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Ricerca Pubblica o di profitto?

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Com’è noto l’art. 32 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” mette al centro il diritto alla salute. Ora la nostra Legge Fondamentale, in tutti i suoi articoli usa parole e concetti studiati appositamente per dare in una eccezionale sintesi, un indirizzo preciso e inequivocabile dei principi fondamentali in cui i diritti dell’individuo si affermano. In questo caso il diritto fondamentale alla salute, l’interesse della collettività e le cure gratuite si concretizzano dentro un quadro, in cui è bandito l’interesse al profitto nell’affermazione dell’univer-salità del servizio sanitario, quindi in una sanità totalmente pubblica nell’organizzazione, nelle prestazioni, nella sua “filiera” che soddisfa il diritto.

I processi sempre più spinti di privatizzazione allontanano sempre più il diritto universale alla salute, ma per quanto sia stato pubblico il servizio, in particolare dalla riforma del ’78 sino al progressivo smantellamento attuale, alcuni punti della “filiera salute” sono purtroppo sempre stati isole privatistiche lontane anni luce dall’idea che la salute sia un diritto e non una merce da portare al massimo profitto. Ricerca, farmaceutica, tecnologia applicata non sono mai state patrimonio pubblico ma terreno speculativo.

Ecco perché penso che una sanità pubblica, universale e efficace a tutela dell’individuo e della collettività non possa essere pienamente realizzata senza una “industria” pubblica di questi tre settori. Tutti e tre i settori sono uniti da un filo logico di sviluppo unico che parte dallo scopo per cui si “fa” ricerca, quale obiettivo si pone e come, raggiunto l’obiettivo, si applica per l’interesse collettivo a qualsiasi individuo anche se privo di qualsiasi reddito. Si una industria pubblica nazionale di “filiera” non è solo indispensabile (come purtroppo abbiamo visto in questa crisi pandemica) ma fondamentale per uno sviluppo economico e sociale serio ed equilibrato e la stessa salvaguardia del diritto alla salute.

La ricerca è quasi interamente nelle mani dei privati: una gran parte delle strumentazioni tecnologiche e la quasi totalità dei prodotti farmaceutici, compresi quelli oncologici, sono nelle mani di industrie private farmaceutiche o biomediche. Il bizzarro è che molte di queste ricerche sono finanziate con soldi pubblici indirizzati allo scopo o acconti su future forniture, per poi essere sottoposte a privatistica attraverso i brevetti (che sui farmaci è ventennale), questo è il classico esempio di pubblicizzazione dei costi e di privatizzazione dei profitti. Esempio recentissimo viene dalla pandemia per il covid, dai presidi medico-chirurgici ( mascherine, camici, guanti ecc..) alle apparecchiature ( respiratori e tecnologie per trattamenti intensivi) fino alla farmaceutica (dai farmaci di cura fino al vaccino), tutto visto e letto sotto la lente della speculazione e del profitto.

Le big pharma dopo aver ingrassato i portafogli con la vendita dei farmaci di cura al covid 19 (eparine; remdesivir; corticosteroidi ecc.) hanno poi trovato un pozzo di san Patrizio, dalla ricerca, lo sviluppo e la commercializzazione del vaccino, che per l’appunto si è realizzato con enormi investimenti pubblici prima per la ricerca poi con miliardi di dosi acquistate ancora prima dell’avvio della produzione.
Profitti volati a 50 miliardi di dollari nel solo primo trimestre 2021.

Ma c’è di più, non sono un no vax, penso che negare la necessità delle vaccinazioni sia una autentica e colossale stupidaggine, ma trovo criminale e vergognoso, dapprima la negazione della sospensione dei brevetti volta a mantenere il monopolio di mercato ( per questi cialtroni il libero mercato si realizza solo se le produzioni o le gestioni sono pubbliche) e adesso la generalizzazione della somministrazione del vaccino alle intere popolazioni, con moltiplicazioni di dosi e richiami che ora diverranno annuali. Ora come è noto i dati parlano di un 90% di decessi di ultra ottantenni quasi tutti con pluripatologie la cui complicanza covid è stata letale.

Quindi una logica sanitaria seria di prevenzione fa una classifica di soggetti a rischio per età, malattie o per esposizione lavorativa, ma allora perché allargare la vaccinazione a tutta la popolazione (salvo soggetti a rischio) e in particolare sotto i 29 anni quando dall’inizio della pandemia al 30 aprile 21 i decessi in questa fascia erano solo 49 ? Si dice ma sono portatori . Ma se vaccini anziani e persone a rischio dovresti avere le coperture necessarie a tutelare la salute collettiva, altrimenti a che serve il vaccino che si sta somministrando? Ho il forte dubbio che la vaccinazione generalizzata sia l’ennesimo capitolo della speculazione sulla pandemia, del resto perché la Von der Layen ha acquistato 2,5 miliardi di dosi di vaccino quando la popolazione europea è di 300 milioni di abitanti eprobabilmente le popolazioni a rischio saranno meno del 60% ? Si pensa alla commercializzazione verso paesi poveri, visto che non si concedono i brevetti per produrli ?

In particolare un’industria pubblica farmaceutica, avrebbe anche un impatto notevole su sprechi e ruberie al sistema sanitario nazionale, basta pensare ad un nuovo prontuario farmaceutico liberando la decuplicazione di produzione di farmaci uguali, di speculazioni sulla produzione oncologica (carissima) , sulla distribuzione di base territoriale, per la produzione di farmaci per le patologie rare, sulla riduzione del spreco farmacologico in eccesso ai consumi derivanti da specifiche cure ( esempio cura da 6 pastiglie confezioni da 12 ) , cure gratuite con conseguente abolizione dei ticket, distribuzione da dismissioni ospedaliere con approvvigionamento domiciliare, rilancio e centralità delle farmacie comunali.

Ecco non credo di essere l’unico ad avere i dubbi su citati e a vedere lo schifo della commercializzazione speculativa sul diritto alla salute. Sono queste le motivazioni che dovrebbero spingere il Parlamento (se non fosse interamente liberista e al servizio dei padroni) a riformare il sistema sanitario costruendo l’industria pubblica farmaceutica, di ricerca e tecnologica strumentale.

Il recovery plan poteva essere l’occasione per costruire una vera riforma del sistema sanitario che appunto applicasse la Costituzione e ponesse al centro della riforma il diritto alla salute, unificando il sistema sanitario frantumato dal titolo V, in ogni suo aspetto organizzativo e produttivo, ma come sappiamo il governo dei padroni vede solo confindustria…

Riassumendo : per avere una sanità pubblica, universale e gratuita non si può prescindere dal pubblicizzare ogni aspetto del sistema e da una industria farmaceutica e tecnologica pubblica il cui indirizzo industriale sia prevalente e politicamente determinante.

Marco Nesci

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

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NOTA REDAZIONALE

La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha annunciato una nuova agenzia dedicata alla ricerca in campo biomedico Health Emergency Response Authority (Hera),con compiti simili alla Barda statunitense , e potrebbe essere avere sede a Roma nell’ospedale pubblico Forlanini, chiuso da anni e con nessuna intenzione della Regione Lazio di riaprirlo come chiesto a gran voce in particolare durante questo anno di pandemia. Potrebbe sembrare una bella notizia ma i contorni sono ancora oscuri sia sui termini di finanziamento che su quelli gestionali. Quale ruolo avranno gli appetiti privati? Quale controllo pubblico mediante il ministero della salute?

Considerata la divergenza tra ricerca medica orientata al profitto e ricerca per la salute, è necessario realizzare una grande infrastruttura pubblica, oppure uno o due poli di dimensioni europee.

L’ultima opzione sarebbe preferibile perché le risorse da mettere in campo sono maggiori di quelle che i singoli stati potrebbero permettersi, inoltre per la sperimentazione multicentrica è preferibile avere un livello su scala internazionale.

Tale realtà potrebbe funzionare da contrappeso all’industria privata, e intervenire su tutto il ciclo del farmaco, per garantire la correttezza e l’efficacia di tutte le fasi: ricerca, sviluppo, produzione e distribuzione. Dovrebbe, naturalmente, agire in sinergia con i sistema sanitari pubblici degli altri paesi e con la comunità scientifica.

Il finanziamento potrebbe essere assicurato tramite: contributi a carico del bilancio degli stati partecipanti e destinazione volontaria delle imposte; ricavi derivanti dalle licenze di produzione e dalla distribuzione di farmaci, tecnologie biomediche e generici di alta qualità al costo di produzione ai sistemi sanitari nazionali; remunerazioni da parte di imprese farmaceutiche per collaborazioni con l’impresa pubblica.

Il rendimento, per una impresa pubblica di questo tipo, sarebbe sociale, perché consisterebbe nella produzione, a prezzi nulli o inferiori al costo medio, di farmaci e vaccini socialmente utili e prioritari, avrebbe un minore impatto economico rispetto alla patologie trattate, garantirebbe maggiore sicurezza sociale. Si potrebbero così evitare shock economici devastanti, come quello attuale, derivanti da emergenze sanitarie che potrebbero ancora ripetersi.

Inoltre, essendo i farmaci di provenienza pubblica, non si dovrebbero più pagare le aziende farmaceutiche più volte per le varie fasi (ricerca e sviluppo, produzione e commercializzazione) alimentando i loro profitti. Deve essere chiaro che, senza il denaro dei cittadini, le multinazionali occidentali non avrebbero sviluppato i vaccini anti Covid-19: bisogna fare in modo che la finanza pubblica riconquisti il primato sulla finanza privata, che – per sua natura – è al servizio degli interessi più potenti.
Redazione

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