Tessera sanitaria scaduta? Paghi
Tutti noi conosciamo la tessera sanitaria di colore blu, quella che sul fronte ha riportato il codice fiscale e sul retro un lungo codice numerico che identifica la tessera stessa. Si tratta forse della realizzazione più interessante prodotta dal processo di integrazione europeo, una realizzazione che tocca direttamente i cittadini sul piano delle tutele e rende l’espressione «cittadinanza europea» qualcosa di vivo e reale.
La tessera europea di assicurazione malattia (l’acronimo è TEAM), introdotta nel 2004 in Italia, ha una data di scadenza; all’inizio cinque anni che sono poi diventati sei. I cittadini italiani che non sono residenti all’estero ne hanno diritto «naturalmente» mentre i cittadini dell’unione o quelli extra Unione (quelli che una volta si chiamavano «extracomunitari» ma che adesso dovrebbero chiamarsi più correttamente extra Unione europea) l’hanno di diritto qualora abbiano residenza in Italia e un contratto di lavoro regolare.
Fin qui tutto chiaro e tutto bello. I problemi sorgono però quando si tocca con mano ciò che le diverse strutture sanitarie adottano come comportamento nei confronti dei cittadini non italiani che si trovino – magari per una banale dimenticanza o per un’urgenza indifferibile – a dover usare le strutture sanitarie italiane con una tessera sanitaria scaduta ma con il pieno diritto di averla (lavoro e residenza). La storia che voglio raccontare si riferisce proprio a un caso di questo tipo: tessera sanitaria scaduta da tre giorni e accesso al pronto soccorso di Arezzo per cure richieste da un attacco di sciatica.
La persona coinvolta la chiameremo Anna ed è una cittadina polacca, residente in Italia, con regolare contratto di lavoro e una tessera sanitaria scaduta il 19 giugno di quest’anno. Il 23 giugno Anna si reca in pronto soccorso con difficoltà a camminare a causa di un attacco di sciatica; viene inserita sulla base della sintomatologia accusata e viene trattata con una flebo di antidolorifico e una visita generale. Al momento della dimissione il sanitario dichiara verbalmente ad Anna che «c’è un problema» perché la tessera sanitaria è scaduta e, a suo dire, il costo della visita è totalmente a carico di Anna. Il problema a questo punto si biforca: da un lato c’è la questione se la scadenza di una tessera sanitaria per un cittadino residente in Italia comporti di per sé la sospensione immediata dei benefici, dall’altro c’è l’aspetto delle cure che sono state indicate ma che non corrispondono a quelle effettivamente prestate, e sono risultate di un costo esorbitante (più di 500 euro).
Andiamo per ordine: se la tessera sanitaria scade ma il cittadino è in costanza di un regolare rapporto lavorativo ed è residente, il mancato rinnovo della tessera – non essendo automatico ma su richiesta per i cittadini UE non italiani – non sospende le tutele del SSN. Sarebbe infatti assurdo che un cittadino italiano al quale scade la tessera che noi chiamiamo «codice fiscale» si trovasse privo di qualsiasi assistenza medica pubblica per il solo fatto della scadenza della tessera; lo stesso avviene per i cittadini UE, con un periodo di “grazia” di sei mesi dopo la scadenza. La tessera, in altre parole, è solo l’indicatore dell’esistenza di un diritto ma non è Il diritto stesso; se la tessera scade il diritto non scade. Questo vale sia per i cittadini italiani sia per quei cittadini che hanno cittadinanza dell’Unione europea residenti in Italia e che lavorano in Italia. Il concetto non è difficile da comprendere, anche se può essere scivoloso: chi risiede in Italia ed è cittadino dell’unione europea è come tutti gli altri cittadini italiani.
Allora non capisco come mai il datore di lavoro di Anna che ha cercato di risolvere la questione accompagnandola per uffici e CUP vari, si si è sentito un paio di volte dire l’assurda frase: «eh ma la signora ha il permesso di soggiorno scaduto», dimenticandosi, chi ha pronunciato questa frase, che cittadini dell’Unione non hanno bisogno di permesso di soggiorno. Oppure è stato osservato che Anna era «scoperta di assistenza sanitaria» perché la tessera era scaduta e a nulla valeva la presentazione del contratto di lavoro o della busta paga o di quant’altro potesse essere prodotto in quelle sedi. Al telefono il datore di lavoro ha sperimentato la sensazione kafkiana di essere rimbalzato da un ufficio all’altro, con l’ufficio A che diceva di contattare l’ufficio B, e l’ufficio B che diceva che andava contattato l’ufficio A; anche un altro ufficio C ha fatto capolino a un certo punto, senza alcuna utilità. Una cosa penosa, pensando alla retorica della “cittadinanza europea” che ogni volta viene presentata come una realtà di fatto. Lo è, a norma dei trattati; non lo è secondo le burocrazie del sistema sanitario.
Il secondo aspetto del problema è stato il conteggio del costo delle prestazioni sanitarie. Una flebo di antidolorifico non è “nutrizione parenterale”, cosa assai diversa e più complessa. Resta il dubbio se si sia trattato di uno sbaglio oppure di una “furbizia” per fare cassa a spese di uno straniero con una barriera linguistica minima, ma presente.
Alla fine la situazione è stata risolta grazie all’intervento di una persona interna all’amministrazione, un’aderente al sindacato, che ha interrotto la spirale perversa dei rimpalli da un ufficio all’altro, ed è stato riconosciuto l’errore. Pienamente riconosciuto.
La “cittadinanza europea” ha quindi mantenuto le “premesse”, fino alla prossima volta in cui una norma nazionale verrà interpretata in maniera fantasiosa e difforme rispetto sia ai trattati sia al buon senso. Tutto questo, al di là dell’irritazione, insegna che “l’Europa” va insegnata a tutti i livelli, soprattutto a livello delle amministrazioni a contatto con i cittadini; altrimenti l’espressione “cittadinanza europea” resta una bella frase priva di contenuto.
Alla ASL di Arezzo (Toscana sud-est), spetta adesso il dovere di fare un audit interno per ripercorrere la vicenda e istruire i suoi dipendenti rispetto a queste eventualità. Sarebbe il minimo.
Piero S.Graglia
11/08/2021 https://transform-italia.it
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