Lavora, produci, crepa…e consuma!

In questo anno e mezzo di crisi pandemica la produzione nelle fabbriche, la distribuzione delle grandi catene e l’intero apparato della logistica anche per i prodotti non essenziali, sono state garantite. Milioni di persone al lavoro, spesso su mezzi pubblici affollati, sono state costrette quotidianamente a recarsi nei luoghi di lavoro, dove spesso le infezioni da Sars-Cov-2 sono state nascoste. Questo soprattutto nelle piccole fabbriche degli indotti.

La politica si è preoccupata principalmente dell’effetto che le misure di contenimento avrebbero potuto causare sulle attività produttive, e solo in secondo luogo delle misure sanitarie. Le conseguenze sono state devastanti, abbiamo ancora sotto gli occhi le oltre 126.000 morti. L’Inps nell’ ottobre 2020 nella XIX relazione annuale ha evidenziato che tenere aperti i settori essenziali durante il lockdown è costato 47mila contagi e 13mila lavoratori morti per Covid-191, numeri che mettono in luce un fatto, puro e semplice: il contagio si è diffuso in contesti lavorativi. Le aziende del nord, soprattutto nell’area del bresciano e della provincia di Bergamo, non sono state obbligate a chiudere e la maggioranza delle aziende sono rimaste aperte cambiando prontamente il proprio codice Ateco, sulla base del quale veniva stabilita la loro appartenenza o meno ai servizi essenziali, oppure autocertificando di servire una filiera essenziale, mettendo così a rischio la salute e la vita dei lavoratori.

Nulla sappiamo delle migliaia di segnalazioni arrivate nelle Prefetture per la mancata applicazione dei protocolli anti-Covid19 e per la non corrispondenza tra codici Ateco dichiarati e attività effettivamente prestata. Un’ allegoria attuale del ricatto tra salute e lavoro si potrebbe pensare, se questa non fosse la brutale realtà e le vite di centinaia di lavoratori non fossero state a rischio quotidianamente. Questa è la sostanza di cui è fatta la produzione al tempo della pandemia. Le regole anticontagio imposte alle aziende sono state più che altro nominali, come gli operai di moltissimi settori ripetono da tempo, e quando realmente vengono rispettate è il modo stesso in cui è organizzato il lavoro a impedire che siano sufficienti. Per non parlare di chi lavora nei campi, quasi sempre a nero, e quasi sempre senza uno straccio di diritto, in quel caso le norme anticontagio non esistono proprio. La preoccupazione sul come garantire la tutela della salute è stata completamente scaricata sui lavoratori, e la verità inoppugnabile è che quotidianamente emergono storie di abusi, di sfruttamento e di insicurezza nel mondo del lavoro.

La morte della giovane operaia Luana, spettacolarizzata, vendibile nel mercato del dolore non ha prodotto un movimento radicale per la messa in discussione dei rapporti di produzione nei luoghi di lavoro.

Secondo indiscrezioni, sull’orditorio sarebbero stati evidenziati segnali di manomissioni: la saracinesca sollevata e le fotocellule disattivate senza menzionare poi la poca o nessuna formazione benchè avesse un contratto di apprendistato.

Intanto tante storie simili, repliche diffuse in tutti i luoghi di lavoro, raccontante per il tempo che dura la lettura di un articolo, si sono svolte con lo stesso copione e con lo stesso triste finale, lontane dai riflettori temporanei. Per l’industria dell’informazione e per la macchina della giustizia esistono storie meritevoli di attenzione e storie non meritevoli di attenzione, illegalismi e mondi sommersi tollerati, fenomeni non trattati come tali perché possibili cunei di ribaltamento della narrazione comoda alla morale egemone.

Parimenti, la tragedia della funivia del Mottarone a Stresa è figlia dello stesso sistema che ha ucciso Luana. Un sistema che preferisce il profitto alla sicurezza e sta lì a testimonianza anche della connotazione classista del sistema giudiziale e poliziesco: non solo perché dopo pochi giorni il titolare e direttore dell’impianto è stato rimesso in libertà ma anche perché le indagini sono state allargate ai lavoratori incaricati dell’esecuzione materiale degli ordini provenienti dall’alto.

, Verbania, Italy, 23 May 2021 ANSA/SOCCORSO ALPINO

I corpi sono spazio di dominio, sfruttamento e spesso le storie in cui agiscono sono invisibili. Il confine del campo di attenzione è dettato da tendenze basate su interessi economici.

Secondo l’Eurispes (nel 2018) si può stimare che l’insieme dell’economia “non osservata” nel nostro paese abbia generato nel 2017 circa 530 miliardi di euro, pari al 35% del PIL uffi­ciale2.

A volte i morti fanno notizia, altre volte no, ma per nulla la fanno le invalidità permanenti da infortunio sul lavoro e le malattie professionali. Costi sociali che sicuramente non sono a carico delle imprese, soprattutto dopo il precedente dell’allora Ministro dello Sviluppo Economico, Di Maio, che inserì lo sconto sulle tariffe dei premi assicurativi Inail nella Legge di Bilancio del 20193.

Il rumore delle macchine continua a tenere isolate le forze sindacali, ancora occupate in una lotta molto corporativa e reputazionale e poco di classe, mentre l’ultimo rapporto sulla salute nei luoghi di lavoro redatto da WHO-ILO di maggio 4, ci dice che circa 488 milioni di lavorator* nel mondo sono espost* a rischi cardiovascolari e ischemici dovuti al carico e al tempo prolungato di lavoro (più di 55 ore di lavoro settimanale in media). Questi dati, se letti in maniera grossolana, potrebbero raccontarci che questo avviene in luoghi in cui la produzione dell’occidente è delocalizzata. Ma esiste, come abbiamo detto e raccontato più volte, una fetta consistente di economia anche da noi, che si base sullo sfruttamento e il non rispetto di normative sul lavoro e la salute, che si intreccia con investimenti leciti e investimenti economici sommersi o grigi.

Mentre i luoghi di lavoro si apprestano a diventare hub vaccinali, leggendo le bozze dei prossimi documenti economici del governo, le risorse stanziate sembrerebbero ancora insufficienti rispetto ai bisogni necessari per garantire un sistema di salute territoriale con una forte connotazione di medicina sociale, come assurde sono le risorse stanziate per il cosiddetto “housing sociale” anziché per un serio piano di edilizia sociale pubblico. Se il Virus ha sbloccato qualche fondo, lo ha fatto sulla pelle di migliaia di persone, ma le risorse vanno problematizzate dal punto di vista della loro distribuzione e del loro utilizzo. Non sappiamo infatti se per fermare la strage nei luoghi di lavoro basti l’assunzione di personale deputato al controllo e se sia sufficiente porla sul campo dell’intensificazione delle pene, senza un reale dialogo tra enti competenti e lavorator*, senza un reale cambio di rapporti di forza dentro la fabbrica diffusa, senza alcuna conoscenza reale dell’organizzazione del lavoro e della sua architettura produttiva e delle dinamiche che la determinano.

Nel frattempo, durante la stesura del testo del Decreto Sostegni Bis è stato quasi totalmente sancita la fine del blocco dei licenziamenti cosa che permetterà alle imprese di scaricare sui lavoratori e le lavoratrici la crisi derivata da Covid-19, approfittando della libertà di licenziare per procedere a passo spedito alle ristrutturazioni. Contestualmente con Decreto Semplificazioni si è sancita la semplificazione degli appalti, che già sono un cancro del tessuto produttivo del nostro Paese, rischia, nonostante i piccoli aggiustamenti ottenuti solo per pulire la coscienza di Cgil e PD, di produrre un mondo di lavoro povero, precario e non protetto dalle leggi su salute e sicurezza.

Il più grande sindacato italiano timidamente parla di “sciopero generale” ma non sappiamo più che significato nasconda questa serie di lettere in fila. Sarebbe necessario unire le questioni organizzazione e condizioni di lavoro (contrattuali, salariali e di tutela della salute) alle rivendicazioni di reddito universale, alla regolarizzazione tradita dei migrant*, a nuove forme di welfare partecipato e alla liberazione del ricatto subito in termini di molestie, violenze e discriminazione sui corpi e le esistenze. Trovare nuovi spazi di agibilità oltre la logica della repressione e del consumo è necessario. Comunità informali, strutturate pronte a spingere qualora il pachiderma decida di stare dentro i tempi.

Gli spazi urbani si ristrutturano sulla base delle nuove esigenze del modello economico del lavoro povero e del consumo. Socialità e riconversione ecologica sembrano essere le parole di rilancio delle città, ma guardando oltre, possiamo riscoprire l’ennesima operazione di facciata, un lavaggio per rivestirsi in chiave estrattivo-consumista. Migliaia di metri quadrati di tavolini, migliaia di tonnellate di amianto nei siti killer come l’ex Ilva, si intrecciano alle migliaia di chilometri dei rider e in proporzione inversa, i salari e i loro potere d’acquisto calano, mentre si prepara l’ennesima stagione estiva fatta di proclami lamentosi da parte delle associazioni di categoria degli imprenditori del turismo.

Un’altra stagione di raccolta nelle campagne, dove la pelle nera costa fuoriuscita di sangue se si prova a pronunciare alcune parole ad alta voce, è alle porte e tutta la filiera agroalimentare che va dalla raccolta alla vendita della GDO non prevede ad oggi alcuna campagna vaccinale di profilassi. Quel che sta accadendo si aggiunge a ciò che già era. Negli interstizi di questi spazi, si infilano movimenti reazionari e altri in nome di una non chiara idea “libertaria” negano la necessità storica di misure e strumenti di gestione e tutela della vita collettiva, il mantra dell’individuo contemporaneo resta inciso ovunque: “Lavora, produci, crepa….e consuma!”. Finché puoi.

1 https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/10/29/inps-tenere-aperti-i-settori-essenziali-durante-il-lockdown-e-costato-47mila-casi-e-13mila-morti-con-la-cig-persi-600-euro-in-busta-paga/5984106/

2 Polizie, sicurezza e insicurezze, S. Palidda, Meltemi, 2021 (eurispes.eu/mediacontent/aise-it-italian-spread-ricchezza-reddi­ti-dichiarati-e-tenore-di-vita-in-un-nuovo-studio-eurispes/)

3 https://www.confartigianato.it/2019/02/legge-di-bilancio-2019-il-ministro-di-maio-incontra-confartigianato-riduzione-delle-tariffe-inail-e-prossime-iniziative-del-governo-al-centro-del-confronto/

4 https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0160412021002208

OSSERVATORIO CONTRO LA REPRESSSIONE

L’Osservatorio Repressione è una associazione di promozione sociale nata nel 2007. Si prefigge di promuovere e coordinare studi, ricerche, dibattiti e seminari, sui temi della repressione, della legislazione speciale, della situazione carceraria, la raccolta, la conservazione di materiali e di documenti inerenti la propria attività, cura la pubblicazione di materiali ed esiti delle proprie ricerche, promuove progetti indipendenti o coordinati con altre associazioni e movimenti che operano nello stesso ambito. http://www.osservatoriorepressione.info

15/6/2021 https://www.intersezionale.com

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