Cos’è che scaccia di più il virus?
Cosa sta facendo decrescere l’epidemia?
Non è facile capire cosa in realtà stia maggiormente contribuendo a far decrescere l’epidemia. Forse può non essere la cosa più opportuna pensare che tutto il merito ce l’abbia il vaccino perché non si vorrebbe che poi capitasse ahimè di rivedere di nuovo crescere i contagi. Ricordiamoci, ad esempio, che l’efficacia dei vaccini è data all’incirca al 95%, il che vuol dire che uno su venti vaccinati può rimanere ancora a rischio di contagio. E poi sappiamo che la protezione da vaccino non dura per sempre; c’è chi afferma che sia per soli nove mesi, forse sarà per più a lungo, forse si dovranno fare dei richiami. E poi poco sappiamo su eventuali possibili varianti del virus che potrebbero cambiare all’improvviso il quadro epidemico. Vale quindi la pena chiederci cosa stia scacciando di più il virus.
Possiamo innanzitutto pensare, o sperare, che il virus se ne vada da solo; nel passato è spesso accaduto così. Le epidemie hanno avuto sempre un inizio ed una fine e probabilmente non sempre sono finite perché tutta la popolazione aveva sviluppato l’immunità necessaria. Nella vita del virus probabilmente spesso può capitargli di perdere le capacità di contagiare, ma in ogni caso non sappiamo quando e se questo possa capitare anche per il Covid-19 o per le sue mutazioni.
C’entra l’ambiente?
C’è poi l’ipotesi che siano l’ambiente ed il clima a scacciare il virus; si pensava che potesse essere il caldo che gli dava fastidio, ma si è visto che in ambienti equatoriali, come ad esempio a Manaus, il virus si è diffuso fin troppo egregiamente. Se non la temperatura forse è la minor umidità che contrasterebbe la sospensione in aria del droplet; forse, ma non ci sono conferme di evidenze.
Un ruolo importante certamente, però, è stata la non frequentazione di luoghi al chiuso senza ventilazione e quindi la maggior frequenza di vita all’aperto e dell’apertura di finestre nelle case e negli uffici: tutti elementi che hanno ridotto la possibilità di infettarsi respirando un aerosol contenente una carica virale.
Ma tralasciando questi possibili fattori ci si chiede cos’altro abbia maggiormente contribuito a ridurre l’epidemia in queste ultime settimane: Le vaccinazioni o le misure di contenimento? In realtà nel 2020 l’epidemia si è ridotta più o meno nella stessa misura di ora, eppure non c’era alcun vaccino disponibile. Quindi chi ha più “meriti”? il vaccino o le misure di contenimento?
L’esercizio che segue è solo un primo tentativo di separare i due elementi e può sicuramente essere discusso e criticato perché assume alcuni presupposti tutt’altro che incontrovertibili. L’esercizio, però, è uno stimolo per successivi approfondimenti più rigorosi, ed è in tal senso che lo si propone.
L’esercizio per scovare chi ha più contribuito a ridimensionare i guai del virus.
L’andamento dei nuovi contagi giornalieri da inizio febbraio a fine maggio è quello riportato in figura 1: una crescita dei contagi importante da metà febbraio a metà marzo e poi una diminuzione continua e approssimativamente lineare sino a fine maggio e oltre. La domanda cui l’esercizio cerca di proporre una risposta è relativa a quali siano i fattori che possano aver appunto fatto così decrescere l’epidemia, che è il punto di domanda nella figura 1.
Figura 1 – Nuovi casi giornalieri dal 1° feb. al 31 mag | Figura 2 – Indice RDt nel mese di marzo 2021 |
Lo sviluppo del numero dei casi è stato quello descritto nella figura 2 che riporta i valori dell’indice RDt, l’indice di replicazione diagnostica, che misura la proporzione dei casi di una settimana rispetto a quelli della precedente. L’indice nella prima quindicina di marzo ha assunto valori in un range da circa 0,9 a oltre 1,2 con un valore medio che può essere considerato 1,1, equivalente a ipotizzare che, se l’epidemia non viene contenuta, i casi aumentano ogni settimana del 10%. Questo è il valore adottato dall’esercizio, che assume l’ipotesi che il virus abbia mantenuto la sua contagiosità inalterata, che le misure di contenimento collettivo non ci siano state, ma solo delle precauzioni individuali, ed infine che sia rimasta presso che costante la quota di popolazione suscettibile. Se allora così fosse successo, ogni settimana, partendo dai casi di inizio marzo, questi sarebbero aumentati del 10% assumendo l’andamento riportato in figura 3 (curva blu) e confrontato con l’andamento reale invece osservato (curva rossa).
Si sono quindi poi considerate le persone che sono state vaccinate, anche solo con una prima dose, e si è di nuovo assunto arbitrariamente che dopo quindici giorni tutti loro non fossero più suscettibili di contagiarsi. Quindi si è tolto, per tutto il periodo di tempo seguente, il numero di casi che i vaccinati avrebbero ipoteticamente prodotto se non avessero ricevuto il vaccino. sempre considerando una progressione dei contagi con un RDt settimanale pari a 1,1.
Se qualcuno a questo punto volesse criticarci per l’arbitrarietà di tutti questi assunti che abbiamo introdotto non potremmo certo dargli torto, ciò nonostante pensiamo che anch’egli sarebbe curioso di sapere cosa succede se gli assunti fossero invece abbastanza vicini al vero.
Sottraendo dalle frequenze ipotetiche quelle attribuibili ai vaccinati rimane una quota di casi da cui possiamo poi successivamente sottrarre quelli effettivamente diagnosticati e la differenza si potrebbe allora considerare come casi evitati dalle misure di contenimento adottate, cioè le zone rosse e arancioni, il coprifuoco, la chiusura dei ristoranti, ecc. ecc.; nella figura 4 sono rappresentate queste tre quote di frequenze settimanali di nuovi casi positivi reali ed evitati.
Nella figura 5 è rappresentato l’andamento da marzo a maggio delle percentuali delle tre quote, quella dei casi realmente diagnosticati, quella dei casi ipoteticamente evitati grazie alle vaccinazioni e quella dei casi evitati grazie alle misure di contenimento.
Se l’esercizio avesse la fortuna di avvicinarsi a riprodurre la realtà, allora si dovrebbe concludere che le capacità di contenimento attribuibile alle vaccinazioni è presso che simile alla capacità di contenimento attraverso le misure tipo lockdown. Naturalmente si deve osservare che, mentre queste ultime decadono di efficacia appena vengono dismesse, le vaccinazioni invece mantengono la loro efficacia per un periodo relativamente lungo che alcuni stimano di almeno nove mesi.
Se il lettore ha avuto la pazienza di leggere sin qui, ci perdoni se lo invitiamo a non dare troppo valore di rigorosità ai risultati ottenuti dato che siamo stati molto generosi nell’arbitrarietà degli assunti, come peraltro spesso accade nell’esecuzione di molti modelli predittivi o interpretativi. Abbiamo però ugualmente voluto presentare questo esercizio per affermare che sicuramente il ruolo delle vaccinazioni è ampio e determinante, ma quasi sicuramente non è sufficiente a risolvere tutti i problemi dell’epidemia. Infatti credo sarà ancora necessario per un po’ di tempo mantenere alcune misure di contenimento per garantire che il virus non trovi nuovi spazi per ricominciare a molestarci magari trovando la strada per bypassare le vaccinazioni.
Per chi poi fosse interessato, proponiamo di leggere il recentissimo articolo comparso su Nature, di cui riportiamo il link, nella cui parte finale si ribadisce l’importanza di non “abbassare la guardia” sulle norme di contenimento troppo presto anche quando una buona parte della popolazione è già stata vaccinata. (Six months of COVID vaccines: what 1.7 billion doses have taught scientists)
Segnaliamo anche un altro articolo meno recente ma molto interessante dal titolo “Come si esce da una pandemia” (Come si esce da una pandemia) della sociologa Zeynep Tufekci, pubblicato su “The Atlantic” e uscito in italiano sul numero 1400 de l’ Internazionale.
Cesare Cislaghi
7/6/2021 https://epiprev.it
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