Il Datagate ha la faccia simpatica e il cuore militante dell’informatore Edward Snowden
Non è vero che il sistema di supercontrollo della National Security Agency, sede a Bluffdale, Utah, sulle nostre conversazioni quotidiane via telefono o internet, tuteli l’anonimato e la privacy, come sostenne Obama, giustificando la messa in accusa per alto tradimento dell’informatore Edward Snowden sulla base di leggi redatte nel primo dopoguerra per colpire le spie di una potenza straniera, ma soprattutto i comunisti, strutturalmente tutti spie di Mosca. Attraverso questo sistema spionistico post-orwelliano la macchina del fango può colpire retroattivamente chiunque… rubare qualunque idea creativa o industriale, far vincere le elezioni a qualunque presidente e le primarie anche a un pd improbabile e distruggere qualunque nemico… Questo si era capito due anni fa.
Ora, proprio in queste ore l’Nsa, l’agenzia statunitense che ha architettato dopo il 2001 quell’ illegale piano di sorveglianza globale in nome della lotta al terrorismo, è messa sotto accusa dall’opinione pubblica tedesca anche perché si è scoperto che in combutta con i servizi segreti di Berlino e con grandi aziende conniventi controllava e maneggiava telefonate e email non tanto dei terroristi islamisti quanto delle concorrenti industriali europee, gettandole in balia dei conglomerati più potenti manovrati da Wall Street. Spionaggio. Gestito fifty-fifty con i politici della globalizzazione dall’alto. Angela Merkel sapeva tutto. E sa in cosa consiste la tanto da lei sbandierata libertà di mercato: ai pesci grandi è consentito divorare con ogni mezzo necessario i pesci medio-piccoli e le crisi economico-finanziarie servono, da sempre, solo a questo. Oltre che a erodere il potere dei sindacati e a impedire che abbiano una posizione di monopolio nell’organizzazione dei lavoratori e dei disoccupati del mondo. Forse la prova che la Grecia (e chissà forse anche l’Italia e la Spagna, l’Irlanda e il Portogallo) è stata la vittima sacrificale di una guerra elettronica che ne ha prosciugato e divorato la ricchezza, è proprio in quelle intercettazioni… In Italia non è che se ne parli troppo. Il brusio deve essere tutto attorno a Yanis Varoufakis, il ‘dilettante’. Paranoia?
Sì. Entriamo in un bel film che è anche una magnifica macchina paranoica. Proprio di quelle che secondo gli anti psichiatri inglesi degli anni 60, Laing e Cooper, permettevano ai ragazzi di difendersi dalle sopercherie degli adulti…. Ma ne usciamo anche, e presto, “perché, i semplici cittadini, insieme, possono cambiare il mondo. Non possono più sopportare che il rapporto tra cittadini e governo non sia più tra eletto e elettore ma tra dominante e dominato. Non è Gramsci che parla. Ma il whistle-blower del Datagate. Che non può tornare in America a subire un giusto processo, come vorrebbe Obama. Proprio perché ha svelato che non esiste più un giusto processo in America.
Questi sospetti, queste nuove indagini e imbarazzanti rivelazioni che colpiscono anche la presidenza di Barack Obama – già attaccato in queste settimane dagli sceriffi razzisti anonimi, in vena di vendetta – rilanciano però l’interesse per il film del momento, in giro nelle sale italiane, Citizenfour, diretto da Laura Poitras, che ha vinto quest’anno l’oscar del miglior documentario dell’anno, e che è stato prodotto anche da Steven Soderbergh. Un film da non perdere assolutamente perché spiega esattamente cos’è la Nsa. E cioè “la più perfezionata arma d’oppressione mai concepita da mente umana”. Non solo per il contesto. Laura Poitras, che produce documentari dal 1998 e si è occupata via via di Tibet, omosessuali perseguitati, prigionieri di Guantanamo, Afghanistan e Osama Bin Laden, aveva già iniziato a indagare sull’agenzia per la sicurezza nazionale intervistando, per un cortometraggio, che certo ha attirato l’attenzione di Snoden, un ex funzionario dissidente in pensione, il matematico William Binney, il protagonista, stile Turing, di The programm (2012). Dopo 30 anni nei servizi segreti Binney gira per il mondo mettendoci in guardia dal sistema Nsa e dai suoi droni immateriali.
E lo fa anche all’inizio di Citizenfour, che nel titolo wellessiano – è la parola d’ordine dei messaggi cifrati di Snowden – anticipa già un intento formale rivoluzionario. L’interesse è alto, infatti, anche per il ‘testo’. Si tratta infatti di un documentario di tipo inedito. O meglio. Si ispira alla pratica-teorica un cineasta dimenticato di origine piemontese, Emile de Antonio, che documentando le lotte del sessantotto, diede la parola in Underground a un gruppo di militanti armati, ad alcuni Weathermen, e non solo uomini, in clandestinità, e dibatté con loro per oltre un’ora su tattica e strategia del movimento antagonista americano e sulla necessità di una rivoluzione mondiale. Fu uno shock. Mai visto un thriller così ricco di materia grigia. Di dialoghi dalla qualità così affascinante. E poi. Da un momento all’altro, infatti, con la porta sfondata e l’antiterrorismo col mitra in mano, potrebbe scatenarsi l’inferno. Lo snuff movie in diretta…. Mettere i generi nel fuori campo, far sentire l’emozione del possibile plausibile, è il grande colpo di genio di questi film di complicità totale con il proprio soggetto, “interni al movimento”. Quel film del 1976 venne imposto, senza censura, nelle sale pubbliche Usa da una opinione pubblica e grazie a un manifesto di sostegno pubblicato da decine di registi hollywoodiani che seppero tagliare definitivamente il cordone ombelicale che li legava inconsciamente al maccartismo e all’anticomunismo drastico.
Ma lo shock della ricezione era anche nella sostanza dell’espressione. In una forma documentaristica che sa preparare la sua trasformazione in dramma e viceversa. Un’idea in testa e una cinepresa in mano, diceva Glauber Rocha. Il cinema documentaristico non deve solo scodellare domande, creare atmosfera e suggestioni profonde, come fa Frederic Wiseman, ma deve saper anticipare risposte alle drammatiche domande che il mondo, o almeno il 99% del mondo, si pone in certi frangenti storici. E’ il suo dovere morale, replicava Rossellini. Il cinema deve arrivare a “occupare Wall Street” prima degli occupanti reali e della polizia che li manganella e dei magistrati che indagano sui reati. Qui succede. In Habemus papam pure. 1992 no. Ma la fiction tv altro che dalla Nsa è controllata….
La regista Laura Poitras
Così l’uomo, eroe o traditore?, l’informatico di alto livello, che ha svelato al mondo il micidiale complotto spionistico di questa sorta di Spectre inventata e gestita durante la presidenza di George Bush jr., cioé l’ex agente dei servizi segreti Edward Snowden – non l’avevamo capito – non è solo un giovanotto coraggioso che, a 29 anni, ha socializzato materiale top secret, come le telefonate private di Merkel e Berlusconi, in nome di “ alti valori morali”, in spregio della sua bandiera e ha messo a repentaglio la sua vita in nome della libertà di tutti. E’ stato anche il documentarista di se stesso. La novità fuorilegge di Citizenfour rispetto non alla polizia (che altri dovrebbe arrestare e far condannare) ma alla tradizione di controinformazione nord americana per immagini, è infatti quella di aver saputo ben manovrare i media, di aver allertato preventivamente, nel gennaio 2013, attraverso email criptate, la telecamera e i microfoni di Laura Poitras e di averla convocata all’appuntamento con la storia. L’ha accolta infatti proprio nel segretissimo luogo (una stanza di albergo) dove un fatto politico straordinario stava per accadere. Hong Kong, Mira Hotel, giugno 2013. In quella stanza di Kowloon n. 1014, due autorevoli giornalisti investigativi, Glenn Greenwald, del Guardian di Londra, e Ewen MacAskil del Washington Post, faranno la celebre intervista che sconvolgerà il mondo e sarà filmata da Poitras, complice, insomma, di quel contro-complotto libera tutti. Il cinema di documentazione approfondita (non si può più dire “diretto” o “verità”) anticipa l’avvenimento e ne segue l’evoluzione con una complicità e un’iniziativa soggettiva (che identifica il protagonista della storia all’occhio che la racconta) che trasforma chi è ripreso in protagonista di un giallo spionistico non simulato. E tutti i protagonisti in personaggi di una fiction tratta da un romanzo di John le Carré. Con tanto di location alla James Bond (Londra, Berlino, Bruxelles, Rio dee Janeiro…), di gola profonda, di Washington Post, di presidente imbarazzato (ma non aveva promesso di mandare alla sbarra Rush jr. e forse anche Blair?), di avvocati governativi ammutoliti, di musica combattiva (Nine Inch Nails e Selena Gomez), di astuti avvocati cinesi dei diritti umani, di intervento divino da parte di Julian Assange dall’Equador, di fuga a Mosca, con la fidanzata di Snowden, di un giornalista scrupoloso e onesto come Greenwald (oltretutto omosessuale e gliela faranno pagare anche per questo) che restituisce alla categoria un bel po’ di dignità perduta. A un certo punto ci si chiede se svelare o meno l’identità di Snowden. Tanto prima o poi si scoprirà. Ma va detto subito, “non sono importante io, ma i valori democratici da riaffermare!” E così involontariamente, l’ex spia cita quasi Che Guevara: “non importa morire, so che potrei essere ucciso, l’importante è che sei o sette persone proseguano la mia lotta, finché l’America tornerà quel paese democratico che i padri fondatori hanno sognato”.
Non si tratta più dunque di ricostruire un fatto che i media hanno deformato. Fu la missione della generazione di documentaristi precedente, quella degli anni 80-90, utilizzando o la forma comica, alla Michael Moore, o più spesso quella tragedica e impopolare di Barbara Trent (PanamaDeception, costretta a raccontare la verità dopo le bugie di Reagan e Bush sr. sui Sandinisti, sulla globalizzazione e deterritorializzazione delle industrie, sulla miseria dell’impresa di Grenada, sulla gang Iran-Contras, sui massacri della Cia in Salvador. Qui si spara alla storia ufficiale, “shooting the history” del dopo 11 settembre. E alla magistratura che sta seppellendo con anni di carcere, i complici scoperti di Snowden. Certo forse si saprà tra 40 anni che le cose andarono ancora diversamente (gola profonda del Watergate – si dice oggi – è stata creata da E.J. Hoover perché Nixon voleva decurtare i finanziamenti all’Fbi…). Ma anche fino al giorno in cui Snowden parlò, sapevamo che le cose stavano andando molto diversamente. E poi ci sarà sempre il film di Oliver Stone, in uscita nel dicembre 2015, a proseguire, con altre risposte, nell’analisi dell’affascinante figura di Edward Snowden. Nel film, nascosto in una casa moscovita, Snowden, raggiunto dalla sua ragazza dopo una separazione di anni, viene inquadrati fuori dalla finestra, in attività domestica, attraverso un’inquietante campo medio. E il punto di vista è quello di un occhio metallico. Di un drone.
di Roberto Silvestri
2/5/2015 fonte: ilciottasilvestri
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