Giuristi Democratici: «Direttiva Lamorgese ha natura autoritaria»
«Dinanzi alle numerose manifestazioni di cittadine e cittadini critici verso alcuni provvedimenti tesi a contrastare la diffusione del contagio da sars-cov-2 la Ministra dell’Interno ha emanato una direttiva tesa a limitare le manifestazioni pubbliche invitando i Prefetti ed i Sindaci». Si apre così il comunicato stampa di Giuristi Democratici che commenta la circolare emanata l’11 novembre.
«Per assicurare la più efficace tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, determinate manifestazioni potranno tenersi esclusivamente nel rispetto di specifiche modalità di carattere restrittivo, per le quali, ad esempio, potrà essere disposto lo svolgimento in forma statica», si legge nel testo del Viminale. Non solo: «Specifiche aree urbane sensibili, di particolare interesse per l’ordinato svolgimento della vita della comunità, […] potranno essere oggetto di temporanea interdizione allo svolgimento di manifestazioni pubbliche per la durata dello stato di emergenza»,
La direttiva è stata prontamente accolta da molte amministrazioni locali, anche in nome della tutela del commercio all’interno dei centri cittadini, ma non poche sono state le voci di protesta contro un provvedimento che preannuncia divieti e limitazioni per chiunque intenda esprimere il proprio pensiero o dissenso.
Di cosa implichi la direttiva nello specifico e di quali conseguenze possa avere nel prossimo futuro abbiamo parlato con Cesare Antetomaso, avvocato e membro dell’Esecutivo nazionale di Giuristi Democratici.
Cosa dice effettivamente la direttiva?
Ti dico l’impressione iniziale: a una prima lettura, la direttiva sembra contenere una serie di raccomandazioni di buon senso, quasi da bravo genitore. Mantieni il distanziamento, metti mascherina e la maglia di lana. Però la chiusura va decisamente oltre e prefigura una stretta sulla libertà e sulla possibilità di indire e tenere riunioni e manifestare il proprio pensiero all’aperto. Facendo una lettura più approfondita ci si accorge dunque che c’è un continuo richiamo a tutta una tradizione normativa, in parte già censurata costituzionalmente e in parte no. Tutte normative che noi abbiamo avversato nel tempo: il pacchetto Maroni, i decreti Minniti-Orlando e ovviamente quelli firmati da Salvini.
Una serie di raccomandazioni legate al buon senso e alle norme di distanziamento per non affollare i centri cittadini diventa così il pretesto per allontanare dai centri storici e rendere le manifestazioni una sfilata inutile in luoghi meno abitati. Ci troviamo di fronte a una stretta, a una torsione autoritaria che non possiamo sopportare.
È un invito ai questori e un suggerimento ai prefetti, di fronte al preavviso e alla richiesta di chiamare manifestazioni, a negare determinate piazze. Per motivi di emergenza sanitaria, ci si poteva limitare a incentivare un controllo più attento del rispetto delle norme precauzionali, una cosa plausibile stante il riacutizzarsi dell’emergenza pandemica, invece si arriva a vietare determinate zone della città e per motivi che esulano dalla semplice protesta legata alla politica del Governo in tema di contrasto alla pandemia.
Motivata in parte dall’aumento dei contagi nel territorio triestino in seguito alle proteste no green-pass e definita anche dai giornali una «stretta sui cortei no-pass», la direttiva può in realtà andare a colpire qualsiasi libera espressione pubblica di pensiero, giusto?
Ci sono due dati fondamentali. Il primo, che adduce anche la Ministra nelle dichiarazioni che ha fatto per illustrare questo provvedimento, è il disagio causato nei centri storici, il motivo principe per cui fondamentalmente si svolgono dei cortei nei centri cittadini. Vietare questo è profondamente anti-democratico.
Poi si parla del rischio epidemico. Però questo rischio, ex ante, non è preventivabile: lo è solo se messo già in evidenza nelle modalità indicate nel preavviso della manifestazione. Se dico che saremo tutti senza mascherina e non rispetteremo il distanziamento è un conto. Ma se dico, ex ante, che metterò in atto tutti i dispositivi atti a prevenire il diffondersi del contagio, allora è evidente che questa proibizione è assolutamente immotivata.
(foto di Alessandro Stoppoloni)
La Ministra, nel presentare la direttiva, ha sostenuto che «il diritto di manifestare è costituzionalmente garantito ma esiste anche un bilanciamento dei diritti: si può manifestare ma servono regole che proteggano gli altri cittadini, il diritto al lavoro e il diritto alla salute». È giuridicamente corretto questo?
L’iniziativa economica privata è libera e prevista dall’articolo 41 della Costituzione, dunque non bisogna sottovalutare la situazione di chi ha un’attività economica e neanche dei possibili dipendenti, però nell’ottica di bilanciamento l’articolo 41 è chiarissimamente posto, dalle madri e dai padri costituenti, in posizione subordinata al diritto alla libera manifestazione di pensiero e al diritto di riunione, posto tra le libertà fondamentali. Non si può dunque pensare che la prima debba prevalere.
Questa è una lettura del tutto sbagliata che contestiamo con grande forza: sarebbe un brutto precedente quello per cui viene dato un primato all’economia rispetto alla libera manifestazione del pensiero. L’esercizio di una libertà fondamentale non può mai essere oggetto di contrattazione deteriore rispetto altri diritti o interessi.
È un operare che ancora una volta, fingendo di comparare i vari interessi e i vari diritti previsti dalla Costituzione, i vari bisogni e le varie necessità, le legittime aspirazioni dei cittadini, in realtà suggerisce subdolamente un’operazione chiara che è quella di restringere.
Questo nonostante, in Italia, le limitazioni per chi vuole manifestare siano già abbastanza…
Sì, il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza è obsoleto e pre-costituzionale, anzi in aperto contrasto alla normativa costituzionale, poiché viene dall’epoca fascista. Inasprire ulteriormente la normativa tramite la restrizione degli spazi è immotivato e controproducente. Non produrrà gli effetti che promette e accentuerà contrasti che già ci sono e che andrebbero risolti politicamente.
C’è il rischio che soggetti dalla non specchiata e cristallina cultura dei diritti, che purtroppo non mancano nelle nostre istituzioni, possano recepire questo come un invito a sfogarsi, a dare mano libera alle proprie tentazioni di limitare gli spazi di democrazia. Questo è determinato anche dallo stesso strumento scelto: una direttiva è quanto di meno democratico e trasparente possa esserci perché elude il passaggio parlamentare. Se si vuole intervenire seriamente, lo si fa con una procedura molto più garantita e trasparente che passa attraverso il confronto, perlomeno tra quella che è la maggioranza di governo.
Nicolò Arpinati
15/11/2021 https://www.dinamopress.it
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