Giulio Alfredo Maccacaro: l’umanità di uno scienziato
Chi scrive proviene da una formazione scientifica in gran parte acquisita sul campo, ovviamente, e coltivata, da giovane medico,in un mondo povero, quello africano, ove le problematiche e le istanze di giustizia erano, e ahimè sono ancora, quelle del mondo di Maccacaro giovane. Un mondo appena uscito dalla Grande Guerra e che si preparava alla Seconda, ove lo sfruttamento della gente accresceva la ricchezza di pochi. Un mondo ove la povertà, l’ambiente malsano, le carenze nutrizionali erano alla base delle numerose e diffuse malattie, ma anche alla base dell’alcolismo dei diseredati. E con queste immagini negli occhi e nel cuore Maccacaro segue il proprio corso di studi, riesce a frequentare la Scuola di Medicina di Pavia meritando di risiedere al Collegio Ghisleri, tra i più antichi e prestigiosi d’Italia. Seguono poi l’esperienza partigiana e la prosecuzione degli studi all’estero. Si consolida così la sua formazione di microbiologo e di statistico sanitario, esperto di biometria. Maccacaro sarà un ricercatore vero e, illuminato dalla statistica sanitaria, un profondo analista degli eventi in medicina. E studia la gente, nei suoi molteplici legami con la salute, studia come uno scienziato, ma non perde di vista mai che le persone cercano il lavoro, ragione della sopravvivenza dell’individuo e della sua famiglia e cercano di mantenersi sani.
Alla lettura di questo libro l’Umanità di uno Scienziato – Antologia di Giulio Alfredo Maccacaro sono rimasto sconvolto. Sconvolto perché Maccacaro ripercorre con lucidità e semplicità il suo pensiero, a volte lo anticipa con intuizioni nella prosa, poi lo spiega scientificamente, a volte lo corregge, lo rivaluta, è capace di criticarlo sempre con metodo scientifico come solo uno scienziato può e sa fare. Sconvolto perché le sue asserzioni, i temi trattati sono ancora attuali e molti di essi irrisolti, nonostante il cosiddetto progresso, medico e sociale. Il suo pensiero ha fondato basi scientifiche, come vedremo, ma viene trasmesso attraverso un’analisi non sociologica, ma politica ed economica. Ed io personalmente, e come me molti, ritrovo gli ideali che motivano l’essere medico.
Maccacaro è un uomo e uno scienziato che ha percorso il secolo scorso, l’ha vissuto, studiato e criticato ed ha elaborato e messo a disposizione della scienza e della società le vere definizioni dei problemi concernenti, la salute dell’uomo, per tentare di risolverli, per cambiare in meglio la vita dell’uomo e per combattere quello che in una parola possiamo definire il sopruso. Il sopruso del potere, il soprusodel ricco sul povero,il sopruso del privilegiato sul dannato della vita, sul lavoratore.
Ci si potrebbe fermare a questo punto ma qui le parole sembrano un epitaffio anche se la sostanza della vita di questo scienziato è l’estrema umanità, la sa dedizione quasi romantica, eroica a una scienza a favore dell’uomo. Me è importante approfondire questo pensiero percorrendo la tracia delle parole, che egli stesso ha impiegato per descrivere la sua vita di uomo e scienziato. Spesso usa parole e concetti apparentemente semplici, ma molto complicati se non provengono da un’analisi precisa, come solo quella di uno statistico sanitario sa essere. E comincio proprio da quest’aspetto del suo pensiero scientifico che deriva dalla sua attività di ricerca.
Egli è non solo un ricercatore chiuso nel suo laboratorio, è un divulgatore di scienza non di sole conclusioni di una qualche ricerca, ma degli archetipi della scienza, togliendole quel travestimento esoterico di cui essa si è sempre ammantata, per lasciarla nuda con tutte le sue zone d’ombra. Ha studiato a Pavia, come detto, ha lavorato nella prestigiosa Cambridge, conosce i segreti dei batteri e conosce i sistemi per misurare quello che accade all’uomo, con tutte le inferenze da parte dell’ambiente e del mondo esterno. Descrive l’interferenza spesso gravosa delle condizioni ambientali che giocano duro sul binomio patogeno/uomo, sa smentire anche la concezione deterministica delle cosiddette patologie degenerative.
La malattia non esiste in quanto tale, ma colpisce dove trova un facile terreno su cui procedere. Ala metà degli anni ’70, quando le sue idee sono comprovate scientificamente afferma che bisogna divulgare la scienza bisogna divulgarla in maniera semplice, non semplicistica. Sottolinea l’importanza che assume il linguaggio in questo caso. La divulgazione semplicistica è quella che consente di immettere nel circuito mediatico informazioni incomplete, travisabili, capaci di saziare per un momento la sete d’informazione ma senza lasciare traccia.
Anticipa le problematiche della divulgazione scientifica semplicistica che invade il mondo dell’informazione ai nostri giorni, quando un articolo superficiale spesso travisa il significato dl risultato, o lo usa a fini di mercato. Sottolinea come molti scienziati siano in grado di divulgare un risultato ma non siano in grado di spiegare come e perché quel risultato venga ottenuto. Vuole incoraggiare in campo sanitario la consapevolezza e il disinganno.
Vuole costruire una strada che consenta alla collettività di capire, di ricercare equità nella diffusione della conoscenza e nell’accesso alle opportunità che essa offre, per portare, per esempio, a condividere la scelta delle priorità per la difesa della salute. Diverrà direttore della rivista Sapere che è la più importante e forse unica collana di divulgazione scientifica, ma questa rivista, proprio in quegli anni cesserà di essere stampata. Probabilmente i tempi non erano maturi per coinvolgere la collettività con un periodico divulgativo scientifico di così elevato peso, siamo alla metà degli anni ’70, e la lotta politica è al suo acme.
Dovrà necessariamente fondare una propria collana e mette in cantiere l’anima di Medicina Democratica. Cosa assume il suo pensiero? Due riflessioni fondamentali:
a) La scienza attuale è asservita al potere. La scienzanasce nel XVI secolo, in contrasto con il potere, contrasta il peso del dogma, quello della superstizione e il potere ne bruciano i maggiori esponenticome Giordano Bruno o tenta di enuclearli come Galileo. Ma poco dopo nel XVIII secolo la scienza illuministica sostiene lo sviluppo del potere industriale capitalistico e ne copia i caratteri. In questo passaggio Maccacaro ci offre una semplice definizione del capitalismo: la separazione fra la proprietà e il lavoro. La scienza diventa creatrice di potere economico e lo scienziato prima è artefice del potere, poi chiede di parteciparvi direttamente: è uomo che nasce e cresce in un mondo perennemente in guerra, in nazioni in espansione imperialistica. Maccacaro vuole un mondo scientifico e un mondo della gente ripensato, che esista per il bene della gente.
b) Ed ecco la seconda riflessione: la gente che la mattina si alza per andare a lavorare, a servizio del capitalismo, deve poter lavorare in serenità, e in salute e deve poter conservare la propria salute. La sua formazione scientifica gli consente di mettere a nudo la piaga dello sfruttamento: l’ambiente modificato e lo svluppo economico capitalistico danneggiano la salute a molti. E interviene la sua formazione statistica a congiungere il romanticismo delle idee e la determinazione scientifica di come e dove lo sfruttamento danneggia l’essere umano. Lo scienziato dimostra come lo sfruttamentodell’uomo ne distrugge l’identità, la libertà e soprattutto la salute. Le prove sono nel danno prodotto da aziende come Eternit, IPCA, e poi, postumo come Seveso, Bophal, fino alle nuove tragedie de lavoro. Porta i dati sul lavoro come condizione di rischio, non solo associato a danni da sostanze chimiche o a traumatismi, ma dimostrando come anche nelle cardiopatie, nelle patologie degenerative, in quelle psichiatriche. Ci appare così chiara la congiunzione criminale fra lo sfruttamento dei bambini siciliani nelle miniere di zolfo nei primi anni del novecento e nello sfruttamento di minori come manodopera da sacrificare nelle miniere d’oro, nelle fabbriche di tessuti dei nostri giorni.
Se nessuno scienziato protesta per questi gravi fatti alloraa cosa serve la cultura e a cosa serve il sapere. Il dibattito sulla cultura proprio degli anni 60 e 70 lo vede partecipe, scrive un articolo sul dibattito che infervora il movimento diquegli anni, sul Corriere della Sera “la scienza come creazione. Dibattito sui fini e sui mezzi della divulgazione. In quegli anni, molti lo ricordano, uno dei temi principali verteva sul significato di nozione e di cultura. Maccacaro sottolinea coma la nozione per lo scienziato è un vero e proprio oggetto di culto, ma anche qui è capace di fare intendere che la divulgazione di un risultato cioè di una “nozione” non può essere disgiunta dal come e dal perché si sia ottenuto quel risultato. Lo scienziato è l’unico testimone dei passaggiche lo hanno portato a ottenere quel risultato e deve essere capace di spiegarlo. Lo scienziato deve essere impregnato di quella purezza intellettuale che lo convinca a mettersi in gioco. La capacità di modifica della naturadeve metterlo nelle condizioni di stabilire quelle priorità favorevoli al genere umano. La scienza deve contribuire a miglioramento della condizione umana. Lo scienziato non può esimersi da questo e non può esimersi dallo spiegare come raggiunge un risultato e perché. Il malinteso è che lo scienziato si è impoverito di cultura, la cultura non deve fratturarsi, impoverirsi, ma deve arrivare alla consapevolezza di se come responsabilità della coscienza.
Ancora oggi gli scienziati chiusi nei loro laboratori di ricerca si limitano a compiacersi dei propri metodi che suscitano “incondizionata ammirazione “ ma che sono tesi al brevetto della propria scoperta. Gli scienziati fanno “moltissimo sul piano del progresso scientifico e tecnologico, ma pochissimo sul piano del benessere umano”. Per sostenere questo pensiero descrive la storia di un giovane ricercatore (Shapiro) che all’apice del successo in genetica dei batteri rifiuta di proseguire la sua opera non perché in contrasto con la scienza, bensì contri i Nixon, gli Humphrey, i Jonhson, i Goldwater che allora rappresentavano il potere. E non molto è cambiato da allora. E Maccacaro vuole una “società nella quale il ricercatore non sia più uno strumento privilegiato del potere ma creatore egli stesso di una totale partecipazione del potere”. Questo pensiero merita più di una riflessione. E’qui che viene sottolineata l’importanza della scienza medica che rende conto dei risultati e che sia in grado di stabilire ledare visibilità a fallimenti e storture. E si tratta di un tema attuale.
All’inizio degli anni ’70 viene commentato un libro di Archibald Cochrane “l’inflazione medica. Efficienza ed efficacia della medicina”. Cochrane è colui che segna l’avvento della medicina basata sulle prove della evidenza scientifica e di cui solo da pochi anni si tende a parlare, contro una medicina che, per mero interesse economico, inventa malattie e immette sul mercato farmaci “le prime inesistenti e i secondi sostanzialmente inutili”. Ed è qui che si fa insostituibile il sistema sanitario pubblico, a cominciare dalla ricerca per finire con l’industria e la distribuzione. Un tema ancora attuale, visto il costo sempre maggiore delle cure. Vi sono aspetti realistici e sostanziali come l’inquinamento ambientale che non vengono trattati né presi in considerazione come causa di malattia che interessano la collettività, mentre viene dato risalto all’alcol e alle sigarette che riguardano il singolo. Così com’è scarso l’interesse della scienza medica nel far risaltare le differenze economiche e sociali come chiave di lettura della prevalenza e incidenza delle patologie. Oggi l’aspetto del mondo è ancor più disparitario che 40 anni fa e che nel passato. La peste, un tempo uccideva tutti, oggi i pover vengono colpiti da malattie la cui priorità è inesistente nelle società ricche. Anche l’abuso delle sostanze è descritto con questa chiave. Sono soprattutto le realtà più povere del mondo a subire il peso dei danni da abuso, ma anche della TBC, per esempio, la cui ricomparsa è legata all’emersione dei nuovi poveri. Egli stesso credeva che la scienza possedesse un carisma rivoluzionario, ma presto si dovette ricredere.
Negli anni ’70 il nodo da sciogliere è ancora e sempre la scienza asservita al potere ed egli partecipa al dibattito nelle università, nelle fabbriche, nelle piazze, nella società che vuole un mono nuovo. E’ il tempo delle denunce di Maccacaro sul prevalere delle leggi del mercato e dei conflitti d’interesse nel campo medico. Anche qui Maccacaro è un anticipatore. Già nel ’66 scriveva per “il giorno” “lo stregone in farmacia”, un articolo puntuale in cui argomenta come sia facile vendere farmaci inutile seppur non dannosi, per spiegare con semplicità fa ‘esempio delle società africane che tollerano i medici della medicina occidentale, anzi spesso si rivolgono a loro, quando possono, ma non disdegnano lo stregone del villaggio, i cui rimedi, in fondo, non fanno male e possono fare bene. Nel mondo ricco il mercato dei farmaci prolifera in preparati sostanzialmente inutili, in farmaci ad alto costo e a scarsa differenza farmacologica rispetto ad altri, altrettanto efficaci e meno costosi. Pare un dibattito dei giorni nostri. Queste considerazioni vengono fatte anche dall’ industria farmaceutica che, attualmente, immette sul mercato farmaci estremamente specifici ed efficaci ad altissimo costo, ma irrinunciabili, quali gli antitumorali, o i farmaci per le patologie croniche, In pratica si arriva all’assurdo che un farmaco più è efficace e più costa, come per la diagnostica. Il tutto pagato dalla collettività se sussiste un sistema sanitario pubblico e dalle assicurazioni, con premi elevatissimi scaricati sull’utente. Incalza una domanda: sarà possibile governare a favore della collettività questo meccanismo dell’incalzante potere del mercato, al fine di offrire la massima cura e diagnosi possibile al maggior numero di persone? E questo è un altro tema attuale anticipato 40 anni fa.
Il ruolo della prevenzione, oggi, sembra chiaro, ma non lo è. Si confonde il potere predittivo di esami diagnostici ma non si studiano i meccanismi delle patologie abbastanza da impiantare una prevenzione efficace, tale da interrompere la catena viziosa che porta l’uomo ad ammalarsi. Qui il suo ruolo di statistico è fondamentale. Non si studia abbastanza perché per prevenire occorre sapere. In una sua relazione “elaborazione elettronica per la medicina preventiva” del 1966 le sue osservazioni sono calzanti, ma arriva a scivolare su un’intuizione che correggerà e che è relativa alle malattie infettive. Sostiene che sono scomparse, grazie all’igiene, alle vaccinazioni. Poi ritornerà su questi temi rilanciando il ruolo dell’ambiente e della povertà. Infatti le malattie infettive possono essere vinte se si vuole estirparle.
Questo concetto gli sarà chiaro e lo esporrà semplicemente nella lettera di risposta al presidente dell’Ordine dei Medici di Modena che lo aveva imputato di dichiarazioni contro la classe medica e che lo richiamava a scusarsi, a giustificarsi. Dimostrerà che quando si vuole si può, ricorrerà a numerosi esempi di statistica sanitaria a favore della volontà di lottare contro l’ambiente malsano. porterà l’esempio del Congo belga, nel quale i colonialisti erano riusciti a sradicare la malaria delle aree abitate dai bianchi e non avevano fatto nulla per il resto della popolazione autoctona. E oggi la risorgenza delle malattie infettive soprattutto a carico degli ambienti più poveri e diseredati della società sono un esempio della lucidità e modernità e attinenza del suo pensiero. Le malattie non sono delle entità create da Dioil malato non è uno che viene colpito da una malattia e il sano non è colui che è esente da malattia: la malattia segue lo sviluppo sociale. Sottolinea la crescita delle malattie da lavoro che coinvolgono i lavoratori nel loro sfruttamento, ma anche le cardiopatie per esempio la cui prevalenza è massima nelle classi inferiori, e ne porta i dati statistici a conforto della sua ipotesi.
Se anche quest’ affermazione fosse smentita dagli studi più attuali della genetica (cioè ci si ammala a causa di quello che è scritto nei nostri geni) la domanda è: chi potrà accedere a diagnosi e cure sempre più costose? E quindi quelli che potrebbero ammalarsi, in che modo possono restare sani? Anche questi temi dovrebbero essere trattati con lo spirito di Maccacaro e invece non sono minimamente affrontati dalla ricerca e dalla medicina, ponendo l’uomo nella sua sempre più consapevole solitudine.
Roberto Bertucci
Redazione Lavoro e Salute
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