L’atlante delle disuguaglianze sulle malattie croniche
«A cosa serve curare le persone e poi rimandarle indietro nelle condizioni che le hanno fatte ammalare?» La domanda di Michael Marmot, epidemiologo inglese che da moltissimi anni si occupa di equità nel campo della salute, ha aperto mercoledì 15 settembre la presentazione del primo Atlante delle disuguaglianze sociali nell’uso dei farmaci per la cura delle principali malattie croniche curato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).
In effetti, che le condizioni socioeconomiche producano disuguaglianze nello stato di salute è un dato osservato ormai da anni in quasi tutti i paesi europei. I cittadini in condizioni svantaggiate tendono ad ammalarsi di più, a guarire di meno, a perdere autosufficienza e a morire prima. Non si tratta solo di una questione di reddito, ma anche di nazionalità, di genere, di istruzione, di occupazione. Insomma, a contribuire alla iniquità sono una serie di fattori intrecciati tra loro.
L’Italia non è esente da questo problema. Tanto per fare un esempio, riportiamo un dato piuttosto impressionante sul rischio di morire che cresce con l’abbassarsi del titolo di studio tratto da un libro del 2014 (Costa G, Bassi M, Gensini GF, Marra M, Nicelli AL, Zengarini N, L’equità nella salute in Italia. Secondo rapporto sulle disuguaglianze sociali in sanità, Franco Angeli, Milano; pp. 188-223): chi ha un diploma ha un rischio di morire maggiore del 16% rispetto a un laureato, chi ha la licenza media del 46%, chi ha quella elementare del 78%.
Il servizio sanitario nazionale vorrebbe garantire equità di accesso ai servizi sanitari, per questo la domanda di Marmot ha ancora più senso, soprattutto perché molti dei fattori socioeconomici che influiscono negativamente sulla salute dei cittadini potrebbero essere affrontati con alcune riforme del sistema educativo, della struttura del mercato del lavoro, del welfare.
In questo contesto si inserisce l’Atlante che – come ha sottolineato il direttore dell’AIFA, Magrini – nasce, all’interno dell’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (OsMed), «al fine di provare a fornire una chiave di lettura socioeconomica delle forti differenze territoriali relativamente all’uso dei farmaci in Italia».
In sostanza, l’indagine vuole confrontare l’uso dei farmaci prescritti per le principali patologie croniche in Italia tra gruppi di popolazione che si trovano in diverse posizioni socioeconomiche. Per avere un’indicazione sull’uso dei farmaci, si sono utilizzati i dati sulle prescrizioni farmaceutiche erogate a carico del SSN. L’altra fonte utilizzata sono i dati sulla popolazione italiana forniti dall’ISTAT per l’anno 2018. Infine, per misurare la condizione socioeconomica, si è attribuito a ciascun comune di residenza dei pazienti un indice di deprivazione. Questo indice tiene conto di diversi elementi, in particolare: la percentuale di popolazione che non ha raggiunto l’obbligo scolastico; la popolazione attiva disoccupata o in cerca di prima occupazione; la percentuale di abitazioni occupate in affitto; la percentuale di famiglie monogenitoriali con figli dipendenti conviventi; la densità abitativa, ovvero il numero di occupanti per 100 metri quadrati nelle abitazioni.
Cosa è emerso intrecciando questi dati? In linea generale è emerso che il consumo dei farmaci è più elevato tra i soggetti residenti nelle aree più svantaggiate. Probabilmente, ipotizzano gli autori dello studio, a causa del peggior stato di salute di questi soggetti che, a sua volta, potrebbe essere associato a uno stile di vita non corretto. D’altra parte lo studio non dà evidenza del fatto che la condizione di svantaggio socioeconomico sia associata a una difficoltà di accesso ai farmaci.
L’Atlante, in particolare, fornisce delle vere e proprie schede relative ad alcune patologie croniche negli adulti, in particolare: ipertensione, dislipidemie, ipotiroidismo, ipertiroidismo, depressione, demenza, morbo di Parkinson, osteoporosi, ipertrofia prostatica benigna, iperuricemia e gotta, diabete, broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). Nella popolazione pediatrica invece sono state prese in esame tre patologie: asma, epilessia e disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività (ADHD).
Dall’indagine emergono anche altre informazioni interessanti. Se si guarda al genere, per esempio, si vede che mediamente, in tutte le province italiane, per gli uomini si registrano livelli di consumo di farmaco più alti per la maggior parte delle categorie terapeutiche analizzate, ad eccezione dei farmaci antidepressivi, degli antiosteoporotici e dei farmaci per il trattamento delle patologie tiroidee (iper- e ipotiroidismo), per le quali il consumo è nettamente maggiore tra le donne rispetto agli uomini.
Come abbiamo detto, a livello geografico il consumo di farmaci è più alto al Sud e nelle Isole per la maggior parte delle categorie terapeutiche. Per i farmaci antidepressivi, invece, si osserva un trend inverso, con consumi maggiori nelle aree del Nord, mentre per i farmaci antidemenza, il tasso di consumo è più alto nelle province del Centro Italia.
L’Atlante prende in considerazione anche l’aderenza alla terapia e la persistenza. L’aderenza, definita come il grado con cui il paziente segue le raccomandazioni del medico riguardanti le dosi, i tempi e la frequenza dell’assunzione del farmaco per l’intera durata della terapia, viene stimata sulla base delle prescrizioni. La persistenza, definita in questa indagine come il tempo che intercorre fra l’inizio e l’interruzione di un trattamento farmacologico prescritto, è una misura del mantenimento del regime terapeutico nel tempo. I livelli medi di aderenza e persistenza in generale sono bassi e decrescono andando dal Nord al Sud del paese, ma non emerge una correlazione con la condizione socioeconomica delle aree in cui vivono i pazienti.
Un limite della ricerca è che non si sono potuti tracciare i farmaci utilizzati nelle strutture pubbliche come gli ospedali e neppure quelli acquistati dal cittadino di tasca propria. Come segnalano gli stessi ricercatori, la mancata rilevazione del «ricorso all’acquisto privato dei farmaci, notoriamente maggiore per i soggetti più benestanti rispetto a quelli più svantaggiati, potrebbe portare ad una sovrastima del differenziale di consumo contribuendo a spiegare in alcuni casi l’ampia variabilità osservata».
Ciononostante, lo studio apre nuove prospettive. «L’Atlante risponde a un indirizzo istituzionale a livello nazionale ed europeo che da tempo raccomanda di concentrare l’attenzione su questi temi» ha sottolineato Francesco Trotta, Dirigente del Settore HTA ed economia del farmaco. «È il punto di partenza di un progetto ambizioso, condiviso con alcuni dei principali gruppi di ricerca italiani. Questa rete è adesso a disposizione per ulteriori analisi che possono informare le politiche nazionali o locali riguardo alla riduzione o alla mitigazione delle disuguaglianze».
Cristiana Pulcinelli
17/9/2021 https://www.scienzainrete.it
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