Una petizione contro il ritorno degli OGM in Italia
Tre Organizzazioni italiane di produttori agricoli, l’Associazione Rurale Italiana (ARI), l’Associazione Italiana Agricoltura Biologica (AIAB) e l’Unione Sindacale di Base (USB), hanno presentato una Petizione al Parlamento Europeo per contrastare l’introduzione in Italia di OGM di nuova generazione. Si tratta di nuovi prodotti sementieri commercializzati internazionalmente con nomi più accattivanti, in cui è sparito ogni riferimento agli OGM.
L’obiettivo della Petizione è impedire che l’attuale legislazione italiana (l’Italia è OGM free) sia modificata e stabilire che essa sia applicata integralmente anche a questi nuovi prodotti sementieri.
La Commissione Petizioni del Parlamento Europeo ha ritenuto ricevibile la Petizione e l’ha trasmessa preliminarmente alla Commissione Europea. Ora la Commissione Petizioni dovrà decidere nel merito, e per questo ci sarà, a breve, un’audizione delle tre Organizzazioni italiane.
Sulla complessa questione dei nuovi OGM, pubblichiamo qui di seguito un articolo di Antonio Onorati, membro del Consiglio direttivo dell’ARI e membro del Coordinamento Europeo di Via Campesina.
OGM INVISIBILI ED I TENTATIVI DI IMPORRE IL LORO INGRESSO NEI NOSTRI CAMPI
Antonio Onorati – ASSOCIAZIONE RURALE ITALIANA
“Noi non fabbrichiamo cibo, noi lo produciamo”
Premessa
Le sementi, oltre a riprodurre la vita, sono anche un elemento molto rilevante dell’economia contemporanea.
Come si può vedere, il mercato globale delle sementi convenzionali in 15 anni è passato da 11,5 miliardi di dollari a 30,7 miliardi di dollari, cioè il suo valore è stato moltiplicato per 3. Nello stesso periodo il valore di quello delle sementi OGM è stato moltiplicato per 10 e vale circa la metà del mercato globale.
In effetti “gli esperti hanno descritto l’emergere delle biotecnologie come il motore chiave del processo di consolidamento che ha avuto luogo nell’industria globale delle sementi” [1].
I dati mostrano questa progressione (OECD): la concentrazione delle imprese rilevanti sul mercato delle sementi – già di per se molto concentrato – cresce quando si passa dal mercato delle sementi convenzionali a quello delle sementi OGM e da questo a quello del controllo delle informazioni genetiche dematerializzate (DSI)[2]. Contano la capacità finanziarie delle imprese, il controllo che si ottiene attraverso il portafoglio dei brevetti, in particolare quelli sui caratteri fondamentali delle piante coltivate (resistenze, adattabilità, etc), il legame con la ricerca pubblica (vedi il programma europeo “H2020”) ed il supporto di politiche pubbliche che non regolano strategie dei cartelli e degli oligopoli.
Detto diversamente, più un’industria dipende dalla vendita di sementi OGM, vecchi o nuovi, e più entra in processo di concentrazione. I piccoli sementieri, quindi, sono destinati ad essere facili prede, anche quelli che possono essere più grandi nel mercato nazionale che comunque restano sotto a 100 milioni di dollari di fatturato.[3]
A livello europeo, “La Francia, la Germania e l’Italia rappresentano oltre la metà del mercato europeo delle sementi e dei materiali di moltiplicazione vegetale, che è il terzo mercato più grande del mondo”[4]. In Italia, alcuni pensano che se si modifica la legislazione sementiera italiana qualche grossa impresa sementiera “nazionale” (SIS?) possa aumentare la sua fetta in questo importante mercato, rompendo il “GMO free” ma la capacità di competere con le grandi imprese globali resta tutta da dimostrare.
In realtà, il settore sementiero globale resta un concentrato di potere di mercato.
Secondo questi dati dell’OCSE (riferiti al 2017)[5], delle sei più importanti imprese nel mercato globale, 4 sono europee di cui 3 con base in Germania, con fatturati annuali che vanno dai circa 25 miliardi di dollari della Bayer (di cui più di 10 miliardi nel solo mercato sementi convenzionali e OGM) ai modesti 2 miliardi della KWS (tutti esclusivamente originati dalla vendita di sementi).
Il punto
La questione degli “NBT”, non è una questione scientifica – infatti come tale riguarda essenzialmente i ricercatori e gli accademici – ma un elemento fondamentale del pacchetto tecnologico che si intende applicare allo sviluppo del sistema agricolo e alimentare, con tutte le sue ricadute sociali, ambientali, ecologiche, economiche. E’, quindi, una mera questione politica: cosa una società intende mangiare, come vuole che si produca il suo cibo, quali garanzie vuole dai processi produttivi, come vuole fronteggiare i cambiamenti climatici ma anche la crisi economica e sociale che stiamo vivendo.
Politica agricola ed alimentare, diritti fondamentali come diritto al cibo, sostenibilità e cambio climatico, crisi della povertà, sistemi agrari e loro prospettive future, questo l’ambito su cui, secondo le ideologie che guidano le forze politiche, gli eletti debbono esprimersi. Non il campo del sapere scientifico (quello accademico) che – al contrario – deve restare “…La dimostrazione dei risultati della ricerca, l’analitica descrizione dell’oggetto la correggibilità del processo conoscitivo (che) sono le garanzie della scienza”, il lavoro dei ricercatori. Salvo che oggi questo lavoro è, generalmente, come qualunque altro lavoro pagato dalle imprese e quindi – per definizione – di parte.
Alle imprese sementiere interessa aumentare la quota di profitto prodotto dai loro investimenti. Remunerare proprietari ed azionisti è la loro missione. Evidentemente ci sono moltissimi tipi di imprese diverse anche per modalità di produzione ed accumulazione, così come per modalità di remunerazione del capitale. La vera differenza tra di loro la fa la capacità di influenzare le politiche pubbliche in modo da rafforzare il proprio potere di mercato, fino alla costruzione di concentrazioni tali da imporre regole alla convivenza (vedi “capitalismo della sorveglianza[6]”). Hanno capacità di scrivere o cancellare leggi che regolano la convivenza sociale, i conflitti o – per quello che ci riguarda – i sistemi agricoli ed alimentari.
I prodotti dei cosiddetti nuovi OGM o meglio i prodotti sementieri ottenuti con l’edizione del genoma (“NBT”) – secondo le imprese sementiere dominanti – non debbono essere considerati “OGM” e quindi non debbono ricadere sotto la legislazione attuale relativa e non essere etichettati come “OGM”. “L’etichettatura dei prodotti che risultano dalle cosiddette nuove tecniche di selezione delle piante fornirebbe poche informazioni nuove e non avrebbe quindi senso per i consumatori” ha detto, a EURACTIV.com, Garlich von Essen, segretario generale dell’Associazione europea delle industrie sementiere (ESA).”
Che cosa sono i sistemi sementieri
La biodiversità agricola è il risultato di millenni di interazione tra la natura e le comunità che producono il cibo di cui il genere umano ha bisogno per la sua sopravvivenza. I contadini (cioè tutti gli uomini e le donne che producono cibo coltivando con il loro lavoro la terra) sono i principali contribuenti alla biodiversità[7]. Conservano, rinnovano e selezionano varietà vegetali e razze animali all’interno dei sistemi sociali, economici e culturali in cui si sviluppa la loro produzione. I contadini non si considerano proprietari di esseri viventi. I loro diritti sono l’opposto dei diritti di proprietà individuale sulle forme viventi. I diritti dei contadini non riguardano solo le risorse genetiche delle piante, ma anche gli scambi che avvengono tra la terra, l’acqua, gli animali e le competenze dei contadini stessi nel processo di produzione agricola e del cibo.
Esistono due sistemi sementieri strutturati: quello industriale, gestito dalle imprese sementiere, e quello “contadino” (ufficialmente definito come “informale”) che gestisce in modo dinamico la biodiversità in azienda adattando attraverso la coltivazione e l’allevamento varietà e popolazioni di piante e animali. Il sistema sementiero contadino è di fatto separato dal sistema sementiero industriale basato su varietà iscritte al catalogo, sulle regole UPOV[8] e su un sistema giuridico incentrato sulla protezione dei diritti di proprietà industriale. Quello contadino si basa sulla conoscenza, l’adattamento e una costruzione giuridica radicata nei diritti collettivi dei contadini che dall’inizio dell’agricoltura hanno prodotto la diversificazione di piante ed animali attraverso l’addomesticamento e l’adattamento a concreti sistemi ecologici, sociali e culturali. Queste sementi sono il punto d’incontro tra l’entità biologica e le conoscenze contadine ad essa associate: gli agricoltori sanno come usarli e cosa possono aspettarsi da loro.
I contadini che selezionano le sementi ottengono popolazioni eterogenee. Una popolazione eterogenea è costituita da individui con caratteristiche simili ma con patrimoni genetici diversi: questa particolarità conferisce loro un potere evolutivo. I contadini non possono dare il loro contributo vitale alla conservazione e al rinnovamento della biodiversità se i loro diritti di riseminare, conservare, proteggere, scambiare e vendere le loro sementi non sono riconosciuti e rispettati. Essi devono inoltre avere libero accesso al patrimonio genetico delle piante che coltivano. Le sementi prodotte in azienda e lo scambio informale di quelle sementi è il cuore del loro contributo. Le sementi sono selezionate e conservate in situ nelle condizioni in cui la l’agricoltore coltiva il suo raccolto. Sono indispensabili per la diversità e la variabilità e per garantire che gli agricoltori possano continuare ad adattare il loro sistema di produzione alle condizioni locali. Solo loro sono in grado di aumentare la resilienza di una coltura in condizioni sempre più caotiche dovute, in parte, al cambiamento climatico ma anche ai cambiamenti sociali ed economici.
Vista l’incapacità delle sementi ibride e OGM di mantenere i rendimenti nel tempo, il sistema sementiero industriale deve necessariamente erodere continuamente lo spazio occupato dal sistema sementiero contadino, minarne l’autonomia e ricondurlo – obbligatoriamente attraverso la legislazione – sotto la dipendenza dal mercato sementiero , costringendolo a sottostare ai suoi prezzi e – ancor più importante – ai sistemi di coltivazione propri di un’agricoltura industriale a forte capitalizzazione, modello agricolo che è irraggiungibile per le aziende agricole di piccola o media dimensione, condannandole così ad una lenta agonia che trascina con se il degrado e l’abbandono dei territori con le conseguenze a tutti note.
La difesa dei diritti degli agricoltori sulle sementi, quindi, non è una mera rivendicazione populista o corporativa. L’agricoltura contadina per i caratteri propri che la contraddistinguono (intensiva in lavoro, uso accorto delle risorse naturali anche per motivi squisitamente economici: lavorare con la natura costa meno che lavorare contro la natura quando i costi non possono essere esternalizzati) è una risorsa fondamentale dell’agricoltura italiana che continua a dimostrare nel corso del tempo una straordinaria capacità di resistenza testimoniata dal peso che le piccole e medie aziende agricole hanno ancora oggi nel contesto nazionale.
In particolare gli agricoltori non svolgono attività di “sfruttamento commerciale di sementi” ma solo attività di produzione agricola per immettere sul mercato il prodotto delle coltivazioni e in nessun modo possono essere assimilate queste attività a quella di imprese sementiere.
Che dice l’UE
E’ in questo contesto che vanno letti i recenti documenti dello staff della Commissione europea su nuovi OGM” e nuovo quadro legislativo per il mercato delle sementi.
Il 29 aprile vengono resi pubblici due documenti dei servizi della Commissioni: “Brussels, 29.4.2021 – SWD(2021) 92 final – COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT – Study on the status of new genomic techniques under Union law and in light of the Court of Justice ruling in Case C-528/16[9]” ed il documento sulla riorganizzazione del commercio delle sementi nell’Unione: “ Brussels, 29.4.2021 – SWD(2021) 90 final – COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT – Study on the Union’s options to update the existing legislation on the production and marketing of plant reproductive material”
In verità – come dicono i titoli – non si tratta di documenti della Commissione, ma di documenti di lavoro dello staff della Commissione. Cioè si tratta dell’opinione di funzionari che è priva di qualunque rappresentatività. Cercheremo di darne un breve commenti leggendoli insieme.
L’8 novembre 2019, il Consiglio europeo aveva chiesto alla Commissione di “presentare, entro il 30 aprile 2021 al più tardi, uno studio alla luce della sentenza della Corte di giustizia nella causa C-528/16 sullo status delle nuove tecniche genomiche nel diritto dell’Unione“. Il 29 aprile 2021, il Consiglio ha dovuto accontentarsi di un semplice “documento di lavoro del personale della Commissione“. Il documento di fatto accoglie le richieste pressanti della lobby industriale di sacrificare la salute e l’ambiente sull’altare del “progresso genetico”, per sostituire il principio di precauzione con il principio di innovazione – che remunera i brevetti che coprono le biotecnologie – per negare il diritto all’informazione e la libertà di scegliere “senza OGM” e, infine, cedere il controllo del mercato delle sementi, e quindi l’esercizio del diritto al cibo, a una manciata di imprese transnazionali (quelle precedentemente nominate) che detengono la maggior parte dei brevetti sulle informazioni genetiche delle piante.
Ma i servizi della Commissione non sono la Commissione, il loro documento non è uno studio. Contrariamente a quanto affermato in tutte le comunicazioni, la Commissione non ha prodotto lo studio richiesto. Questo documento non è uno studio basato su fatti ne basato su un’analisi di un campione rappresentativo della diversità degli approcci scientifici, o sul diritto dell’UE e sulla sentenza della CGUE come richiesto dal Consiglio. È una semplice compilazione di pareri, gli intervistati sono stati scelti con cura, in modo preponderante tra coloro che si sono opposti in modo esplicito per anni alla regolamentazione degli OGM. Poi ci sono le “manipolazioni” della sentenza della Corte di giustizia europea. Infatti la definizione che danno di queste nuove tecniche limitandole a tecniche “che sono emerse o sono state sviluppate dal 2001” mentre la Corte ha sottolineato nella sua sentenza che la direttiva 2001/18 “non può essere interpretata escludendo dal suo campo di applicazione gli organismi ottenuti per mezzo di nuove tecniche/metodi di mutagenesi che sono apparsi o si sono principalmente sviluppati dopo l’adozione della suddetta direttiva“. Una tecnica utilizzata prima del 2001 può essere stata sviluppata principalmente dopo tale data. La cancellazione della parola “principalmente” nelle comunicazioni dei servizi della Commissione non è banale. Non è nemmeno involontaria.
Per molti anni, l’industria delle sementi ha sostenuto che gli OGM ottenuti “senza l’aggiunta di geni estranei” sono simili ai prodotti naturali o a quelli ottenuti con le tecniche di selezione varietale tradizionali. Avevano già affermato la stessa cosa per promuovere i vecchi OGM negli anni ‘90, finché non furono costretti ad ammettere che nessun prodotto naturale o selezionato tradizionalmente poteva contenere i costrutti genetici artificiali introdotti da queste tecniche. Questo argomento della presunta non distinzione è centrale nel ragionamento dell’industria ed è stato ripreso con disinvoltura dai servizi della Commissione: non ci sarebbe motivo di regolare i due prodotti in modo diverso poiché sono “identici” (principio della sostanziale equivalenza opposto al principio di precauzione). La scorciatoia è decisamente truffaldina dato che stiamo parlando di autentici prodotti naturali e di copie industriali non autentiche.
Malgrado la sentenza della CGUE, la Commissione europea ha rifiutato di organizzare lo sviluppo di protocolli per identificare e distinguere questi insiemi di modifiche genetiche ed epigenetiche innaturali nonostante le ripetute richieste delle organizzazioni della società civile e diversi Stati membri e nonostante le proposte dei ricercatori dei suoi stessi laboratori per svolgere questo compito. Questo rifiuto permette ai suoi servizi di dichiarare nel loro documento di lavoro che “alcuni prodotti ottenuti con nuove tecniche di mutagenesi non possono essere distinti da quelli risultanti da mutazioni naturali“. Che dire, occhio non vede e cuore non duole! Questa assenza accuratamente organizzata di un protocollo di identificazione e distinzione unico per tutti i paesi europei permette ai servizi della Commissione di dire che il regolamento OGM non è applicabile a questi nuovi OGM.
Infine, va ricordato che tutti gli OGM, sia “nuovi” che “vecchi”, sono brevettati. I titolari di brevetti hanno i mezzi per distinguere i loro prodotti per poter fare opposizione alle contraffazioni. L’obbligo normativo di indicare un processo per identificare e distinguere i “nuovi OGM” per chiederne la brevettazione non li mette in difficoltà dal punto di vista tecnico. Solo la comunicazione al pubblico dell’esistenza di questi processi li imbarazza.
Solo pochissime varietà di piante risultanti dalle nuove tecniche genomiche sono attualmente commercializzate. La maggior parte dei nuovi OGM che promettono di ridurre l’uso di pesticidi, di adattarsi al cambiamento climatico, di offrire soluzioni per contrastare il cambiamento climatico, di offrire benefici nutrizionali…, sono solo oggetto di ricerche e test scientifici, in fase di sperimentazione, ma non sono ancora stati sviluppati. Se l’industria decide di svilupparli, comunque non raggiungeranno il mercato prima di diversi anni. La maggior parte dei brevetti che coprono questi nuovi OGM riguardano piante rese tolleranti agli erbicidi. Contrariamente a quanto affermano i servizi della Commissione, le nuove tecniche genomiche non stanno quindi contribuendo alla riduzione dell’uso di pesticidi, all’agricoltura sostenibile e agli obiettivi dichiarati del Green Deal e della strategia F2F. L’annuncio della Commissione di una semplificazione del loro accesso al mercato unico europeo sta, però, alimentando il valore dei brevetti che li coprono sui mercati finanziari speculativi.
Per capire dove i servizi della Commissione stanno andando, si deve leggere l’altro documento di lavoro pubblicato il 29 aprile sul quadro normativo relativo alle sementi. Questo secondo documento elenca una serie di carenze degli attuali regolamenti di commercializzazione delle sementi. Questo inventario è seguito da due tipi di proposte ancora poco chiare: da un lato, adattare i regolamenti “ai nuovi processi produttivi ottenuti attraverso il progresso scientifico e tecnico“, più “flessibilità per adattarsi agli sviluppi tecnologici“, “promuovere le tecnologie digitali” per la tracciabilità, per mettere in atto “un quadro armonizzato e basato sul rischio per i controlli ufficiali”, tenendo conto di “criteri di sostenibilità” per “garantire la sicurezza dei semi e del cibo sostenendo una produzione agroalimentare sostenibile”. Dall’altro sviluppare sementi biologiche, semplificare l’accesso al mercato delle varietà locali, contadine, tradizionali, e possibilmente creare un quadro ad hoc per gli scambi di sementi tra agricoltori, al di fuori dei regolamenti di commercializzazione. Le prime proposte mostrano chiaramente la volontà della Commissione di adattare le regole sulla commercializzazione delle sementi ai nuovi OGM.
Gli unici paesi in cui gli OGM si sono sviluppati sono quelli in cui la loro etichettatura non è obbligatoria. L’industria conclude che solo una paura irrazionale dei consumatori si oppone alla loro sviluppo. Ecco perché l’industria rifiuta l’etichettatura. I servizi della Commissione hanno assecondato la sua richiesta. La rimozione dell’etichettatura degli OGM è il modo migliore per costringere coloro che non li vogliono a comprarli, coltivarli e consumarli. Significa anche distruggere i settori dell’agricoltura biologica e quella “GMO free” di un paese come l’Italia.
E, da ultimo, la questione del brevetto sull’informazione genetica. Questi brevetti non sono mai menzionati nel documento dei servizi della Commissione. La portata del brevetto su tali informazioni genetiche si estende a tutte le piante che contengono quell’informazione genetica ed esprimono la sua funzione. Questi brevetti sono all’origine della straordinaria concentrazione dell’industria delle sementi che oggi permette a 3 imprese transnazionali, due delle quali sono europee (Corteva[10], Bayer[11] e BASF[12]), con i maggiori portafogli di brevetti, di controllare il 54% del mercato mondiale delle sementi.
Brevettare le informazioni genetiche è il principale motore dello sviluppo delle tecniche di edizione del genoma. Il loro unico uso è quello di remunerare gli investimenti finanziari che lo alimentano e non per affrontare le sfide alimentari o ambientali del Green Deal.
[1] https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/note/join/2013/513994/IPOL-AGRI_NT(2013)513994_EN.pdf
[2] “Digital sequence information” (“DSI”) – http://www.fao.org/cgrfa/topics/digital-sequence-information/en/ e anche in : https://www.cbd.int/dsi-gr/
[3] SIS (Società Italiana Sementi): “Il bilancio 2018 ha chiuso con un fatturato vicino ai 45 milioni di euro” . In https://adhoccommunication.it/wp-content/uploads/2019/05/CS-SIS-SISemina2019.pdf . “…Fondata nel 1947, S.I.S, Società Italiana Sementi, oggi parte del gruppo agroindustriale B.F. Spa, rappresenta la prima azienda del settore sementiero a capitale 100% italiano. Grazie alla qualità e alla professionalità sviluppata da SIS nei suoi 70 anni di storia, l’azienda ha consolidato la propria leadership raggiungendo un fatturato di circa 45 milioni di euro e quote di mercato oltre il 20% per il grano tenero, nel grano duro supera il 30% e del 20% per il riso”.
[4] https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/note/join/2013/513994/IPOL-AGRI_NT(2013)513994_EN.pdf
[5] CONCENTRATION IN SEEDS MARKETS: POTENTIAL EFFECTS AND POLICY RESPONSES – OECD 2018
[6] Shoshana Zuboff – 2Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri” – LUISS
[7] The first Report on the State of the World’s Plant Genetic Resources for Food and Agriculture (SoW-1) (FAO, 1997) highlights the important role of informal seed systems to the conservation and maintenance of PGRFA
[8] « L’UPOV a été établie par la Convention internationale pour la protection des obtentions végétales. La Convention a été adoptée à Paris en 1961, et celle-ci a été révisée en 1972, 1978 et 1991. La mission de l’UPOV est de mettre en place et promouvoir un système efficace de protection des variétés végétales afin d’encourager l’obtention de variétés dans l’intérêt de tous ». – https://www.upov.int/portal/index.html.fr
[9] https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2018-07/cp180111it.pdf e in: https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=204387&pageIndex=0&doclang=IT&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=17290024
[11] https://www.bayer.com/en/
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