“Partito sociale? Ovvero la classe lavoratrice (e non) che più concreta di così non l’avete mai vista”.
Lino Anelli, di GAP di Piacenza, dove ormai da un anno, è partita la costituzione di un GAP provinciale. Qual è stato il ragionamento alla base di questa scelta?
Abbiamo individuato nelle pratiche del Partito sociale lo strumento efficace per riprendere contatto col territorio, con le condizioni materiali della classe, nei luoghi di lavoro e sul territorio. Siamo partiti dai bisogni, sia per costruire pratiche di mutualismo sociale che per costruire piattaforme rivendicative locali su cui fondare percorsi di partecipazione ed organizzazione dal basso. Non siamo partiti da zero. Abbiamo fatto nostra l’esperienza già avviata in altri territori.
Cosa siete riusciti a costruire?
Già da oggi sono stati attivati come GAP di Piacenza e Provincia i seguenti interventi.
L’accesso alle cure odontoiatriche: Oggi più che mai l’accesso alle cure odontoiatriche è un problema per molte famiglie. Le cure dentali non sono a carico del welfare nazionale e rappresentano per le famiglie un costo considerevole. A questa situazione risponde l’iniziativa del “DENTISTA SOCIALE” già avviata e sperimentata da mesi a Piacenza ed in Val Tidone (a cavallo tra le province di Piacenza e Pavia). Nei primi tre appuntamenti già 66 persone tra pensionati e lavoratori hanno usufruito del servizio potendo verificare la qualità delle prestazioni ed i prezzi, non superiori a quelli delle strutture sanitarie pubbliche. molto più basse di quelle offerte dal mercato privato. Per le varie prestazioni il progetto di “odontoiatria sociale” fa infatti riferimento al tariffario del 2002 in vigore all’ospedale pubblico “Galliena” di Genova.
L’accesso gratuito al sostegno scolastico: molte famiglie, pur essendo nella necessità, non riescono a sostenere il percorso scolastico dei propri figli permettendo loro la frequentazione di corsi di ripetizione ed altre attività di supporto. Per questo il GAP con l’intervento di docenti professionisti delle scuole di Piacenza e provincia ha promosso l’accesso a titolo gratuito a corsi di ripetizione scolastico per alunni delle scuole medie e medie superiori su materie che vanno dall’Italiano, alle lingue straniere (inglese e francese) ed antiche (latino e greco), matematica, geometria, fisica, filosofia, informatica e materie umanistiche in generale (storia, geografia ecc).
L’accesso all’assistenza psicoterapeutica, psicologica e neurologica: con i tagli alla spesa sociale non sempre le strutture pubbliche riescono a rispondere alle richieste di assistenza psicoterapeutica e psicologica. Grazie all’adesione al progetto GAP di alcune professioniste di Piacenza è stato avviato un primo punto di ascolto e percorsi, individuali e di gruppo (sostenuti anche da una assistenza neurologica) per trattare quelle tipologie del disagio sociale che la crisi sta aumentando. Una assistenza, la dove il SSN non è in grado di intervenire, promossa alle stesse condizioni ed alle stesse tariffe del servizio pubblico. In fase di definizione è ora anche un progetto per l’apertura di uno sportello gratuito di consulenza legale
E per quanto riguarda i bisogni primari?
Un impegno particolare si sta ora definendo anche per l’avvio di un progetto sull’accesso all’Alimentazione. L’ipotesi su cui stiamo lavorando prevede la promozione e la costituzione di un GAP in ogni luogo di lavoro dove organizzare (su prenotazione) la distribuzione di generi alimentari (pasta, riso, olio ecc) a prezzi calmierati.
Un primo bilancio?
Sul piano quantitativo il bilancio di un anno è positivo, e questo per due ragioni:
Innanzitutto il numero delle persone che sono state coinvolte con questi progetti (dentista, psicoterapia, corsi di ripetizione gratuiti ecc) che aumenta ad ogni appuntamento, dimostrando con ciò come ormai l’esistenza di questa rete di mutualismo territoriale sia sempre più conosciuta e diventi sempre più un punto di riferimento sul territorio. In secondo luogo, la rete di contatti così costruita, comincia a funzionare anche come prima forma di partecipazione ed organizzazione della rete. Tutti quelli che si rivolgono al GAP entrano in una e-mailing list a cui periodicamente si inviano informazioni sull’attività, sullo sviluppo dei progetti, sugli appuntamenti, e, come dimostrato nella pratica, molti, tra quelli che si sono rivolti ai progetti promossi come GAP, sono diventati attivi nella sua divulgazione, promozione, nei luoghi di lavoro e nei quartieri cominciando così a funzionare come punti di una rete in crescita.
Ma la cosa ancor più importante è che il consenso che questo progetto ottiene sempre di più, oltre che trasformarsi anche in partecipazione diretta al suo sviluppo, sta producendo una prima forma di organizzazione dal basso, di coinvolgimento anche nella costruzione di pratiche vertenziali sul territorio.
Col comune di Piacenza il GAP ha aperto un primo confronto con l’invio di una prima piattaforma per chiedere la disponibilità gratuita di spazi dove organizzare al meglio i progetti già avviati ed in fase di avvio, per la costruzione di un fondo di solidarietà comunale che permetta l’accesso alle cure a quei soggetti che nonostante i prezzi calmierati (esempio per il dentista sociale) hanno difficoltà ad accedervi. Ebbene, questa piattaforma, distribuita prima in bozza è stata poi discussa e definita con tutti quei lavoratori e pensionati che via via sono entrati in contatto col GAP.
Il rapporto con le istituzioni locali?
Una pratica già sperimentata in piccolo con alcuni comuni di montagna che ci ha portato a ottenere da parte di alcuni comuni (Romagnese, Zavattarelo e ultima anche l’Unione dei Comuni della Val Tidone Pavese) delle deliberazioni che hanno deciso la messa a disposizione del GAP di spazi ambulatoriali dove organizzare i propri progetti.
L’esperienza GAP e partito sociale è un po’ macchia di leopardo da un punto di vista nazionale. C’è bisogno di rendere accessibili a tutti queste esperienze non credi?
L’esperienza di Piacenza e Provincia, come quella in altri territori a noi confinanti (come Lodi) dimostrano come l’intuizione e la messa in pratica del progetto di Partito sociale (sia nelle pratiche mutualistiche che in quelle vertenziali), corrisponde immediatamente ai bisogni che la classe esprime e ne promuove anche una capacità di risposta organizzata. Per questo è necessario ora porsi la questione di come queste esperienze, spesso limitate nei confini di singoli territori, possano (e devono) assumere una dimensione più vasta in modo che il Partito Sociale diventi un riferimento maggiormente visibile non solo nelle pratiche ma anche nelle dimensioni. Se il Partito Sociale è la nostra risposta generale (nazionale) alla crisi ed alle strategie di capitale, si tratta quindi adesso di portare su scala più vasta quanto già ora si sta facendo localmente, coordinando tra loro le esperienze attive, fino a promuovere la visibilità del nostro progetto come progetto generale. Certo non è semplice, ma sicuramente possibile almeno se ragioniamo intanto a creare la visibilità del Partito Sociale come progetto presente in un’area vasta che può andare (considerando ad esempio dove questo progetto ha assunto una forma più compiuta) da Padova a Rapallo e Viareggio, passando da Cuneo, Lodi e Piacenza.
Un aiuto fondamentale a questo consolidamento e sviluppo delle esperienze in corso, alla loro visibilità come parti di un progetto più generale, nazionale, può essere una più diretta collaborazione con una piattaforma mediatica quale è il sito di Contro la Crisi.
Non solo come occasione per informare, divulgare, confrontare le esperienze in corso, ma anche per darne una lettura unitaria, per esplicitarne il carattere di progetto generale, le finalità, non solo di lotta economica e difensiva ma anche di lotta propedeutica al lavoro politico, alla costruzione dal basso di una opposizione alle strategie che il capitale mette in atto per rispondere alla sua crisi. Di tutto ciò, penso, si debba ora discutere, dopo la conferma fatta in occasione della recente conferenza di Organizzazione del PRC della scelta del Partito Sociale come strategica in questa fase dello scontro di classe, come piano di lavoro generale per tutto il partito.
Passiamo a un ragionamento più generale, sull’organizzazione della classe nel tritacarne della crisi…
Le politiche liberiste hanno da anni ormai messo sotto attacco salari e pensioni. Aumenta la disoccupazione e tra i pochi che trovano lavoro, la prospettiva è quella di un lavoro precario, senza tutele e con retribuzioni basse. Lo Stato nazionale, per garantire il pagamenti degli interessi sul debito, taglia ormai da anni la spesa sociale ed i trasferimenti agli enti locali con conseguente aumento delle tasse locali e tagli ai servizi (sanità, assistenza, istruzione ecc).
i Governi scaricano da anni sulle famiglie, sui pensionati, sui lavoratori, i costi di una politica economica che punta a sostenere gli interessi del capitale finanziario ed i livelli di redditività delle imprese senza che ciò abbia portato a nessuna svolta sul piano dell’occupazione e della tutela dei redditi da lavoro e di pensione. Senza addentrarci in questa occasione in una più approfondita analisi della crisi e delle risposte di capitale, è questo, in sintesi il quadro percepito, nel territorio, nei luoghi di lavoro. Di contro è altrettanto percepita la difficoltà di rispondere efficacemente a questa situazione ed al dilagare dell’offensiva liberista. Le forme della rappresentanza sindacale e politica non sembrano più capaci di rappresentare i bisogni delle classi subalterne e la loro organizzazione in vertenze e lotte.
Eppure l’esperienza sindacale in Italia è stata sostanziale…
Le condizioni della lotta economica-sindacale sono sostanzialmente cambiate anche solo rispetto a 5 o 10 anni fa. Infatti, la contrattazione generale (CCNL, contrattazione confederale) e la struttura salariale, già compromesse dalle illusioni concertative sindacali, hanno perso (e perderanno ancor più) la loro centralità a favore di una frantumazione delle stesse a livello locale, aziendale, individuale; gli effetti pratici della recente decretazione (Jobs Act), limiterà ancor più pesantemente, grazie all’esplicito ricatto occupazionale, la capacità difensiva della classe, e assieme a questa, anche l’azione e l’agibilità delle più determinate delle sue avanguardie; quel che resta della residuale rappresentatività di base (RSU) che i lavoratori organizzati comunque potevano eleggere, come pure il ruolo delle assemblee, sono praticamente in via di liquidazione a favore di una centralizzazione della funzione di controllo dell’organizzazione esterna ai luoghi di lavoro; si è definitivamente liquidata ogni pratica negoziale sul salario diretto (retribuzione). Possiamo dire che (anche nei sindacati) si è ormai affermata l’ideologia (borghese) che riduce la retribuzione a compenso di una prestazione (cioè legata alla produttività e redditività di impresa) il cui valore è dato dal mercato e non più dalla somma dei beni necessari alla forza lavoro per riprodursi, così come il salario sociale e previdenziale è ormai scaduto a rango di pura assistenza che lo stato può o meno erogare a fronte di valutazioni subordinate alla sua politica di bilancio e di pagamento degli interessi sul debito.Gli strumenti della lotta sindacale sul salario diretto-occupazione a cui siamo abituati e le modalità del nostro intervento in essa hanno quindi perso la loro efficacia. La contrattazione si è frantumata e sempre una maggiore quota di forza lavoro ne è esclusa.
Il blocco sociale che aveva prodotto le lotte secondo la vostra analisi dove è rintracciabile e con quali caratteristiche?
La forza lavoro organizzata sindacalmente, e assunta a tempo indeterminato, ancora in grado di esprimere una buona ed organizzata capacità contrattuale, è sempre più minoritaria e per lo più presente in forma residuale (anche se frenata dal moderatismo sindacale) solo in quei settori della produzione che mantengono ancora un adeguato livello di valorizzazione del capitale.
Accanto a questo aumenta la quota di forza lavoro che, anche se assunta a tempo indeterminato, è occupata in aziende più esposte alla crisi ed alla concorrenza intercapitalistica. E’ quindi più esposta al ricatto occupazionale, e non riesce più ad esprimere una sufficiente forza contrattuale a difesa del suo reddito e delle sue condizioni di sfruttamento. La restante Forza lavoro (ormai sempre più la maggioranza di essa), è oggi costretta alla disoccupazione o alla continua ricerca di un lavoro, costretta ad accettare un impiego ed un salario precario, a termine, nelle tante forme che oggi la normativa prevede, o un lavoro in nero. La Forza lavoro sul mercato è quindi debolissima, e la sua maggioranza è di fatto sempre più esclusa dalla contrattazione, dalla possibilità di organizzarsi sindacalmente.
Stesso discorso per quanto riguarda il blocco sociale sul welfare?
Altrettanto si puà dire delle condizioni attuali della lotta economico-sindacale sul territorio. La crisi e l’azione di capitale agiscono sulle concrete condizioni di esistenza di sempre più ampie fasce di popolazione oltre che sul salario diretto (retribuzione-occupazione) e previdenziale, anche per la riduzione del salario sociale. Come dimostrano anche i recenti rapporti dell’Istat, i poveri assoluti in Italia sono passati dai 2,4 milioni del 2006 agli oltre 6 milioni attuali. Aumenta anche la quota di popolazione in stato di povertà relativa che è aumentata nello stesso periodo da 3,5 milioni a oltre 10 milioni.
Oltre che dalla costante riduzione delle retribuzioni, delle pensioni, e dall’aumento della disoccupazione e precarietà, pesa sempre più la costante azione di riduzione della spesa sociale che agisce sulla possibilità all’accesso ai beni servizio (salute, assistenza, istruzione ecc).
L’azione del Capitale spinge infatti per una sempre maggiore riduzione della spesa sociale a favore di uno spostamento di risorse a sostegno del profitto e della rendita. La subordinazione dello Stato a questa logica e il livello di indebitamento spinge verso sempre maggiori tagli ai servizi, all’aumento della tassazione nazionale e locale ed alla dismissione a favore del mercato privato dei servizi pubblici.
La vertenzialità, quindi, è fortemente compromessa?
A livello nazionale e regionale, dove l’emergenza è il pareggio di bilancio e la riduzione del debito, l’azione vertenziale del sindacato è praticamente assente o occasionale a fronte per lo più del sorgere di emergenze alle quali, se va bene, si risponde con un atteggiamento emendativo con scarsi risultati. A livello locale, provinciale e comunale l’azione sindacale dimostra gli stessi limiti, ulteriormente condizionata dalle modifiche in atto degli assetti istituzionali (province e comuni) che, investiti dai tagli nella ripartizione delle risorse e dai vincoli di bilancio hanno di fatto perso ruolo ed autonomia. Gli obiettivi di bilancio dello Stato centrale, che si sostanziano nella riduzione delle voci si spesa sociale e nella riduzione dei trasferimenti agli enti locali, da un lato scarica sugli enti locali la pressione rivendicativa di quella popolazione più esposta alla crisi, e dall’altro costringe gli enti locali (soprattutto i comuni) ad agire di fatto come esattori per conto dello Stato, obbligati ad agire sulla tassazione locale per recuperare quanto viene tagliato dei trasferimenti dello Stato.
L’unità dei soggetti salario (lavoratori, disoccupati, pensionati) è rotta. E’ abbandonata l’idea di “salario complessivo” della classe. L’azione sindacale e politica ha abbandonato da tempo ogni vertenzialità su prezzi, tariffe e servizi (sanità, trasporti, istruzione ecc), limitandosi (per altro molto debolmente) alla sola contrattazione del salario monetario. Si è rotta così l’unità dei soggetti salario, sempre più divisi dall’azione di capitale e dal diverso grado di rappresentanza sindacale e politica dei loro bisogni. Considerando tutto ciò appare evidente come non solo le condizioni materiali della classe si siano impoverite, ma anche come la stessa sua azione (come quella delle sue avanguardie) è destinata a perdere di efficacia fin tanto che si continuerà ad agire come se il quadro dentro a cui si agisce non si fosse ormai compromesso.
Ciò che accomuna la classe nel suo insieme è oggi la comune tendenza all’impoverimento e la comune coscienza di essere ogni giorno più divisa, frantumata, sguarnita di tutele. Non sarà possibile creare le condizioni di una risposta organizzata, di dare forma ad una opposizione efficace all’offensiva di capitale se non sapremo lavorare su questa frammentazione.
E’ su questa urgenza che la proposta di Partito Sociale può agire?
Il nostro compito oggi è quindi principalmente quello di trovare percorsi operativi che intervengano su questa frantumazione, che riunifichino nella prassi e a livello ideale, l’unità di tutti i soggetti salario. Ciò vuol dire creare momenti ed esperienze vertenziali e di solidarietà di classe che ne contrastino la frantumazione e ne promuovano l’unità.
Bisogna quindi sostenere (sia nei fatti che con la critica) le lotte contrattuali e difensive della classe occupata, sia nella contrattazione nazionale che in quella locale, ma anche promuovere socialità e solidarietà tra i vari soggetti della classe (occupati, disoccupati, precari, pensionati) sul territorio.
Per certi versi è un pò come recuperare l’esperienza e l’idealità delle vecchie “casse di mutuo soccorso”, delle “Leghe”, delle “Case del Popolo”, elementi fondativi di una pratica solidale e mutualista, di “resistenza organizzata alla crisi”.
Molti compagni svalorizzano questo punto di vista perché interpretato come riduttivo, quasi fosse un arretramento. Come rispondi?
Ma si sbagliano. La solidarietà di classe è l’elemento fondativo elementare dell’unità di classe, perché porta i diversi soggetti (occupati, disoccupati, precari, pensionati) a riconoscersi in una unica condizione, in una comune necessità di organizzarsi per promuovere la soluzione dei loro bisogni.
In questo la prassi per una unità di classe sia su basi rivendicative che solidaristiche e mutualistiche, non è solo lotta economica ma anche iniziativa propedeutica alla coscienza di classe …. per “rimettere insieme in basso quello che si è diviso in alto, poiché è nella materialità della crisi sociale, ambientale, culturale, economica e alimentare che si rimette insieme quello che ha frantumato la trasformazione neoliberista”.
Il soggetto principale del cambiamento è, come ovvio, la classe lavoratrice, ad essa bisogna rapportarsi, al livello in cui la classe è attualmente, se vogliamo evitare che le sue avanguardie si limitino a declamare ciò che dovrebbe essere e si distacchino dalla realtà e dal soggetto sociale che si vuole rappresentare. Come diceva Gramsci, la classe riconosce le sue avanguardie non già per quel che dicono, per quanto siano preparati, per come siano coerenti e generose nella loro lotta ideologica, ma in primis per quel che fanno di concreto per promuovere l’organizzazione e la soluzione dei bisogni, e per quel che fanno per promuovere la solidarietà di classe contro i processi di divisione e frantumazione che l’azione di capitale produce.
Fabrizio Salvatori
23/4/2015 www.controlacrisi.org
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