ZONA ROSSA: la memoria è un ingranaggio collettivo
Ricordare Genova è un esercizio complicato.
Personalmente non sono mai riuscita a farlo con serenità, senza sentir crescere una stretta allo stomaco, né a derivarne degli elementi costruttivi.
E’ un bene, quindi, potermi ritrovare fra le mani un testo che mi consente di andare al di là della mia visione parziale.
Nessuna ricostruzione individuale può infatti riuscire da sola a cogliere le complessità e le implicazioni dei giorni del G8, l’insieme delle soggettività che si sono espresse o che si sono formate sulla base di quella esperienza.
Del resto, “la memoria è un ingranaggio collettivo”.
Un ingranaggio che Zona rossa, ultimo numero di Zapruder, prova a rimettere in moto.
Frutto del confronto fra la redazione di Zapruder e SupportoLegale, la stesura di Zona Rossa
ha nella dimensione collettiva la sua stessa origine. Si rivolge a
Genova attraverso uno sguardo plurale, riunendo le visuali di
generazioni diverse e diversi metodi di linguaggio.
Comprende le voci di chi a Genova non c’era, per motivi generazionali, e che ne ha elaborato la storia dai racconti.
Comprende la voce di chi, pur avendo la massima autorevolezza per
parlarne, in tutti questi anni ha usato la parola con parsimonia,
responsabilità e coscienza, in mezzo ad ondate di retoriche e di
ricostruzioni fasulle o infamanti.
La voce di chi si è rimboccat* le maniche per sostenere compagn*
incriminat* per devastazione e saccheggio, mentre altri si esercitavano
nei distinguo fra buoni e cattivi, offrendo la sponda alla
criminalizzazione mediatica e giudiziaria di una parte del movimento.
Comprende, finalmente, la voce di quell* che hanno pagato per tutti, con più di 10 anni di galera a testa1, e che con serenità ripetono: “in ogni caso, nessun rimorso“.
Uno di loro, Luca, dopo che per anni sono stati spesi da chiunque sul G8 di Genova fiumi di parole, pensa di “non poter aggiungere qualcosa che non sia già stato detto, visto e rivisto“.
E suggerisce una traccia: “più interessante può essere sapere cosa è successo dopo“.
Proprio su questo si concentra Zona Rossa: sul prima, sul dopo e sull’altrove, e soprattutto sugli elementi da cui trarre utilità per il presente.
“Il ricordo di Genova può essere un futuro anteriore, una memoria che ci aiuta a guardare avanti invece che indietro, utile a capire meglio la transizione verso quel qualcosa di indefinito che stiamo vivendo“.
E così impariamo come, nel dopo Genova, un gruppo di compagn* proveniente da Indymedia ha forgiato strumenti metodologici e di contenuto (oltre che competenze tecniche assolutamente non comuni) utili ad affrontare anche il tempo presente.
“SupportoLegale
nasce dal presupposto di non chiedere mai agli altri cosa avessero
fatto nel 2001, né a che area appartenessero. Si è creato un gruppo di
persone che aveva come unica finalità riuscire a supportare e dare man
forte a chi stava seguendo i processi…
Noi ci siamo battuti su delle parole d’ordine abbastanza brevi, ma su
cui siamo stati irremovibili: sul No alla divisione fra buoni e cattivi,
sulla legittimità di tutte le forme di dissenso che erano state
espresse a Genova, sulla legittimità di tutti i pensieri che sono stati
espressi a Genova…
A noi piacerebbe che uscisse questa parte della storia. Proprio perché
tanti, ancor oggi, non hanno imparato la lezione, non la vogliono
imparare. Vogliono togliere legittimità a dei pezzi di storia, a dei
pezzi di senso, a dei pezzi di conflitto.
Noi la pensiamo tutti in modo completamente diverso … tutte le
modalità di rappresentazione del conflitto, almeno rispetto a questo
pezzo di storia che abbiamo fatto tutti quanti insieme sono legittimi.
Vanno rispettati e vanno difesi. E sentiamo di essere tutti dalla stessa
parte della barricata“.
Una coesione nata dalla capacità di
attribuire priorità politica all’obiettivo comune, e che non verrà fatta
propria dal movimento No Global, uscito dall’esperienza di Genova più
diviso che mai, ma diverrà invece punto di forza in Val di Susa,
probabilmente proprio a partire dalla riflessione su Genova.
È questo un ulteriore elemento di pregio di Zona Rossa: la
ricostruzione di come abbia influito l’esperienza di Genova sulla
formazione delle soggettività dei movimenti di oggi, che ci mostra che
questa storia non si è conclusa solo nel sangue, nella sconfitta, nelle
posizioni dissociatorie, e nella lenta agonia dei social forum.
Per esempio la presenza a Genova 2001 di un nutrito spezzone del giovane movimento No TAV ha favorito “l’identificazione fra quello che la Valle stava iniziando a vivere e le ragioni della protesta contro il G8“.
Emergono dalle interviste ai No TAV da un lato il rafforzamento della
coscienza della portata globale dei contenuti della propria lotta,
dall’altro le conseguenze sul territorio, con nuovi comitati locali che
nascono in Valle a partire dalla determinazione maturata proprio nei
giorni del G8.
Il 23 luglio 2011 il corteo per il decennale di Genova è aperto dallo
spezzone della Val di Susa, che ha guadagnato sul campo il diritto alla
“testa del corteo” nei giorni dello sgombero della Libera Repubblica
della Maddalena e dell’assedio al cantiere di Chiomonte2.
Lo slogan dei valsusini “siamo tutti Black Bloc” sancisce il rifiuto
della divisione fra buoni e cattivi, nel luogo esatto in cui tale
divisione aveva creato al movimento di 10 anni prima effetti
disgreganti.
E non si tratta solo di uno slogan, perché proprio nell’assedio di
Chiomonte il movimento ha accolto e riconosciuto metodi di lotta e
soggettività differenti, e su questa base si è creata coesione e
rispetto.
Genova diviene dunque generatrice di coscienza anche in negativo, una
lezione sugli aspetti da non emulare se non si vuol ripercorrere lo
stesso declino del “movimento dei movimenti”.
Uno di questi aspetti è la desolidarizzazione successiva alle incriminazioni per devastazione e saccheggio.
Dice SupportoLegale: “Molte delle persone finite sotto processo sono
state completamente abbandonate dai loro gruppi, dalle loro
organizzazioni, dai loro collettivi. Sono state lasciate completamente
sole e sono sole oggi. Ci siamo stati solamente noi“.
L’esatto opposto di un principio cardine della lotta in Val di Susa, dove “si parte e si torna insieme“.
Zona Rossa identifica in Genova
un crinale di crisi che va al di là del declino del movimento No
Global, investendo le stesse sorti e pratiche della sinistra radicale
maturate nel corso del ‘900.
E’ una cesura nelle modalità delle mobilitazioni, perché “improvvisamente
la piazza esonda qualsiasi volontà di controllo, spinta tanto da
pratiche di conflitto che rifiutano la mediazione dei portavoce del
movimento, quanto dalla repressione degli apparati dello Stato… Segno di
una liberazione dalle volontà di controllo (e di mediazione) delle
strutture organizzate ? Oppure traccia di una crisi di una idea di
organizzazione a cui fa fatica a sostituirsene un’altra ?”
Genova segna anche la crisi delle pratiche di simulazione del conflitto:
“Chi pensava che aver evocato troppo
il conflitto avesse portato alla catastrofe organizzativa e chi,
invece, condannava la rinuncia a organizzarsi in conseguenza di quella
“dichiarazione di guerra” giocata su un piano simbolico, a cui però lo
Stato prevedibilemnte credette davvero. Comunque ci si ponga, a Genova
si è capito che la rappresentazione simbolica del conflitto è gestibile
fino a un secondo prima dell’esplosione del conflitto vero e proprio,
poi è solo pericolosa”.
Va in pezzi, infine, la bizzarra idea di una democratizzazione delle forze dell’ordine, conseguente ai processi di smilitarizzazione e sindacalizzazione iniziati una ventina di anni prima. Idea fallace, visti i risultati, e che non teneva conto di come i poteri di polizia fossero stati particolarmente sviluppati secondo logiche di guerra proprio nei due decenni precedenti.
(Continua)
Alexik
15/5/2021 https://www.carmillaonline.com
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