, straniero, solo, tra i 35 e i 54 anni
Anche nei centri diurni e nei dormitori occorre mantenere le distanze, per evitare i contagi. Da qui, la riduzione dei posti disponibili. Ma la Federazione italiana per le persone senza dimora (Fio.PSD) ha raccolto le testimonianze di lavoratori e gestori delle strutture d’accoglienza in Italia, rilevando un problema che va al di là dei numeri.
A Roma, ad esempio, il numero dei posti è stato man mano compensato, con l’apertura di strutture minori o tramite convenzioni temporanee con alberghi inattivi, grazie alla mediazione di enti come Federalberghi e Sant’Egidio.
Più della metà delle persone senza dimora vive nel Nord Italia. La maggior parte nelle grandi città. A Roma sono 7.709 (Istat 2014)
«Il terzo settore fa un gran lavoro. Eppure nonostante l’incremento dei posti la rete è satura. I servizi sociali dovrebbero incaricarsene ma manca il personale», segnala Caterina Cortese, sociologa e membro del comitato di ricerca di Fio.PSD.
Anche gli sportelli di ascolto e inserimento funzionano meno e solo su appuntamento, aumentando il rischio di esclusione.
Cortese fotografa così la situazione dei dormitori: «in questo momento, chi è dentro è dentro e chi è fuori resta sulla soglia. Abbiamo cioè un nocciolo duro di povertà riconosciuta e più facilmente intercettabile che riesce a ricevere assistenza e un flusso di nuovi poveri e vecchi esclusi che invece tende alla deriva».
Molti sono lavoratori precari, licenziati durante il lockdown: il report Istat del 2014 indicava che più di un quarto dei senza dimora apparteneva a questa categoria e che il 30% era in strada da non più di 6 mesi. Non esistono dati ufficiali aggiornati al 2020 sulle persone senza dimora in Italia, ma secondo Cortese: «si può ipotizzare un aumento dalle stime percettive di chi lavora nell’assistenza, come l’incremento consistente delle richieste per i servizi a bassa soglia [mense, docce, dormitori – ndr]». Inoltre, il blocco dei viaggi ha reso homeless molti migranti in transito sul nostro territorio.
Davide Conte, direttore di Pianeta Sonoro
In un primo momento il lockdown ha interrotto i circuiti economici informali, ma poi si sono moltiplicate le iniziative solidali dei cittadini.
Akkittate nasce una sera di novembre con un enorme sacco di pizzette avanzate a un forno. Roberta Fiorentino, coordinatrice, fa l’inventario e racconta: «ci è sembrato naturale! Le abbiamo distribuite a Termini. Poi abbiamo diffuso un volantino tra Arci e conoscenti. In pochi giorni ci hanno sommersi di cibo e vestiti». E prosegue: «chiediamo cosa gli serve. Se non lo abbiamo, glielo portiamo la settimana dopo. Ora alcuni ci riconoscono, si fidano e cominciano ad aprirsi».
Davide Conte ha passato diverse notti a girare la città in auto con dei volontari, preoccupati per l’abbassamento delle temperature: «io non posso e non voglio abituarmi a vivere in una comunità che lascia queste persone da sole, senza una rete», dice con voce rotta. Ma sottolinea il problema di welfare che la carità, più che risolvere, nasconde. Insiste: «il nostro è anzitutto un atto di indignazione».
L’esclusione abitativa in Italia è un problema che coinvolge milioni di persone. Poveri, giovani e stranieri sono i più colpiti (Eurostat, 2017)
Il sabato mattina, Pianeta Sonoro allestisce un mercatino di vestiti per autofinanziarsi. Nel pomeriggio, un gruppo prepara i pasti nella cucina messa a disposizione a turno da una delle associazioni della rete; questa settimana i gruppi d’acquisto solidale di zona hanno donato intere cassette di verdura fresca.
Tra chi resta nella sede per preparare i pacchi c’è Jan, un uomo sulla quarantina di origine siriana che vive in Italia da 20 anni e conosce Roma come le sue tasche. Ha perso casa e lavoro durante la pandemia e dorme da diversi mesi in una tenda nei giardini di piazzale Verano. È un uomo metodico, ordinato.
È orgoglioso di come ha organizzato i suoi spazi e della sua autosufficienza. Ci tiene a marcare una distanza: «questo è un incidente, una cosa da superare. La mattina mi alzo, stendo le coperte e vado a fare il mio, raccolgo vestiti per Davide, aiuto gli altri e cerco di sistemarmi. Io qui ci dormo perché non ho un altro posto, ma non ci vivo».
Volontari e volontarie preparano i pasti per la consegna del sabato sera nella cucina del centro sociale Brancaleone (Tufello)
Jan conosce molte delle persone che dormono nelle strade dei quartieri San Lorenzo e Tiburtino. Durante le consegne le presenta ai volontari, scherzandoci, ma assicurandosi che non gli manchi nulla: «bisogna prima di tutto ascoltare. Caritas, Sant’Egidio, loro vengono e lasciano il cibo. Ma ognuno ha una vita differente e bisogni differenti. Il cibo serve, ma a molti servono documenti, scarpe, mutande pulite, lavoro. Ad altri invece basta il vino e c’è poco da fare» dice sospirando.
Alle sue spalle, due suoi amici condividono un materasso in mezzo a una via dietro a piazza Immacolata.
A uno di loro, Catalin, i volontari di Sant’Egidio avevano trovato una stanza d’albergo per due settimane. Ma lui è tornato in strada dopo due giorni, per stare in compagnia. L’altro, Giovanni detto “Totti”, ha avuto un infarto la settimana scorsa. Jan gli domanda: «ma ti hanno dimesso o sei scappato tu?». Lui sorride: «sono scappato io, non mi facevano bere».
Volontari e volontarie durante la distribuzione nel quartiere di San Lorenzo
Sotto il porticato delle Poste di via Marmorata vivono una ventina di persone, per lo più straniere. Roby, 40 anni, la pelle olivastra e gli occhi a palla, dorme circondato da cartoni per ripararsi dal vento. È arrivato 16 anni fa dall’India e ha sempre svolto mansioni di servizio in cinema o teatri: «con il lockdown ho perso il lavoro, poi la casa. Ero in affitto senza contratto. È la prima volta che vivo così».
Il permesso di soggiorno gli è scaduto mentre viveva in strada e, sebbene il governo abbia concesso una proroga, non avendo un domicilio abituale da dichiarare, ha “perso” la residenza. Senza, non può rinnovare la carta d’identità, la tessera sanitaria, né accedere al Reddito di cittadinanza.
Nel corso della settimana, a Pianeta Sonoro c’è un viavai di persone che lasciano merce o che si offrono di inventariarla.
Alcune collaborano già con l’Arci, altre no. Diana Armento, presidente dell’Arci Sparwasser, la cui sede è nel quartiere Pigneto, è venuta a ritirare vestiti e scarpe per le 7 persone che dal 24 gennaio sono accolte durante la notte nell’associazione.
Basso reddito ed esclusione lavorativa sono molto comuni tra le persone senza dimora. In pochi ricevono un sussidio monetario (Istat 2014)
Francesco Pellas, attivista di lunga data, ne è molto orgoglioso: «un’azienda ci ha regalato i letti, abbiamo personale medico che esegue gratuitamente tamponi agli ospiti e il vicinato si organizza a turni per preparargli la cena». Già durante il primo lockdown, attraverso la rete di Nonna Roma, diverse Arci hanno promosso il mutuo aiuto fra cittadini, dal banco alimentare alla raccolta di dispositivi elettronici per la didattica a distanza.
«Ma non otteniamo nessun riscontro dalle istituzioni. Sparwasser non fa più serate ma continuiamo a pagare affitto e bollette senza l’ombra di un sussidio: per loro non esistiamo. Potremmo arrivare al paradosso di dover chiudere quando gli altri riapriranno» lamenta Diana Armento.
Volontarie e volontari fuori da Pianeta Sonoro caricano le macchine per la consegna del sabato
L’assessora di Roma Capitale alla Persona, scuola e comunità solidale Veronica Mammì riconosce la gravità della situazione, con 12 morti di freddo dall’inizio dell’inverno. Ma non è d’accordo con chi accusa il Comune di assenteismo. Al telefono rivendica l’ampliamento del numero di posti letto rispetto all’inverno precedente, ora sono circa 1200, e rilancia: «quest’anno abbiamo fatto un bando per un piano quadriennale che gestirà 500 posti letto in piccole strutture da massimo 20 persone. Vogliamo superare così la logica dell’assistenza di massa spersonalizzata e senza continuità».
Ascolta il podcast di Lorenzo Boffa Housing First in Italia
Sull’eventualità di aprire le stazioni della metro durante la notte passa la palla alla Regione: «bisognerebbe sanificarle prima e dopo, sottoponendo tutti a tamponi. Lo stiamo valutando, ma abbiamo richiesto alla Regione di rivedere le disposizioni anti-contagio non più di 10 giorni fa». Era il primo febbraio.
Ancora oggi le metro restano chiuse, ma Akkittate ha ottenuto in gestione un centro anziani in disuso all’Esquilino, per accogliere 8 persone, anche grazie all’assessorato alle politiche sociali del primo municipio. Finito l’inverno, tra quelle persone c’è chi rischia di tornare per strada.
Lorenzo Boffa
Il reportage nasce all’interno della Scuola di Giornalismo della Fondazione Basso
30/4/2021 https://www.dinamopress.it
Tutte le foto e i grafici sono opera di Lorenzo Boffa
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