Riflessioni sul percorso di privatizzazione strisciante della Sanità.

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La sostenibilità futura del Servizio sanitario nazionale potrebbe non essere garantita”. Queste parole, pronunciate dall’allora presidente del Consiglio Mario Montiil 27 novembre 2012, scatenarono un putiferio ma sancirono anche l’ingresso “ufficiale “ del termine sostenibilità nel lessico dei dibattiti sanitari. Nella Conferenza Stato Regioni del 5 agosto 2014 è stato approvato, su proposta del Ministro della salute Beatrice Lorenzin, il Regolamento recante “definizione  degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza  ospedaliera”. Il regolamento è’ disciplinato dal decreto legge spending review del 2012 (ministro Balduzzi nominato da Monti) e fissa, tra l’altro, il numero minimo di posti letto delle strutture ospedaliere del SSN. Questi i punti principali del Regolamento: adotta un criterio vincolante di programmazione ospedaliera indicando alle regioni il parametro della dotazione dei posti letto accreditati ed effettivamente a carico del Servizio sanitario regionale, a un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie, da applicarsi  tenendo conto anche della mobilità sanitaria interregionale, attiva e passiva;  fissa criteri uniformi per la classificazione delle strutture ospedaliere in tre livelli a complessità crescente ( presidi ospedalieri di base, con bacino di utenza compreso tra 80.000 e 150.000 abitanti;  presidi ospedalieri di I livello, con bacino di utenza compreso tra 150.000 e 300.000 abitanti;  presidi ospedalieri di II livello, con bacino di utenza compreso tra 600.000 e 1.200.000 abitanti).

Di fatto questi criteri si trasformano in chiusura di molti reparti, tanto da sembrare un vero e proprio smantellamento  del servizio sanitario pubblico. Se a questo aggiungiamo che la quota che viene drenata dal servizio sanitario privato ammonta in alcune regioni come il Molise al 30%, ci accorgiamo di un processo latente di privatizzazione del servizio sanitario pubblico. Ma il Senato “smonta” la tesi dei tagli indispensabili: “Il sistema è tanto sostenibile quanto noi vogliamo che lo sia”. Queste le prime conclusioni, ora pubblicate, della commissione Igiene e Sanità partita a giugno del 2013 ed ora in corso al Senato. In un documento redatto da Dirindin (PD) e D’Ambrosio Lettieri (FI) vengono delineate le prime conclusioni dei lavori. Un documento “politico” che mette in discussione molti luoghi comuni e rilancia il ruolo del Parlamento come cuore delle scelte sociali ed economiche del Paese.

E allora, come uscirne? La risposta dei due estensori della bozza fa proprie le parole della Commissione Romanow che, oltre dieci anni fa, fornì al governo canadese suggerimenti per migliorare la sanità pubblica e per affrontare i problemi che stavano minando il futuro del servizio.  “Non vi è alcun standard su quanto un paese dovrebbe spendere per la salute. La scelta riflette la storia, i valori e le priorità di ciascuno. Il sistema è tanto sostenibile quanto noi vogliamo che lo sia”. In questa affermazione, come evidente, i due senatori, consapevolmente o meno, alla fine smontano l’oggetto stesso della sostenibilità come valore astratto, riconducendolo in un ambito squisitamente politico: “non si tratta di un problema economico (quante risorse sono necessarie) – scrivono in conclusione delle loro riflessioni – la sostenibilità del diritto alla salute è prima di tutto un problema culturale e politico: fino a che punto siamo disposti a salvaguardare i principi fondanti del nostro sistema sanitario nell’interesse della collettività, garantendo a tutti coloro che ne hanno bisogno un’elevata qualità di accesso alle cure, e nonostante la crisi economica? Quali cure il nostro sistema può riuscire a garantire nel modo migliore ai cittadini? Una questione di equità e quindi di giudizi di valore, prima ancora che di sostenibilità economica”. “In sostanza – concludono – la sostenibilità della spesa può e deve essere affrontata come una sfida di pubblica priorità nella riallocazione delle risorse per soddisfare al meglio i bisogni della popolazione”.

E per farlo pongono sul tavolo nove note conclusive di questa prima fase dell’indagine, che in ogni caso continuerà con nuove audizioni, per giungere a breve a una conclusione ufficiale. Ma c’è di più. La mancata ripresa dell’economia e le difficoltà della finanza pubblica potrebbero indurre i decisori a ulteriori riduzioni della spesa pubblica sanitaria, con il rischio di proseguire nella china che il  sistema ha già intrapreso. Certo non è possibile difendere acriticamente il sistema perché molto può  essere ancora migliorato. Tuttavia non possiamo permettere che un mix di sottovalutazione del welfare e di luoghi comuni infondati possa impedire, alle attuali generazioni di adulti, di consegnare ai propri figli e ai propri nipoti un sistema di tutela della salute simile a quello che loro hanno ereditato e di cui hanno beneficiato. Non possiamo permettere che i nostri ospedali vadano in rovina, che gli operatori si arrendano al declino e che le persone più svantaggiate non possano accedere alle cure di cui hanno bisogno.

La sanità continua ad essere considerata un settore sul quale effettuare risparmi mentre dovrebbe essere considerata una formidabile leva per lo sviluppo, non solo per promuovere il benessere e l’uguaglianza fra le persone, ma anche per favorire l’occupazione, la ricerca e l’innovazione. In tale ottica, la Commissione assume le seguenti conclusioni.

1) Il finanziamento del SSN: le restrizioni imposte alla sanità pubblica, in particolare nelle regioni sotto Piano di Rientro, hanno contribuito, dal 2010 ad oggi, a contenere in modo significativo la spesa sanitaria, ma stanno producendo effetti preoccupanti sul funzionamento dei servizi e sull’assistenza erogata ai cittadini. La Commissione ritiene che, nei prossimi anni, il sistema non sarà in grado di sopportare ulteriori restrizioni finanziarie, pena un ulteriore peggioramento della risposta ai bisogni di salute dei cittadini e un deterioramento delle condizioni di lavoro degli operatori. Eventuali margini di miglioramento, sempre possibili, possono essere perseguiti solo attraverso un’attenta selezione degli interventi di riqualificazione dell’assistenza, soprattutto in termini di appropriatezza clinica e organizzativa, evitando azioni finalizzate al mero contenimento della spesa, nella consapevolezza che i risparmi conseguibili devono essere destinati allo sviluppo di quei servizi ad oggi ancora fortemente carenti, in particolare nell’assistenza territoriale anche in relazione all’aumento delle patologie cronico-degenerative.

2) La sostenibilità della spesa privata: la sostenibilità della spesa sanitaria pubblica non può essere approfondita senza affrontare in modo esplicito il suo aspetto speculare, la sostenibilità della spesa privata per la salute, di dimensioni rilevanti, in particolare in alcune settori di assistenza e per molte famiglie già pesantemente colpite dalla crisi economica.

3) Un piano straordinario di investimenti: la carenza di risorse per gli investimenti costituisce un elemento di grande debolezza per il SSN: il degrado di molte strutture sanitarie, il mancato rispetto delle norme di sicurezza e l’obsolescenza di alcune dotazioni tecnologiche mettono a rischio la qualità dei servizi oltre che la credibilità delle istituzioni. Un Piano straordinario di investimenti in edilizia e tecnologie sanitarie, accuratamente disegnato in modo da evitare i passati insuccessi di alcune regioni, potrebbe costituire un volano per l’occupazione e la crescita, oltre che una occasione per ammodernare il patrimonio del SSN, soprattutto nelle regioni più fragili.

4) La ridefinizione e il monitoraggio dei LEA: il complesso sistema di governance del SSN, che non ha eguali in tutta la Pubblica Amministrazione e che ha anticipato le azioni di revisione della spesa oggi avviate in molti altri settori, ha consentito di ridurre i disavanzi e contrastare i maggiori fattori di inefficienza, ma non ha prodotto altrettanti risultati sul fronte della completezza dell’offerta, dell’accessibilità delle cure e dell’equità del sistema. La Commissione ritiene che non sia più rinviabile una revisione dei LEA, in funzione dei reali bisogni di salute dei pazienti (dati i mutamenti socio-demografici ed epidemiologici di questi ultimi decenni) e secondo i principi della medicina basata sulle evidenze scientifiche, nonché una robusta revisione degli strumenti di verifica del rispetto dei livelli essenziali di assistenza, in tutte le regioni e in particolare in quelle in Piano di Rientro, innovando nei metodi e nei contenuti, anche in relazione alle nuove evidenze oggi disponibili.

5) Una governance per l’uniformità: nella tutela della salute, le disuguaglianze fra regioni e all’interno di una stessa regione sono inaccettabili, soprattutto in un periodo di grave crisi economica; esse sono almeno in parte evitabili attraverso l’adozione di specifici programmi di intervento a livello locale, regionale e nazionale. L’obiettivo di una diffusa sanità di buon livello, in cui le eccellenze non si contrappongo alle manchevolezze ma spiccano su una generale buona qualità a disposizione di tutta la popolazione, deve essere considerata una delle priorità per i prossimi anni. A questo riguardo particolare attenzione va riservata agli effetti della povertà sulla salute e sui bisogni di assistenza.

6) Le risorse umane: i molteplici vincoli imposti alla spesa e alla dotazione del personale stanno indebolendo il servizio sanitario in tutte le regioni, demotivando e destrutturando la principale risorsa su cui può contare un sistema di servizi alla persona. Un altro aspetto rilevante riguarda il rischio di carenza di professionalità mediche, con conseguenti gravi rischi anche per l’offerta sanitaria: le piramidi per età dei medici del SSN mettono in evidenza che l’età media è salita, dal 2001 al 2007, da 47 a 50 anni.

7) Migliorare la regolamentazione della responsabilità del medico e ridurre i costi della medicina difensiva. La medicina difensiva, cioè la tendenza dei medici a prescrivere esami visite e farmaci più del necessario per scongiurare eventuali procedimenti giudiziari e richieste di risarcimento da parte dei pazienti, costituisce un tema sempre più alla ribalta negli ultimi anni anche per l’aumento dei costi della stessa, che si stima abbiano superato i 10 miliardi di Euro.

8) Legalità e trasparenza: nonostante la crescente attenzione, il sistema sanitario deve ancora dotarsi sul piano culturale ed etico, oltre che tecnico-amministrativo, di un insieme organico di strumenti volti a promuovere l’integrità del settore, per sua natura particolarmente esposto al rischio di contaminazioni da fenomeni di abuso di potere, frodi, corruzione. Formazione culturale e informazione devono divenire prassi diffuse a tutti i livelli, compreso quello politico-decisionale. Non si tratta solo di combattere la corruzione: si tratta di lavorare per l’integrità in tutte le sue norme, dal mancato rispetto dei diritti dei cittadini (la prima forma di illegalità) alla sicurezza dei luoghi di cura, dai conflitti di interesse ai contratti di fornitura, dal caos amministrativo al rispetto dei contratti di lavoro. La valutazione delle performance delle aziende sanitarie non può prescindere dal monitoraggio di elementi propri della trasparenza e della legalità.

 Antonio De Lellis

Articolo tratto dal Granello di Sabbia “Fermate il mondo: voglio scendere!” di marzo/aprile 2015, www.italia.attac.org

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