ANCORA E SEMPRE, COLPEVOLIZZARE!

Avendone già abbondantemente accennato in articoli precedenti, c’è innanzitutto da registrare l’avvenuta conversione in legge, con valenza a partire dallo scorso 23 agosto, del DL 80: con ciò diventa operativo il sistema di assunzioni, tutte a tempo determinato, di alcune migliaia di “tecnici”, destinati alla gestione dei progetti del PNRR. Le assunzioni passeranno attraverso un apposito portale, cui si attingerà attraverso una valutazione dei titoli e delle esperienze e l’esecuzione di una sola prova scritta. Il DL prevede anche maggiori aperture sulla mobilità volontaria, che rischiano però di essere vanificate dall’esclusione da esse dell’intero settore della Sanità e con una serie di limitazioni per gli Enti Locali, legate alle dimensioni dell’Ente cedente e alla % di “infungibilità” della figura professionale interessata. Il DL prevede infine la facoltà di superare, in sede di confronto, i tetti imposti alla contrattazione integrativa, ma con il limite che ciò possa avvenire solo “compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica”.

Già in altre occasioni si è detto di come le modalità di assunzione previste limitino le possibilità di accesso per i giovani laureati, privilegiando chi ha già avuto modo di accumulare “esperienze”. Ma ciò che più colpisce è l’ambito ristretto in cui si concepiscono le assunzioni nella P.A., rinviando ulteriormente l’esigenza di aumentare significativamente, e stabilmente, l’organico dei vari settori della P.A.. Elemento fondamentale, quest’ultimo, sia in termini generali, stante la pesante riduzione, in questi anni, del numero dei e delle dipendenti della P.A., sia per affrontare le nuove esigenze imposte dalla pandemia e per evitarne il ripetersi.

Parallelamente, ecco riemergere il solito atteggiamento, colpevolizzante e punitivo, nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici. Ne è un esempio la “svista” per cui il periodo di quarantena COVID non è più coperto dall’INPS: il costo ricadrà sulle imprese, si dice, ma è chiaro che esso invece andrà a ricadere, se la norma non viene corretta, direttamente sulle spalle del lavoratore e della lavoratrice.

Capofila di tale atteggiamento è, ancora una volta, l’ineffabile sig. Bonomi, presidente di Confindustria, il quale si è speso con veemenza sul tema dell’obbligo del green pass nei luoghi di lavoro, stendendo così una pesante mano di vernice sull’atteggiamento tenuto dalle imprese allorchè hanno sostenuto, a inizio pandemia, le aperture a tutti i costi, con conseguenze drammatiche, esemplificate da ciò che è avvenuto, in particolare, nell’area del bergamasco. D’altra parte, che Bonomi (e con lui il padronato che egli rappresenta) non si faccia molti scrupoli quando si parla di licenziare lavoratori e lavoratrici lo si era già visto in occasione della discussione sulla fine del blocco dei licenziamenti; ed il “rigore” che ora Bonomi reclama da lavoratori e sindacati non vale comunque per le imprese, specie se si parla delle pur flebili misure messe in cantiere sul tema delle delocalizzazioni.

In tutta la fase in cui non c’erano i vaccini, in interi settori (dalla manifattura alla logistica, dalla grande distribuzione alla Sanità) il lavoro non si è mai interrotto, sia pure attraverso l’applicazione, ci si augura universale, di protocolli di sicurezza concordati anche con le organizzazioni sindacali. Ciononostante, finita da un pezzo l’esaltazione (a costo zero) di lavoratori e lavoratrici come “eroi” si torna ora all’antica pulsione punitiva, a cui non sfugge, naturalmente, neppure il lavoro pubblico.

Si ritrova questo atteggiamento, ad esempio, riguardo al tema dello smart working, strumento assai utilizzato nella P.A. (laddove tecnicamente possibile) nella fase più acuta della pandemia. Il solito ministro Brunetta si presenta ora come fautore del rientro generalizzato dallo smart working delle e dei dipendenti pubblici. In questi mesi, nell’assoluta ignoranza su come questo strumento veniva utilizzato, si è instillata nell’opinione pubblica l’idea che lo smart working servisse per evitare non tanto l’attività in presenza, quanto piuttosto l’attività lavorativa tout court. E’ ovvio che non è così.

I lavoratori e le lavoratrici in smart working hanno continuato ad essere sottoposti ai vincoli lavorativi, a volte anche più stringenti della normale attività, con l’aggravante che ciò è avvenuto, in tutta questa fase, in assenza di contrattazione sindacale, e comunque in base ad una decisione dirigenziale, senza alcuna possibilità di intervento da parte del lavoratore o della lavoratrice. Bisognerebbe innanzitutto ripristinare questi due elementi (volontarietà e contrattazione collettiva), piuttosto che continuare a porre il/la dipendente della Pubblica Amministrazione in una condizione di soggezione a scelte e condizioni sempre imposte “dall’alto”. E aggiungo che occorre prestare particolare attenzione al tema della prestazione lavorativa in regime di smart working, nel momento in cui circolano “pareri” in proposito che arrivano pericolosamente a preconizzare che il lavoro non venga più strutturato in base ad orari lavorativi, ma sia basato unicamente sul puro raggiungimento di obiettivi non si sa in quale modo determinati.

Insomma, ben sapendo che non è questa la sede per aprire una discussione approfondita sul tema dell’uso del green pass, che richiederebbe una trattazione ben più ampia e dettagliata di queste poche righe, credo che si debba ancora una volta constatare come il mondo del lavoro pubblico venga costantemente dipinto come se fosse composto da una massa indistinta di scriteriati e irresponsabili. E tutto ciò mentre parliamo invece di una realtà in cui il livello di vaccinazione oscilla tra l’80 e il 90% degli operatori e delle operatrici.

Il tema è complesso, dovendo il lavoratore pubblico, per la sua stessa funzione, entrare spesso in diretto rapporto con l’utenza: non vi è dubbio però che, proprio per convincere a vaccinarsi chi non lo ha ancora fatto, servirebbe un approccio non colpevolizzante. Inoltre, l’estensione della vaccinazione è certamente utile, se non indispensabile, ma ciò non esaurisce, di per sé, tutte le problematiche in campo.

L’essere riusciti (col contributo determinante di risorse pubbliche) ad accelerare la produzione dei vaccini, è stato un bene. La possibilità della vaccinazione, infatti, è importante, se non altro perchè riduce la gravità della casistica, pur non rappresentando una garanzia assoluta, rispetto al periodo di efficacia del vaccino e al suo grado di copertura. Il rifiuto scellerato di sottrarre la produzione dei vaccini anti-COVID al vincolo dei brevetti, ha inoltre creato una situazione per cui, mentre qui da noi si pensa ad una terza dose, ancora buona parte del mondo (guarda caso quella più “povera”) resta esclusa dalla vaccinazione stessa e, di fronte ad una pandemia globale, solo un intervento globale può avere un effetto realmente efficace.

Un altro aspetto da considerare è che l’applicazione delle misure anti COVID nei posti di lavoro non può avvenire “a macchia di leopardo”, a seconda di condizioni da definirsi in maniera differenziata, ma deve avvenire in base ad una precisa assunzione di responsabilità da parte dell’autorità pubblica, valida sull’intero territorio nazionale.

Infine, la disponibilità dei vaccini non annulla la necessità di una serie di interventi a livello più generale. Ad esempio,

va affrontata la questione del trasporto pubblico locale, cioè del sovraffollamento dei mezzi pubblici, così come va risolta l’annosa questione, nella scuola, del numero di alunni per classe e dell’edilizia scolastica. Allargando ancora il campo, è necessario rivedere completamente il nostro rapporto con la natura e con le altre specie animali, per intervenire sulle cause stesse della pandemia, esigenza che rimanda alla necessità di rivedere da cima a fondo l’attuale modello sociale ed economico. Queste necessità permangono, e la presenza dei vaccini non può e non deve in alcun modo essere utilizzata come una scorciatoia per ritornare al punto di partenza, cioè alla situazione che ha determinato la nascita del virus.

E’ forse scontato aggiungere che è comunque preferibile orientarsi su una società più salubre e più attenta all’interesse collettivo, piuttosto che verso una società costretta a vivere basandosi sulla continua rincorsa a vaccinazioni ravvicinate contro sempre nuove varianti del Virus?

Fausto Cristofari

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

Pubblicato sul numero di settembre 2021 http://PDF http://www.lavoroesalute.org/

In versione interattiva http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-settembre-2021/

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