Land grabbing alla marchigiana: come espropriare i terremotati e vivere felici
CINQUE ANNI DI ZONA ROSSA
In dialetto fermano la frazione di Montefortino chiamata Rubbiano è detta «lu Fià». Verrebbe da un troncamento del verbo «fugghià», ovvero fuggire, e sta a indicare le grandi ritirate a valle degli abitanti del paesino a causa delle frane che da sempre lo minacciano durante l’inverno. Gli abitanti di lu Fià sono una cinquantina, stretti tra l’eremo di San Leonardo e le gole dell’Infernaccio. Sarebbero una cinquantina, per meglio dire, visto che l’intero abitato è zona rossa da cinque anni, da quando cioè la serie di terremoti avvenuta a cavallo tra l’agosto del 2016 e il gennaio del 2017 ha reso inabitabili tutte le case. La ricostruzione, per la cronaca, è ferma al punto zero.
Lo scorso 23 dicembre, sull’albo pretorio del Comune di Montefortino è apparsa un’ordinanza di esproprio per tutti. Per motivi definiti «di pubblica utilità» si deve procedere senza por tempo in mezzo alla realizzazione dell’opera denominata «Riqualificazione sistema integrato per lo sviluppo dell’entroterra – Riqualificazione del borgo di Rubbiano e sviluppo dell’offerta ricettiva», ovvero un resort per turisti. Chi vuole opporsi ha trenta giorni di tempo per far arrivare al Comune le proprie osservazioni.
A guardare la piantina che illustra il progetto salta all’occhio immediatamente un particolare decisivo: c’è il borgo che occupa una porzione tutto sommato limitata e poi c’è la zona che sarà oggetto della grande opera di riqualificazione e sviluppo dell’offerta ricettiva, grande almeno cinque volte l’incasato. Strutture commerciali in serie, un teatro a gradoni, un campo polivalente, uno da bocce, parcheggi. I soldi verranno un po’ dal sospirato Pnrr e un po’ dal Cis, il «Contratto Istituzionale di Sviluppo del Cratere Centro Italia», avviato lo scorso aprile dalla ministra per il Sud Mara Carfagna con una dotazione di 160 milioni di euro.
Alla presentazione, tra squilli di tromba e grandi sorrisi, c’erano anche il commissario alla Ricostruzione Giovanni Legnini, i presidenti e gli assessori delle regioni Abruzzo, Marche, Lazio e Umbria, alcuni sindaci terremotati, l’amministratore delegato di Invitalia Domenico Arcuri e il direttore dell’Agenzia per la Coesione Paolo Esposito.
A cosa serve il Cis? In teoria a «sostenere progetti e investimenti integrativi e complementari rispetto alla ricostruzione degli edifici, per assicurare la ripresa e lo sviluppo dell’economia delle aree colpite dai terremoti del 2016 e il 2017». In pratica sono state individuate cinque aree d’intervento (ambiente, cultura e turismo, trasporti e mobilità, riqualificazione urbana e infrastrutture sociali) per attivare progetti in grado di dare un futuro al cratere al di là della pura e semplice ricostruzione degli edifici andati distrutti. Sulla carta è una misura dovuta: solo ricostruendo un’economia, ovvero dando alle persone un motivo per viverci, questa porzione dell’Italia interna potrà pensare davvero di avere un qualche futuro.
SOLDI, BOTTEGAI E CLIENTI
Il problema, tanto per cambiare, risiede però nel modello di sviluppo che si vuole seguire: che idea hanno il governo e le regioni dell’Italia appenninica terremotata? La risposta non viene mai data direttamente, ma basta guardarsi intorno per capire dove si sta andando a parare. Da quando si è cominciato a ricostruire – e, tra bonus e fondi stanziati, siamo ormai al record di domande presentate, tanto che le aziende edili materialmente non riescono a evadere tutte le richieste – le prime cose a risorgere (talvolta a sorgere ex novo) sono stati i centri commerciali. Strutture teoricamente temporanee in cui piazzare bar, botteghe e ristoranti.
Dallo scempio del Deltaplano di Castelluccio alle decine di aree di servizio in legno lungo le strade, l’economia del cratere riparte dal commercio al minuto. Poi si è cominciato a parlare di strutture ricettive e di svago: l’albergo ai Pantani di Accumoli, le piste ciclopedonali, gli impianti da sci, i percorsi in mezzo alla natura per camminatori della domenica.
I progetti presentati dall’assessore regionale alla Ricostruzione Guido Castelli per prendere una parte del «Fondo complementare Pnrr Sismi 2009-2016» aiutano ancora di più a capire di cosa si sta parlando: impianti di risalita a Bolognola, Sarnano, Ussita, Castelsantangelo sul Nera, il «Crac – Cicloraccordo dell’Appennino centrale» a Visso, un centro termale a Tolentino, un parco intergenerazionale solidale a Colle San Marco (sopra Ascoli), non meglio precisate valorizzazioni varie, hub multimediali, recuperi a «destinazione servizi turistici culturali intercomunali».
La Basilica di San Francesco ad Amatrice – Immagine da Wikimedia Commons
Totale: una tranche da 53 milioni di euro e un’altra da 50 milioni. Niente male. L’idea di sviluppo reale che traspare dallo studio di questi progetti è quella di trasformare l’Appennino in un grande parco giochi per turisti, investire nell’economia più predatoria e parassitaria che ci sia per far girare un po’ di moneta, senza tuttavia gettare le basi per un progetto duraturo. Finiranno i soldi, si stopperanno gli investimenti, l’usura delle cose è l’unità di misura di una vita che si è interrotta quando la terra ha cominciato a tremare. L’unica cosa certa è che, per realizzare tutto questo, sarà necessario acquisire terreni: il caso Rubianello è destinato a non restare isolato, in una più unica che rara forma di land grabbing pubblico a scopo turistico-ricettivo, dove a colonizzare le terre selvagge sono gli uomini e le donne dello stesso paese che aveva promesso ai terremotati che non li avrebbe mai abbandonati. Al massimo saranno allontanati, che fa pure rima.
Per fare gli imprenditori turistici, d’altra parte, non è detto che si debba vivere nei luoghi in cui si ha l’attività. È l’ennesima riedizione della storiella che «il petrolio d’Italia è il turismo». Non fa niente se per realizzarlo saremo costretti a cacciare la gente di casa. Anzi, a non farcela tornare, visto che la casa l’hanno già persa.
VACANZE DI NATALE
Un abitante di Rubbiano racconta così la sua Vigilia di Natale: «Mentre ci accingevamo a festeggiare in famiglia, siamo stati informati da un vicino dell’ordinanza del sindaco sulla costruzione di un grande resort turistico espropriando abitazione, terreni, cantine, garage, legnaie, pollai, stalle, orti, frutteti, giardini… Si figuri che un signore del posto aveva appena completato l’acquisto di una casa pochi giorni prima di sapere questa notizia. Rubbiano è stata colpita dal sisma del 2016 e mentre aspettavamo di tornare nella nostra casa lesionata in zona rossa, il sindaco stava preparando questo progetto. Il fatto di ricevere questa notizia sotto la Vigilia di Natale è stato l’ennesimo terremoto che ha spazzato via tutto creando turbamento e angoscia in un momento dove bisognava solo festeggiare e stare sereni in famiglia. In questi cinque anni il sindaco non è stato mai disponibile per togliere una zona rossa immotivata che bloccava la ricostruzione, non ha mai voluto parlare con me e con la mia famiglia né con il mio tecnico».
Montefortino – Immagine da Wikimedia Commons
Domenico Ciaffaroni è sindaco di Montefortino dal 1995, la prima volta che venne eletto aveva 36 anni. Per quanto abbastanza curioso possa sembrare, nei paesi più piccoli non è infrequente incontrare sindaci che stanno lì da decenni, riconfermati mandato dopo mandato, ormai quasi completamente fusi con la comunità che rappresentano, un po’ per mancanza di alternative e un po’ per stanchezza generale. Semplicemente, ci si abitua al fatto che «quel tal signore» fa il sindaco.
Il terremoto, con le sue dosi ben amalgamate di tragedia e di assurdo, ha portato allo scoperto come molto spesso questi piccoli amministratori non abbiano una vera e propria idea di come amministrare.
Inseguono le lucciole, ovvero si fanno ingolosire dalle cifre astronomiche che leggono nelle delibere regionali, nei decreti del governo e nelle leggi di bilancio. Il progetto di Rubbiano vale sette milioni di euro, che a occhio e croce è più dell’intero bilancio comunale di Montefortino. Le conseguenze non sono poi così importanti quando una cifra del genere brilla in maniera tanto evidente su documenti sfornati da uffici grandi come l’intero borgo. Fuori da questo ricchissimo gioco al massacro restano i terremotati: chi è rimasto nelle casette provvisorie, chi si è trasferito altrove e vorrebbe tornare, chi invece a tornare non ci pensa proprio. Tutti figli della stessa emergenza: il terremoto senza nome che vende possibilità e produce abbandono.
Mario Di Vito
29/12/2021 https://www.dinamopress.it
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