SANITA’ PUBBLICA. La fonte della privatizazione

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Lo sfascio della sanità negli ultimi 30 anni in Italia ha un mandante preciso: il PD e le varie sigle che lo hanno preceduto. Il movente, ossia la causa unica e diretta di queste azioni era ed è tutt’ora la privatizzazione del Sistema Sanitario Nazionale. Certo ha agito in concorso con tutte le altre forze di destra e neoliberiste, ma senza questo soggetto come attore principale, mai si sarebbe giunti ai risultati disastrosi che abbiamo di fronte e che si sono palesati con lo scoppio della pandemia. I timidi accenni di tale sfascio che si erano affacciati, sono già spariti dall’orizzonte del dibattito politico grazie alla martellante azione del pensiero unico liberista della stampa di regime a sostegno delle azioni di privatizzazione dei vari governi di centrodestra e centrosinistra.

Tutti i ministri, del cosiddetto bipolarismo, hanno smontato il sistema pubblico e spostato enormi risorse verso la sanità privata. Il titolo V, anch’esso voluto dal PD per inseguire la logica nefasta del federalismo bossiano, ne è stato l’acceleratore naturale. Oggi sentir parlare ex ministri, ma anche l’attuale, che pensano di poter indicare ricette di sviluppo del SSN, mi procura orticaria e senso di nausea nonché orrore al pensiero che questi ipocriti privatizzatori possano ancora incidere sulle sorti del sistema sanitario. Solo a titolo riassuntivo, seppur parziale, ricordo che il colpo mortale all’universalità del sistema sanitario nazionale e al diritto alla salute fu la legge 502 del 30 dicembre 1992 quando si trasformò le unità sanitarie locali in aziende sanitarie locali, introducendo l’aberrante logica del profitto aziendale sulla cura delle malattie.  

Successivamente con la legge costituzionale n 3 del 18 ottobre 2001 fu riformato il Titolo V della Costituzione, in regime legislativo concorrente tra Stato e Regioni, furono affidati a quest’ultime tutte le competenze sulla programmazione e la gestione sanitaria locale regionale dando di fatto l’avvio a modelli di sviluppo differenti, in sostanza 21 sistemi sanitari e spesso anche concorrenti tra loro. Il 23 febbraio 2002 entrarono in vigore i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e si diede avvio ai così detti “patti per la salute” il cui unico scopo era controllare e ridurre la spesa sanitaria indirizzando maggiori risorse pubbliche verso la sanità privata, riducendo drasticamente e drammaticamente i servizi sanitari erogati, avviando tagli ad ospedali e ambulatori territoriali. Questo in estrema sintesi è il processo di smantellamento della rete universale sanitaria, che però subisce una impetuosa accelerata in questi ultimi 10 anni. 

Il processo di privatizzazione è il punto centrale della politica sanitaria di questi anni, inciso a fuoco con i 37 mld di tagli al finanziamento del sistema sanitario nazionale, mediante la riduzione dei servizi, con Lea troppo spesso fasulli, garantiti a parole ma inesigibili nei fatti, sprechi assurdi per lo più facenti parte di appalti scriteriati, inefficienze volute e cercate, per “dirottare i pazienti” verso il sistema privato riducendoli a  “clienti”, politiche del personale volte al taglio dei costi, con mancanza persistente di figure mediche e delle professioni sanitarie e persino classista nella formazione, introducendo corsi universitari e specialistici a numero chiuso. Un disastro annunciato ma perseguito scientemente, per innescare la crescita esponenziale dei profitti sulla salute, un vero e proprio crimine sociale e sull’umanità. Un atteggiamento criminale e non solo perché si è trasformata la salute in merce, ma anche perché l’innovazione tecnologica e farmacologica è figlia di una ricerca sempre più finalizzata alla redditività dei prodotti con costi così elevati da impedirne l’accesso ad un pezzo significativo della popolazione. Viene imposta una scienza che serve alla cura e al mantenimento della malattia, che produrrà maggiori profitti speculando sulla malattia. Viene mortificata e inibita la ricerca della prevenzione alle insorgenze patologiche e alle cause che le generano. 

Non dimentichiamo che l’intera filiera sanitaria genera un prodotto interno lordo dell’11% e che solo il 6,4% è la spesa sanitaria pubblica, per altro utilizzata in parte come bancomat per le imprese della sanità privata,  collocandoci ad una distanza assiderale dalla Germania e  dalla Francia che sono oltre 11% . La spesa per la salute in Italia 2017 ammontava complessivamente  a € 204.034 milioni: € 154.920 di cui € 113.131 milioni di spesa sanitaria pubblica e € 41.789 milioni di spesa sanitaria privata. Di questa € 35.989 milioni a carico delle famiglie e € 5.800 milioni intermediati da fondi sanitari/polizze collettive (€ 3.912 milioni), polizze individuali (€ 711 milioni) e da altri enti (€ 1.177 milioni). A cui aggiungere la spesa socio sanitaria di € 41.888,5 milioni di cui € 32.779,5 milioni di spesa pubblica, relative alle provvidenze in denaro erogate dall’INPS, e € 9.109 milioni stimati di spesa delle famiglie. E infine la spesa fiscale collegata di € 7.225,5 milioni per deduzioni e detrazioni di imposta dal reddito delle persone fisiche per spese sanitarie (€ 3.864,3 milioni) e € 3.361,2 milioni per contributi versati a fondi sanitari integrativi. Una quantità enorme di quattrini da sottrarre alla salute come diritto universale per spostarla verso la speculazione e i profitti delle strutture private. Questa, e solo questa è stata la politica dei ministri del centrodestra-sinistra, per cui sentirli parlare oggi del futuro della sanità fa accapponare la pelle.

Sempre di matrice PD sono un’altra invenzione neoliberista con un ruolo importante nello smantellamento del sistema sanitario e del diritto alla salute : i cosiddetti Livelli essenziali di assistenza.  

Ho sempre sostenuto quanto fosse assurdo dare un senso reale alle parole “livello essenziale di assistenza” , trovo  diabolico ricercare nell’ambito di un diritto universale quale la salute, un livello essenziale di assistenza, infatti non ho mai capito chi stabilisce questa essenzialità, visto che i soggetti fruitori sono diversi geneticamente e quello che può bastare a me per soddisfare tale livello potrebbe essere totalmente insufficiente per un altro, stante il fatto incontrovertibile che un diritto o è tale e quindi totalmente esigibile o non lo è per niente . Indiscutibilmente i Lea sono stati introdotti non per efficientare i servizi legandoli ad una migliore qualità della vita, ma dentro una logica economicista di tagli delle prestazioni erogate e coperte dalla universalità del diritto alla salute.

Tutte queste contraddizioni sono esplose con la pandemia. Basta ricordare che a febbraio 2020 i posti letto in terapia intensiva erano 5179 pari ad un tasso del 8,42 ogni 100.000 abitanti, la metà di quelli in Francia e addirittura un quarto di quelli in Germania. I posti letto ospedalieri sono passati da 340000 a 175000 a cui aggiungere che l’Italia ha 5,5 infermieri ogni 1000 abitanti mentre la Germania ne ha 13, la Francia, Olanda e Svezia 10. Peggio di noi in Europa ci sono solo la Polonia, la Lituania e la Grecia.  

In Italia un’infermiere guadagna mediamente 30.631 euro lordi l’anno, contro i 34.204 della Francia, i 35.489 della Spagna, gli oltre 41.000 della Germania e i 50000 dell’Irlanda, il Lussemburgo stipendia i suoi infermieri con 83.274 euro l’anno. I Paesi Bassi 53.297 euro l’anno. Gli ultimi dati dell’Ocse evidenziano una forte disomogeneità tra gli stipendi di infermieri e medici in Europa e fanno dell’Italia il fanalino di coda dell’area europea.

Oltre alla assurda modalità di gestione sanitaria della pandemia da parte dei governi Conte e Draghi, sostenuti da M5S e PD il primo e da una sottospecie di unità nazionale il secondo, in cui sono state messe in atto politiche volte alla speculazione sulla malattia e non certo di reale tutela della salute dei cittadini, nessuna delle questioni su citate è stata affrontata, anzi a sentire i loro esperti, la via della privatizzazione sarà ancora più limpida e in discesa. Posti letto e terapie intensive sono usciti dal dibattito della futura sanità, così come la politica del personale continua ad essere processata verso la precarizzazione e non il potenziamento reale delle piante organiche e della formazione professionale, nessun piano pandemico è stato approntato per il futuro, il PNRR per la sanità è improntato ad incentivare la crescita delle strutture private a cui affidare sempre di più quote di “mercato” sanitario.

Questa è la realtà attuale che le forze politiche di governo perseguono, altro che una sanità che tuteli il diritto alla salute universale e gratuito. Il tema della rivoluzione sanitaria, per la ricostruzione del servizio sanitario interamente pubblico è uno dei nodi centrali per progettare il futuro di alternativa al liberismo criminale di questi decenni, il lavoro è lungo e difficile anche perché dovrà scontrarsi con l’ideologia liberista profusa ad arte e purtroppo fatta propria da amplissimi settori della popolazione.

Nella notte tra il 29 e 30 settembre nella Nota Adeguamento Documento Economico Finanziario (NADEF) , a conferma della volontà distruttrice e privatrizzatrice del SSN, è stata introdotta l’autonomia differenziata regionale e proprio a partire dai sistemi sanitari regionali che in prospettiva saranno autofinanziati dalle regioni stesse in base al pil regionale prodotto. Tradotto, la morte del sistema sanitario universale.

Marco Nesci

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

Pubblicato sul numero di ottobre del mensile

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