Percorsi di autonomia lavorativa per le persone con disabilità
Nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 18/09, l’articolo dedicato al lavoro [il 27°, N.d.R.] è interessante perché mette in luce che le persone con disabilità non solo dovrebbero trovare, grazie ai percorsi di accompagnamento e agli accomodamenti ragionevoli, un impiego nel mondo del lavoro, ma dice anche, alla lettera (f), che gli Stati devono favorire l’esercizio del diritto al lavoro, compreso il «promuovere opportunità di lavoro autonomo, l’imprenditorialità, l’organizzazione di cooperative e l’avvio di attività economiche in proprio».
Il numero 11/2017 della storica rivista «HP-Accaparlante» è stato dedicato proprio a questa tematica; la monografia si intitolava infatti Mi metto in proprio. Quando le persone disabili fanno impresa. Tra questi ultimi è impossibile non annoverare lo straordinario Claudio Imprudente, tra i fondatori dell’omonima Cooperativa Accaparlante. Nell’editoriale di quel numero della rivista si leggeva: «[…] forse la nozione di lavoratore “autonomo” appare in contraddizione con la limitazione delle “autonomie” che il deficit porta con sé», ma poi, pagina dopo pagina, attraverso le notizie e le testimonianze raccolte da Massimiliano Rubbi e Valeria Alpi, si scorgevano i sentieri percorribili, per realizzare forme nuove di sostegno all’imprenditorialità delle persone con disabilità, scoprendo interessantissime storie di successo da tutto il mondo.
Dando ascolto a storie di persone disabili al lavoro in Italia emerge, invece, che spesso non sono così ben inserite e soddisfatte delle
attività che svolgono nei contesti in cui sono impiegate. Manifestano
disagi e fatiche, per esempio nel gestire rapporti e relazioni,
specialmente quando sono presenti deficit sensoriali e/o cognitivi.
Viene da pensare anche al fatto che nei Paesi avanzati oggigiorno,
rispetto al passato, con i processi di terziarizzazione, ci siano meno opportunità
di lavoro in àmbito manifatturiero, in cui un tempo erano più
facilmente impiegate persone con limitazioni – sensoriali uditive, ad
esempio – dopo avere seguito speciali percorsi formativi.
Chiudo gli occhi e vedo passare davanti a me le straordinarie foto d’archivio di un ex istituto per sordomuti
e vado con la memoria a una moltitudine di persone che ho avuto la
fortuna di conoscere, persone ormai anziane, fiere della vita vissuta
affrontando le difficoltà, ma appagate dal lavoro compiuto, intessendo
relazioni sociali oltre che famigliari.
Ho scoperto che nella manifattura lombarda, di fine Ottocento e prima metà del Novecento,
artisti e artigiani avvolti dal silenzio operavano in modo eccelso, a
volte concentrati in azioni meccaniche e ripetitive come nelle tipografie, tra esse quella del «Corriere della Sera», altre volte, invece, occupati in attività più creative come la preparazione di scenografie e costumi al Teatro alla Scala e la decorazione di preziose porcellane alla Richard Ginori.
Altri ancora erano piccoli artigiani che, diligenti e precisi, cucivano scarpe come libri: erano infatti calzolai e legatori
che lavoravano nelle loro botteghe, in cui la comunicazione con i
clienti avveniva in maniera semplice e diretta, avvalendosi oltre che
della lettura labiale sicuramente della scrittura su carta, su cui
venivano fissate parole e cifre.
Sempre tramite un progetto supportato dal programma statunitense WPA, una giovane paziente si gode il proprio tempo libero imparando a tessere presso la Lymanhurst Cardiac Clinic di Minneapolis nel Minnesota (circa 1935-1943) (fonte: Livingnewdeal.org)
Attualmente, con sempre più dispositivi tecnologici disponibili nei
loro ambienti di lavoro, le persone disabili appaiono messe nella
condizione di superare ogni barriera, in contesti lavorativi che, almeno
a parole, si dicono inclusivi. Ma tante persone, che a prima vista
hanno la fortuna di avere un “posto di lavoro”, manifestano un senso di isolamento e affrontano incomprensioni e fatiche a volte smisurate,
senza un adeguato accompagnamento e un’opera di sensibilizzazione e
formazione dei contesti in cui sono inseriti, così da superare
stereotipi e promuovere conoscenza.
Penso che chi accompagna una persona con disabilità verso la vita adulta
e indipendente deve rivolgere l’attenzione alle sue capacità innate,
oltre a quelle acquisite, e fissare l’attenzione verso ciò che le procura soddisfazione, individuando adeguati percorsi formativi, verso un lavoro dipendente così come verso un lavoro autonomo.
Un uomo che perse la vista da ragazzo, un giorno, all’età di 25 anni, rispose ad un annuncio di un noto scultore bolognese, Nicola Zamboni, che era alla ricerca di persone non vedenti per verificare se questo tipo di disabilità potesse rappresentare un ostacolo alla creazione artistica.
È avvenuto così per Felice – che all’epoca faceva il
centralinista – l’incontro determinante per la sua futura carriera
lavorativa, con il maestro di scultura che ha percepito in lui uno
straordinario talento per cui doveva mettersi all’opera per “dare forma ai sogni”, ai suoi stessi sogni. Con un lungo tirocinio, durato anni, Felice ha saputo scolpire da sé la sua vita, diventando uno scultore di fama internazionale le cui opere sono collocate in musei di tutto il mondo, compresi i Musei Vaticani.
Felice Tagliaferri,
oltreché grandissimo artista, è oggi ispiratore e formatore, attraverso
laboratori esperienziali a cui partecipa una moltitudine di persone, in
particolare di insegnanti, educatori e professionisti della cura… che
da lui apprendono cosa significhi educare e curare superando le barriere
e andando oltre ciò che si vede, connettendosi con l’altro in modo empatico, oltre che con il tatto “cuore a cuore” [se ne legga in «Superando.it» una lunga, nostra intervista a questo link, N.d.R.].
Sensibilizzare i contesti, accrescere l’attenzione per l’altro e coltivare l’ascolto attivo sono tra le azioni basilari per realizzare percorsi di inclusione lavorativa dentro le aziende, ma anche per favorire i percorsi intraprendenti di persone con disabilità nel mondo del lavoro autonomo, oltre i pregiudizi e l’indifferenza.
Martina Gerosa
Urbanista e disability & accessibility manager. Il presente contributo è già apparso sulla testata «DiverCity magazine», e viene qui ripreso per gentile concessione dell’Autrice. Le immagini utilizzate sono state utilizzate e scelta da Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa).
15/6/2021 http://www.superando.it
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