Pfas Veneto: parte il processo ambientale più importante d’Italia

Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Vicenza ha stabilito 15 rinvii a giudizio per il presunto avvelenamento delle acque di tre province venete, Padova, Vicenza e Verona, che avrebbero contaminato oltre 300 mila persone con sostanze chimiche Pfas, dannose per l’organismo.

«Sarà dura, in salita, ma finalmente dopo 5 anni abbiamo una strada da seguire per la giustizia verso i nostri figli. Vogliamo sapere chi ci ha fatto bere acqua contaminata, vogliamo liberarci dai Pfas», dice piangendo o Osservatorio Diritti Patrizia Zuccato, parte civile al processo con il gruppo Mamme NoPfas.

Dopo 3 ore di camera di consiglio, il Gup, Roberto Venditti, in pochi minuti ha letto la decisione. «È una prima vittoriadella procura della repubblica e di tutto il popolo inquinato che ha il diritto di avere questo processo», ha commentato l’avvocato delle Mamme NoPfas Matteo Ceruti.

La prima udienza è fissata a Vicenza per il primo luglio. Vista la gravità dei fatti contestati, il processo sarà celebrato in Corte d’assise.

Leggi anche:
Pfas, il veleno nel sangue: cosa sono, acqua contaminata e danni alla salute
Pfas: in Veneto l’acqua contaminata fa temere per la salute

pfas veneto mappa
Tre campioni di acque raccolte dai collettore Arica di Cologna Veneta, dal torrente Poscola e dal fiume Retrone – Foto: © Laura Fazzini

Pfas Veneto: il più importante processo ambientale d’Italia

La fase preliminare del processo all’industria chimica Miteni, conclusa il 26 aprile, partiva dall’ipotesi dei reati di avvelenamento di acque, disastro innominato, inquinamento ambientale e reati fallimentari .

Secondo l’accusa, le indagini del Nucleo operativo ecologico (Noe) dei carabinieri di Treviso, condotte tra il 2016 e il 2019, hanno dimostrato come la multinazionale giapponese Mitsubishi Corporation e la lussemburghese International Chemical Investors Group (Icig), proprietarie della Miteni tra il 2002 e il 2018, abbiano consapevolmente inquinato la ricarica acquifera dalla seconda falda più grande d’Europa.

Gli imputati, secondo quanto stabilito dal Gup, saranno manager giapponesi della Mitsubishi Corporation, della lussemburghese International Chemical Investors e della Miteni stessa. I loro nomi sono Kenji Ito, Naoyuki Kimura, Yuji Suetsune, Maki Hosoda, Patrick Fritz Hendrik Schnitzer, Akim Georg Hannes Riemann, Aleksander Nicolaas Smit, Brian Antony Mc Glynn, Luigi Guarracino (Alessandria), Mario Fabris (Padova), Davide Drusian (Vicenza), Mauro Colognato (Dolo), Mario Mistrorigo (Arzignano) e Antonio Nardone (Alessandria). Sarà imputata anche la Miteni spa.

«Ci sono le prove che chi ha inquinato lo abbia fatto consapevolmente, per anni e con metodo», ha detto a Osservatorio Diritti Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto, una delle parti civili al processo.

Per estensione del territorio colpito (74 chilometri), numero di parti civili coinvolte (oltre 230) e origine degli imputati (Belgio, Giappone), questo risulta il più grande processo per crimini ambientali d’Italia.

Leggi anche:
Cattive acque: un avvocato ambientalista contro la multinazionale
Inquinamento ambientale: ecco cosa succede alla nostra salute

pfas veneto 2021
Mamme NoPfas, Legambiente, PFAS.land e i loro avvocati – Foto: © Laura Fazzini

Pfas: che cosa e quali conseguenze hanno sulla salute

Le sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) vengono prodotte dalla seconda guerra mondiale e sono presenti in quasi tutti i prodotti della nostra vita quotidiana, dal filo interdentale alla giacca impermeabile. Sono resistenti ad alte temperature, alla degradazione in acqua e non vengono assorbite dall’ambiente. Finiscono nell’ambiente perché gli scarichi delle industrie chimiche non sono ancora normati e l’acqua dei fiumi è da sempre stata vista come mezzo per portare via i residui lavorati.

Attraverso l’acqua, sostiene l’accusa, queste sostanze sono arrivate nel sottosuolo dell’industria Miteni, posta sopra la ricarica naturale della falda più grande d’Europa. Così i Pfas sono entrati nei rubinetti di oltre 300 mila persone, che l’hanno bevuta per decenni. Berla significa portare nel corpo interferenti endocrini, questo sono per il corpo i Pfas, che ostacolano il processo ormonale.

Tumori, malformazioni, aborti e malattie del sistema cognitivo hanno percentuali altissime nelle tre province colpite, Padova, Vicenza e Verona. Gli studi condotti in loco dall’università di Padova dimostrano come siano sostanze nocive per la nostra salute, nello specifico per il nostro sistema nervoso e ormonale.

Pfas Veneto, una storia lunga otto anni

Solo nel 2013 le istituzioni regionali e locali sono state avvertite dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) della presenza nel Po e nei fiumi afferenti di queste sostanze. E da allora è cominciata la lotta di Perla Blu Legambiente di Cologna Veneta, che nel 2014, insieme ad altre associazioni di medici e ambientalisti, ha distribuito un primo volantino informativo in cui denunciava la presenza della sostanze nelle acque e nei terreni agricoli.

Coldiretti, che non è parte civile al processo, ha risposto con una diffida chiedendo di non creare allarmismi tra la popolazione. «Ci hanno risposto con gli avvocati. Abbiamo fatto incontri e conferenze per incontrare le persone e avvisarle, ma le istituzioni si sono mosse solo nel 2017, quando l’Istituto superiore di sanità ha avvisato la Regione dell’inquinamento», dice a Osservatorio Diritti Piergiorgio Boscagin, allora presidente di Perla Blu.

Mamme NoPfas e attivisti per l’ambiente: la battaglia per la salute

Boscagin e Legambiente non si sono fermati e insieme a Medici per l’ambiente (Isde) e altre realtà associative hanno monitorato la situazione fino al 2017, anno in cui è scattata l’emergenza sanitaria in Veneto e i primi screening ematologici sulla popolazione.

Sono nate così le Mamme NoPfas, prima quattro mamme al bar, poi diventate una vera potenza di decine di madri presenti in tutti i tavoli di discussione sui Pfas.

«Vedere che i miei figli avevano alti tassi di Pfas nel sangue mi ha tolto il sonno. Dovevo fare qualcosa e l’unica via era arrivare in tutte le istituzioni e fermare questa tragedia».

A dichiararlo a Osservatorio Diritti è Michela Piccoli, una delle quattro mamme del bar che ora siede al tavolo ministeriale per limitare i Pfas negli scarichi (sospeso in attesa che il nuovo ministro risponda alle mail).

Cittadini senza interessi politici si sono ritrovati quindi in poco tempo a discutere con presidenti di Regione, ministri, agenzie per l’ambiente e tecnici di laboratorio. Gli attivisti sono diventati gli esperti, portando in regione Veneto, nel 2017, Robert Billot, che per primo aveva denunciato l’inquinamento da Pfas da parte della società Dupont in America alla fine degli anni Novanta.

Le Mamme NoPfas sono preoccupate della risposta cognitiva dei loro figli e hanno deciso di partecipare attivamente a un primo studio europeo sull’impatto che queste sostanze hanno sullo sviluppo cerebrale con l’università di Padova, lo studio Teddy Child.

Leggi anche:
Diritti umani e ambiente: cosa prevede il diritto internazionale
Diritti umani: storia e convenzioni Onu dalla Dichiarazione universale a oggi

pfas veneto storia
Striscione di Legambiente davanti al collettore Arica di Cologna Veneta – Foto: © Laura Fazzini

I partigiani del “Processo Pfas” in Veneto

Domenica 25 aprile oltre un centinaio di persone ha camminato accarezzando i tre fiumi contaminati in questi decenni. Con una staffetta iniziata alle 7.30 del mattino – raccogliendo acqua dal collettore Arica di Cologna Veneta che unisce le acque di depurazione dell’intero distretto industriale e getta nelle acque pulite decine di sostanze inquinate – le associazioni hanno camminato fino a Vicenza costeggiando i fiumi Gua e Retrone, vittime della contaminazione.

«Questi fiumi rappresentano il nostro animo, vanno avanti malgrado tutto», ci dice Maria Grazia di Legambiente di Cologna Veneta. La lunga staffetta delle acque infrante, chiamata così dagli attivisti, ha raccolto l’acqua del collettore con le acque reflue sotto la Miteni del torrente Poscola e l’acqua di risorgiva del Retrone. «In questa zona c’è una garzaia (posto di nidificazione degli uccelli migratori, ndr) molto importante per gli aironi e qui l’acqua ha alti tassi di contaminazione. Stiamo avvelenando tutta la fauna», ha detto Pierangelo Miola di Legambiente Creazzo.

Le tre ampolle sono arrivate a metà pomeriggio davanti al tribunale di Vicenza, dove è stato allestito uno spazio per raccontare quello che è successo negli ultimi 7 anni. «In questo posto arriva la nostra resistenza, i nostri sforzi devono essere raccolti qui e presentati alla giustizia. Perché chiediamo giustizia per la nostra terra, chiediamo all’unisono il luogo a procedere, il rinvio a giudizio, senza riserve», incitava Alberto Peruffo, attivista sotto processo per avere invaso la Miteni nel 2018 con la “marcia dei Pfiori”.

Le ultime richieste (respinte) dell’azienda Miteni e delle difese

Dopo i 32 chilometri di domenica, gli attivisti alle 9.30 di lunedì 26 aprile hanno rimesso striscioni e ampolle d’acqua davanti al tribunale e sono entrati nell’aula sotterranea per seguire l’udienza come parti civili.

La mattina era destinata alle tesi delle difese, che hanno presentato richieste di spostamento del processo per incompatibilità territoriale, perché i magistrati abitano nella zona colpita e potrebbero avere scopi personali.

Mitsubishi e Icig si accusano vicendevolmente di aver mentito sui sistemi di depurazione e vengono indicati i media come responsabili di una eccessiva pressione sul giudice.

«Siamo noi ad avere i Pfas nel sangue e gli avvocati ci dicono che stiamo esagerando, che queste sostanze possono solo provocare colesterolo. Minimizzano una tragedia che i nostri figli hanno nel sangue», racconta ancora Patrizia Zuccato.

Laura Fazzini

28/4/2021 https://www.osservatoriodiritti.it

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *