ASSUNZIONI, RIFORME, CONTRATTI? QUALI?

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Per ora, la montagna ha partorito il topolino. Ricordiamo tutti quando il ministro Revenant Brunetta ci ha stupito con effetti speciali annunciando migliaia di assunzioni (150.000 ogni anno) nella Pubblica Amministrazione.
Di questi numeri (che poi sono persone in carne ossa) se ne parlerà più avanti, perché, intanto, urge assumere le figure occorrenti per applicare (o “mettere a terra”, come si usa dire oggi) il PNRR, meglio noto come Recovery Plan.
Numeri, dunque, molto più esigui e ambito assai più ristretto, anche se Brunetta (ancora lui) parla di “decine di migliaia di ingegneri, informatici e responsabili gestionali”. Si tratta di circa 24.000 assunzioni, di cui una buona parte (oltre 16.000) destinata allo smaltimento degli arretrati nei tribunali.

Non è ancora chiara la suddivisione delle assunzioni fra i vari Comparti della P.A., ma certamente va tenuto in conto che, a parte i vari Ministeri, negli Enti Locali anni di esternalizzazioni e blocchi del turn-over hanno completamente sguarnito gli uffici tecnici dei Comuni, che ora, avendo tra l’altro smarrito importanti professionalità, non sono più in grado di far fronte alle necessità. Per lungo tempo si è assistito all’esternaliz-zazione di servizi come il cosiddetto “verde pubblico” o dei servizi dedicati alla manutenzione delle città e del territorio, attività che non solo l’emergenza pandemica, ma già ben prima le emergenze ambientali e climatiche, hanno reso indispensabili.

Dato assolutamente non secondario è che queste assunzioni saranno basate sul precariato, con un limite di durata di 5 anni e comunque non oltre la durata dei progetti su cui saranno collocate. Verrà inoltre introdotto il concetto di apprendistato anche nella P.A. che, si dice, dovrà sempre più assimilarsi ai meccanismi del privato. Tutto ciò, al momento, col rigido vincolo di doversi applicare unicamente a ciò che riguarda il PNRR.

Si delinea così l’idea di P.A. che ha il governo Draghi, cioè un insieme di servizi composti essenzialmente da figure ultra professionalizzate (tutti dirigenti?), lasciando o portando all’esterno tutte quelle attività che richiedono un livello meno eccelso di professionalità, ma che sono altrettanto necessarie all’utenza e alla cittadinanza.
Guarda caso, è lo stesso modello che la sindaca Appendino intende applicare qui a Torino, con l’annunciata assunzione, scaglionata nell’arco di tre anni, di “mille talenti” precari.

Non solo, ma la ricerca di velocità agisce anche sul meccanismo dei concorsi. Quelli che si stanno svolgendo per il Sud, ad esempio, prevedono una preselezione basata sui titoli e sull’esperienza pregressa. Il che comporta, in virtù del fatto che per aver frequentato un master e maturato esperienza occorre ovviamente del tempo, che i giovani neo laureati non abbiano in sostanza alcuna possibilità di accedere, così come i giovani nella fascia di età fra i 25 e i 30 anni. Si dice ora che si tratta di un’eccezione, che negli altri concorsi si terrà conto dell’esperienza acquisita solo al termine del percorso concorsuale e non in sede di preselezione: ma, anche fosse così, resta comunque il tema dei titoli. In proposito, c’è da segnalare che sono già nati comitati (come il “Comitato per il no alla riforma dei concorsi nella P.A., o “Salviamo i concorsi pubblici”) per opporsi a tale decisione.

Tutto questo mentre si parla delle riforme da mettere in atto, fra cui la riforma della P.A.. Ma, al di là delle solite formule (“snellire”, “sburocratizzare”), nessuno pare dire concretamente in che modo si pensa di riorganizzare la P.A.. La quale, è superfluo ricordarlo, è composta da una pluralità di Comparti, ben oltre i soli Ministeri (chissà perché, quando si parla di P.A. si è soliti pensare immediatamente ai Ministeri, come se Sanità ed Enti Locali non ne facessero parte). Si dice questo perché, concordando sullo scasso determinato dall’aver dato eccessivo peso alle Regioni, resta comunque non chiarito come verranno calati nelle realtà locali (cioè sul territorio dei Comuni, essenzialmente) i fondi del PNRR. La governance centralizzata che si sta delineando, basata su strutture commissariali, non sembra prevedere alcuna forma di coinvolgimento delle istituzioni locali e, di conseguenza, della popolazione che vive nei territori. Qui in Piemonte abbiamo l’esempio di richieste di intervento del PNRR definite in modo quanto meno fantasioso, sia per ciò che riguarda gli interventi da svolgere, sia per ciò che riguarda la distribuzione sul territorio, con aree sovrarappresentate che convivono con aree “vuote”. Si tratta di un affastellamento di richieste messo insieme dalla Regione, in cui, per fare un esempio, non viene addirittura previsto alcun intervento concernente la Sanità sulla Città di Torino e relativa Città Metropolitana.
Vale la pena ricordare che molte parole sono state spese per dire che il Recovery Plan sarebbe un’occasione irripetibile per trasformare il Paese. Ma ciò sicuramente non avverrà se i Comuni verranno visti unicamente come stazioni appaltanti di opere pubbliche più o meno utili e non, come in effetti dovrebbe essere, come fattori di sviluppo della cittadinanza e del territorio in tutti i loro aspetti sociali, assistenziali, ambientali, di genere.

In tutto ciò, nessuno pare più ricordarsi del fatto che i Contratti Nazionali del Pubblico Impiego sono scaduti da circa due anni: è un tema incongruo con quello della riforma della P.A.? Tutt’altro, se non ci si limita a considerare la questione, pure fondamentale, del recupero salariale, ma si allarga l’orizzonte al tema dell’organizzazione degli uffici e dei servizi.
Davvero vogliamo rimanere ancorati all’idea arcaica del dipendente pubblico muto esecutore delle direttive elargite dal dirigente “illuminato”, che alla fine provvede anche a dividere i lavoratori, premiandoli oppure no, in “buoni” e “cattivi”? Sarebbe questa la moderna idea di Pubblica Amministrazione o piuttosto non sarebbe meglio percorrere la strada di un’organizzazione dei servizi basata sulla fattiva collaborazione fra tutti gli operatori coinvolti? I quali sarebbero anche perfettamente in grado di proporre utili soluzioni operative per migliorarne il funzionamento, nonchè per uscire una buona volta dalla falsa contrapposizione lavoratore/utente, operando insieme per trovare modalità efficaci e condivise di organizzazione e di gestione dei pubblici servizi.

D’accordo, quindi, alla riduzione dei passaggi burocratici, ma tenendo ben presente che per “snellire” le procedure c’è bisogno di più Personale e di una dirigenza in grado di organizzare una vera programmazione; soprattutto, il dipendente pubblico deve essere concepito come il terminale intelligente dell’erogazione del servizio cui è preposto, non come una macchina a gettone che esegue pedissequamente procedure predefinite da altri, senza alcun coinvolgimento in ciò che sta facendo.
Per queste ragioni,un rinnovo contrattuale che si basasse su questi principi sarebbe un contributo importante per una vera riforma della P.A..

Possiamo nutrire qualche speranza che ciò avvenga, a partire, intanto, dall’organizzare il rilancio dell’iniziativa contrattuale, dando il buon esempio, nel senso di porre in atto, almeno in questo, quel coinvolgimento dei lavoratori e delle lavoratrici che si vorrebbe rivendicare nei confronti delle controparti pubbliche?

Fausto Cristofari

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

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