Evoluzione del diritto alla salute nell’Unione Europea
Il presente articolo riporta la sintesi di uno studio1 realizzato per i deputati del Parlamento Europeo2 riguardante l’evoluzione della tutela del diritto alla salute nell’Unione Europea.
La tutela del diritto alla salute compare per la prima volta nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione che, all’art. 35, riconosce il diritto di ogni persona ad accedere ad “un elevato livello di protezione della salute umana”, mentre all’art. 168 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) si stabilisce che l’azione dell’Unione “completa” le politiche nazionali. Quindi, nei suoi primi anni di esistenza, la (allora) Comunità Europea, in materia di salute svolge una funzione ancillare/di sostegno ai singoli Stati membri e di complemento delle legislazioni nazionali, ad esempio introducendo limiti alla libera circolazione di merci e persone a fini di tutela della salute, oppure, raccomandando la salvaguardia della salute nel perseguire un obiettivo.
Gli interventi più importanti si hanno in seguito ad al verificarsi di situazioni emergenziali, che inducono l’Europa ad assumere alcune importanti direttive. Tra gli eventi più noti si ricordano la crisi della talidomide, la fuga della diossina a Seveso e la crisi della mucca pazza.
La questione della talidomide. Negli anni ’50-’60 si scopre la natura teratogena della talidomide, usata come sedativo e ipnotico soprattutto nelle donne. Il farmaco viene tolto dal commercio e nel 1965, per la prima volta, il Consiglio emana una direttiva per la disciplina della produzione e distribuzione delle specialità medicinali, che sarà più volte integrata mano a mano che crescerà nell’Unione l’attività di farmacovigilanza.
La fuoriuscita della diossina da uno stabilimento a Seveso. Il 10 luglio 1976 a Seveso, in Lombardia, da uno dei reattori della fabbrica di cosmetici Icmesa si sprigiona, a causa dell’aumento della temperature oltre i 500 gradi una nube di diossina, che causa un inquinamento diffuso del territorio con danni immensi ad animali, persone e vegetazione. Tale incidente spinge gli Stati dell’UE a dotarsi di una politica comune in materia di prevenzione dei danni alla salute derivanti dalle attività industriali, per cui nel 1982 è emanata (una prima) direttiva Seveso, che impone agli stati membri di identificare i propri siti a rischio. Vengono anche individuate centinaia di sostanze tossiche e pericolose, ma la tutela della salute dovrà confrontarsi con la tutela di altri interessi, per cui, nel succedersi dei provvedimenti, alla fine, il numero delle sostanze pericolose passerà da 180 a 50.
La crisi della “mucca pazza”, ossia l’encefalopatia spongiforme bovina. Tale patologia, diagnosticata per la prima volta nel Regno Unito nel 1986, è causata dall’uso per l’alimentazione animale di alimenti costituiti da farine di carne e ossa ottenute da carcasse di bovini affetti dalla patologia. I provvedimenti assunti furono contradditori dovendosi contemperare le esigenze degli allevatori e del mercato con quelli della salute, per cui gli alimenti incriminati furono dapprima messi al bando, poi consentiti sostituendo l’abrogazione con la sorveglianza epidemiologica. La malattia si trasmette anche all’uomo attraverso la carne, ciò all’epoca fu sottovalutato ed è probabile che i casi umani siano stati molto più numerosi di quelli segnalati.
Vengono quindi citati altri interventi degli organi europei con l’adozione di atti volti a coordinare l’azione degli Stati per quanto riguarda la limitazione della commercializzazione del tabacco e derivati; la limitazione di bevande alcooliche; l’etichettatura di prodotti alimentari destinati al consumo umano.
Ampio spazio è riservato alla giurisprudenza della Corte di Giustizia sulla tutela del diritto alla salute. Le sentenze diventano più frequenti mano a mano che il ruolo dell’UE diventa sempre meno ancillare rispetto alle politiche degli stati membri e con il determinarsi di sempre nuove crisi e minacce per la salute sia umana che animale, fino ad imporsi sui singoli stati laddove le politiche degli stessi risultino deficitarie. Le pronunce più frequenti riguardano il diritto a ricevere prestazioni in qualunque stato, il tabacco e i trattamenti sanitari obbligatori.
Di norma ha tutelato il diritto di erogare e ricevere prestazioni e il rimborso di spese mediche e cure ospedaliere, da parte di uno Stato membro diverso da quello di residenza del soggetto beneficiario, riconoscendo il rimborso delle spese senza limitazioni, pur cercando di contenere la libera circolazione di operatori sanitari e pazienti.
Circa i prodotti del tabacco, ha difeso le direttive europee contro le aziende produttrici e, talvolta, gli stessi stati membri, contrari all’attenuazione/cancellazione di elementi – grafici, figurativi, aromi etc. – che favorivano l’acquisto.
Riguardo l’imposizione di trattamenti sanitari obbligatori, come le vaccinazioni obbligatorie dell’infanzia, la Corte ha sempre declinato la propria competenza ad intervenire (perché non compresi nella carta dei diritti fondamentali dell’UE) confermando quanto richiesto dalle autorità dei singoli stati,
Recentemente la Corte si è pronunciata contro la causa avviata da alcuni cittadini nei confronti del Consiglio e del Parlamento europeo per annullare il Regolamento 2021/953 che, per limitare la diffusione della pandemia da Covid-19, subordina la possibilità di accedere a locali pubblici, mezzi di trasporto, luoghi di lavoro e ambienti affollati al possesso del certificato COVID digitale UE (green pass). Ai ricorrenti che lamentavano la violazione della loro libertà di circolazione e personale, la Corte ha risposto che il possesso dei certificati previsti dal regolamento impugnato non costituisce una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione.
Progressivamente la tutela della salute assume una valenza autonoma, si afferma nello studio, diventando obiettivo primario da perseguire: tra gli esempi si citano le certificazioni sanitarie per circolare liberamente (in relazione a Covid-19), l’assistenza sanitaria transfrontaliera, la sicurezza sociale per lavoratori subordinati, autonomi e loro familiari che si spostano all’interno della UE, la tutela della salute degli apolidi e dei rifugiati.
Come espressione di questa evoluzione sono citati i programmi d’azione (della Commissione europea) in materia di salute: il primo nel 2003-2008 e l’ultimo nel 2021-2027, in cui, pur ribadendo come la responsabilità delle politiche sanitarie rimanga in capo agli Stati membri, si insiste sulla necessità di proteggere la salute pubblica in uno spirito di solidarietà europea. Sono espressione di questa nuova maturità l’EMA (Agenzia europea del farmaco) e l’HERA (Health Emergency Response Authority).
EMA (Agenzia europea del farmaco). La prima è istituita nel 1993 finché nel 1995 è istituita la attuale Agenzia europea (EMA, European Medicines Agency) da cui dipende l’autorizzazione di una vasta gamma di farmaci. L’EMA differisce dal modello statunitense (FDA, Food and Drug Administration), dove il potere di valutazione della qualità, sicurezza ed efficacia dei farmaci nonché quello di autorizzarne, sospenderne o revocarne la commercializzazione è concentrato in un unico ente regolatore federale; in Europa vi è un sistema duale, per cui l’autorità regolatoria europea (EMA) convive e collabora con le autorità regolatorie nazionali.
HERA (Health Emergency Response Authority), l’Autorità europea per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie, è stata istituita dalla Commissione europea il 16 settembre 2021. Sarà operativa dal 2022, potrà contare su 6 miliardi di Euro allocate dall’attuale quadro finanziario pluriennale 2021-2027 e funzionerà, in caso di emergenza, come centrale unica di acquisto di farmaci e dispositivi medici, a beneficio di tutti gli Stati membri, oltre a garantirne la produzione. Essa si colloca accanto alle altre due agenzie in ambito sanitario, l’EMA di Amsterdam e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) di Stoccolma. A differenza di queste non è una agenzia, non ha quindi una autonomia di bilancio, ma è un servizio di sostegno tecnico-operativo della commissione.
Lo studio conclude affermando che il concetto di diritto alla salute e tutela dello stesso in ambito UE ha avuto una grossa evoluzione passando da una concezione statica e limitata a singoli eventi, per quanto importanti, ad un concetto di benessere fisico e psichico più generale della persona, da tutelare e perseguire nel tempo. Una grossa spinta in tal senso è venuta dalla pandemia, in cui si persegue l’interconnessione tra diritto alla salute, protezione dell’ambiente, tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, benessere della collettività, ma anche la sostenibilità economica e sociale. Si afferma, infatti, che, sia in ambito legislativo sia in ambito applicativo, si deve fare un bilanciamento con altri diritti e interessi contrapposti, che, di fronte alla tutela rafforzata di cui gode il diritto alla salute, vengono di solito sacrificati e limitati se entrano in contrasto con lo stesso.
In realtà le cose non stanno proprio così. Bastano pochi esempi forniti dallo studio stesso. Quando, in seguito al disastro di Seveso, si cominciarono ad emanare direttive per ridurre l’uso di sostanze tossiche e pericolose, quelle considerate tali furono ridotte a 50. E comunque il rischio sui luoghi di lavoro non è certo limitato alle sostanze pericolose! Di fronte ai casi di encefalopatia spongiforme bovina, si continuarono ad usare le grancasse di animali morti per la produzione di alimenti negli allevamenti.
Ma il comportamento più sconcertante riguarda la politica vaccinale. L’Europa ha cercato di accaparrarsi una grande quantità di vaccini per garantire la vaccinazione dei propri cittadini, anche ricorrendo a più dosi, per difendere la propria economia e i propri interessi. Si oppone invece fortemente alla sospensione temporanea dei brevetti che consentirebbe di portare i vaccini anche nei paesi poveri, i due terzi dell’umanità, pur sapendo che le varianti che si producono in quei paesi, pressoché privi di vaccini, si diffondono poi in tempi brevissimi in Europa. Si tratta di un rischio calcolato, si accumulano dosi, pagandole sempre di più, per ricorrere a somministrazioni multiple in caso di necessità, come sta appunto accadendo, confidando che le mutazioni, col tempo, portino all’indebolimento e all’endemicità del virus. Non importa se nel frattempo, milioni di esseri umani saranno periti e le economie del Sud del mondo si indeboliranno ulteriormente. In realtà questo disastro potrebbe trascinare giù anche i nostri paesi: secondo recenti calcoli del Fondo Monetario Internazionale una nuova variante (orse è quello che sta succedendo) porterebbe ad una perdita pari a 4.500 miliardi di dollari a livello mondiale e a 1.000 miliardi di dollari per i ricchi. Eppure, sempre secondo il FMI, per vaccinare il 70% della popolazione mondiale basterebbero 100 miliardi di dollari. Quindi, sul diritto alla salute prevalgono gli interessi delle case farmaceutiche, alle quali la politica dell’UE è completamente subordinata.
Si conferma quindi, anche per la salute, un forte attivismo dell’UE, che tende ad assumere un ruolo sempre più ampio in vari settori, anche allo scopo di posizionarsi risetto ad altre potenze. Ma non risulta che il diritto alla salute sia perseguito con autonomia. Non lo è stato durante la pandemia, dove l’UE si è letteralmente genuflessa davanti alle aziende farmaceutiche, non lo è nella tutela di rifugiati ed immigrati che vengono lasciati morire alle diverse frontiere europee, non lo è sugli allevamenti intensivi, da dove nuove epidemie potrebbero originarsi, dove a prevalere sono gli interessi delle multinazionali del cibo.
Loretta Mussi
5/1/2021 https://transform-italia.it
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