CRIMINI SUL LAVORO. Risposta non c’è, ma forse ci sarà
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Nonostante i numeri che continuano a riempire la fossa comune dei morti sul lavoro continuiamo a registrare l’autoassoluzione, ovviamente dietro la mimica dell’indignazione, dei responsabili degli infortuni mortali: dal Ministero del Lavoro in “combutta” con gli altri Ministeri competenti in materia; i cosiddetti Datori di Lavoro, dei Dirigenti e dei Preposti a operare secondo una cultura dell prevenzione.
La frequenza di incidenti mortali sul lavoro rischia, paradossalmente, di coprire un’altra strage silenziosa, forse numericamente più ampia, quella delle malattie professionali, in primo luogo gli operai colpiti da tumore per essere stati esposti a sostanze cancerogene ma i referti di malattia professionale sono rarissimi. Il decreto 81 del 2008 all’articolo 244 prevede che le Regioni e l’Inail, utilizzando i dati in loro possesso, si mettano alla ricerca di questi “tumori perduti”. I pochi dati raccolti ci dicono che il compito dovrebbe essere affidato ad apposite strutture, i Centri operativi regionali (Cor) che, utilizzando le banche dati delle Regioni, identifichino i casi di tumore, mediante le banche dati dell’Inps ricostruiscano le storie lavorative, e procedano quindi a valutare per ogni singolo caso se le esposizioni lavorative possano avere “contribuito” a causare la neoplasia.
Quelle delle malattie professionali sono morti silenziose sulle quali si riversa l’indignazione impotente delle famiglie abbandonate al loro dolore, ma lo stesso “infortunio mortale” in produzione non ha maggiore attenzione, a prescindere dall’ipocrisia dei di mass Media, della politica, dei Ministeri competenti e degli stessi sindacati a loro volta responsabili di essersi ormai vestiti da spettatori di questi numeri: 17.000 i lavoratori morti sul lavoro nel decennio 2009-2019. Alle vecchie nocività si sono aggiunte le nuove, i dati Inail sugli infortuni – sostesteniamo siano per difetto, sul lavoro nell’anno della pandemia confermano anche l’impatto dell’emergenza Coronavirus sull’andamento infortunistico in Italia nel 2020. I casi mortali sono 1.270, 181 in più rispetto ai 1.089 del 2019 (+16,6%).
Nel primo quadrimestre del 2021 i morti sul lavoro sono aumentati ancora, il 9,3% in più rispetto allo stesso periodo del 2020 (dati sottostimati perché non tengono conto dei lavoratori senza contratto, in nero). Alla strage di oltre 100 lavoratori al mese vanno aggiunte, come prima sostenuto, le decine di migliaia di morti per malattie professionali e ambientali: solo per amianto 6.000 ogni anno, 16 ogni giorno!.
I dati però non indicano “Chi” produce storicamente questi “infortuni mortali” e “Perché” continuano ad accadere. Si incolpa, senza vergogna alcuna, l’imprudenza del Lavoratore coprendo, come prassi ormai istituzionale, l’indifferenza dei datori di lavoro, dei dirigenti e, a ricaduta, dei preposti di fatto subordinati ai datori. Nessuna riflessione è proposta sul ruolo di prevenzione dei sindacati i quali con i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) hanno il compito di Legge di vigilare con gli strumenti della vigilanza sull’organizzazione del lavoro mediante continuai sopralluoghi.
Dal 1° Gennaio 2017 ha preso forma il nuovo Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) – dopo un parto di due anni essendo stato istituito nel 2015 – ma si è rivelato un aborto come nuovo Ente preposto anche al “raggruppamento” di tutti Funzionari dei Servizi Ispettivi, i cosiddetti Ispettori ed in particolare gli Ufficiali di Polizia Giudiziaria, in un unico Ente come l’INL, perché distribuiti inutilmente e nel tempo in molti Enti di controllo dello Stato (Ministero del Lavoro, INPS e INAIL). Quindi un altro accordo beffa fra Pubblica Amministrazione e Sindacati nonostante l’aumento degli infortuni mortali, sia i tre giornalieri programmati da questo sistema produttivo, sia quelli “non previsti” come l’uccisione di Adil Belakhdim, militante sindacale nella logistica dove lo sfruttamento della forza-lavoro si svolge ormai in condizioni semi-schiaviste come fossimo in un regime neo-coloniale dove chi organizza la resistenza a difesa delle condizioni di lavoro e della sua vita e’ aggredito, perseguitato, ucciso.
A partire da queste consolidate dimaniche di unilaterale lotta di classe ci paiono crudelmente inefficaci, fino a sfiorare inconsapevolmente il ridicolo, alcune proposte sindacali come la patente a punti per le imprese, una patente post infortuni e post morte, mentre servirebbe, elementarmente:
- rafforzare i Servizi delle ASL (gli addetti ai Servizi di Prevenzione delle ASL sono passati da 5.060 operatori nel 2008 a 3.246 nel 2018);
- potenziare gli organici dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e il coordinamento col SSN;
- rafforzare gli organici dei Vigili del Fuoco dedicati alla prevenzione;
- valorizzare le esperienze del sistema sanitario pubblico, sostenute nel Piano Nazionale Prevenzione 2014-2019 e nel prossimo 2020-2025;
- incrementare gli interventi di prevenzione nelle piccole imprese, cooperative, lavoratori autonomi controllando gli appalti;
- investire nella qualificazione delle imprese;
- rafforzare la rete degli RLS; ripulire dall’illegalità il mercato delle consulenze e della formazione;
- investire per la formazione dei giovani alla sicurezza del lavoro nei curricula scolastici.
Forse siamo ingenui nonostante abbiamo be presente che le attuali relazioni di lavoro devono sottosta agli attuali rapporti di forza politici e sociali che fanno della stessa vita un oggetto di mercato e quindi una merce qualsiasi, determinando di fatto un ritorno all’Ottocento per costringere i lavoratori a tenere un comportamento servile con i datori di lavoro in parallelo a un sindacato debole, senza contrattazione nazionale sostituita da una concertazione locale nella quale la propensione al consociativismo clientelare è più possibile.
Quindi è evidente che per salvarsi la stessa vita i lavoratori devono salvaguardarsi con il protagonismo anche autonomo dagli organismi di rappresentanza quando, volenti o nolenti, sono inefficaci.
Franco Cilenti
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