Lamorgese, tutte le colpe di una pessima ministra
Quando Luciana Lamorgese è stata chiamata alla guida del Ministero degli Affari Interni aveva un compito facile e difficile al tempo stesso: far dimenticare 14 mesi di gestione salviniana del Viminale, di spettacolarizzazione del fenomeno migratorio e scontro a fini propagandistici con le ONG.
Facile, perché bastava abbassare i toni per tornare a una normalità di dialogo politico, leggi e, come prevede la legge internazionale, assegnazioni di porti di sbarco per le navi che hanno effettuato un soccorso.
Difficile, perché era prevedibile che Salvini all’opposizione avrebbe avuto tutto l’interesse a fare la spina nel fianco a ogni sbarco, a ogni reato commesso da una persona straniera o a qualsiasi evento legato alla sicurezza.
Il cambio di passo c’è stato e questo è innegabile, l’Italia è passata da una gestione a colpi di tweet dove si mandavano “bacioni” ai volontari delle ONG, a una ministra senza social network, una prefetta che non si espone se non è costretta e, anche in quel caso, usa l’attendismo come strategia, nella speranza che le polemiche passino e lei possa riprendere a fare il suo lavoro, in linea con il predecessore di Salvini: Marco Minniti.
Luciana Lamorgese conosce bene Minniti, del quale è stata capo di gabinetto per alcuni mesi. Minniti appena insediato al Viminale porta a casa un successo importante per il nuovo corso della gestione dei soccorsi in mare: firma con il premier libico Fayez al-Sarraj il memorandum d’intesa tra Italia e Libia per la cooperazione nella gestione dei flussi migratori. Nell’accordo c’è la fornitura di motovedette per la creazione di una Guardia Costiera di Tripoli (al-Sarraj controlla solo la Tripolitania e non tutta la Libia), supporto logistico e formazione dei guardacosta. C’è anche un capitolo di spesa della cooperazione italiana, quindi della Farnesina, per la gestione dei centri di detenzione per i migranti, quelli che sono diventati famosi per essere dei veri e propri lager.
Luciana Lamorgese è capo di gabinetto del Viminale il 2 febbraio 2017, quando l’Italia firma quegli accordi, 10 giorni dopo viene nominata prefetta di Milano.
“La Guardia Costiera non si è mai fermata del tutto nelle operazioni di salvataggio, neanche quando c’erano Salvini e Toninelli. La legge in mare dice che le persone devono essere soccorse se sono in difficoltà” racconta a MicroMega un fonte anonima della Guardia Costiera italiana. Lui per anni è stato operativo nei soccorsi in mare. “Oggi invece una delle attività principali è il controllo delle navi delle ONG, le direttive non scritte sono quelle di trovare ogni cavillo per fermarle durante il Port Safe Control, l’ispezione che si effettua alle navi non italiane prima di concedere l’autorizzazione a uscire dal porto” aggiunge la nostra fonte.
A conferma di questa tendenza c’è uno studio di Matteo Villa, ricercatore dell’ISPI che ha elaborato i dati sul fermo delle navi umanitarie: nell’estate del 2019, nel pieno della gestione dei “porti chiusi”, Salvini ne ha bloccate al massimo 4 contemporaneamente, mentre Lamorgese è arrivata a 7 imbarcazioni sotto fermo amministrativo.
“Sicuramente c’è meno violenza verbale ma siamo passati dai procedimenti penali di Salvini, che non portavano da nessuna parte, a quelli amministrativi di Lamorgese che invece sono molto più efficaci. Così è calato il silenzio sul soccorso in mare” racconta Riccardo Gatti, soccorritore e comandante con esperienze su diverse navi umanitarie. “Il numero di giorni per l’assegnazione del porto si sono ridotti ma resta sempre quella percezione di incertezza, questo non dovrebbe accadere perché lo prevede la legge e perché in passato non è mai stato così” aggiunge Gatti.
Un passaggio importante nella gestione dei flussi migratori sono state le navi quarantena, alle quali MicroMega ha dedicato una lunga inchiesta, dove le violazioni dei diritti sono all’ordine del giorno: vengono imbarcati anche i MSNA, minori stranieri non accompagnati, che dovrebbero avere un percorso di accoglienza più tutelato e a terra. Queste violazioni si inseriscono in un sistema di detenzione e rimpatri sulla base del paese d’origine, in particolare per chi arriva dalla Tunisia: i rimpatri avvengono in pochi giorni, dopo una detenzione nei CPR, sulla base di un accordo tra Roma e Tunisi siglato proprio da Lamorgese: 11 milioni di investimenti e strumentazione per il pattugliamento delle coste, in cambio di un accordo per i rimpatri veloci in modo da “chiudere” la rotta principale degli ultimi due anni che proprio dalla Tunisia porta a Lampedusa famiglie e singoli in piena crisi economica a causa della pandemia. Il governo tunisino ha chiesto anche una quota nel decreto flussi per i lavori stagionali e non, quota concessa a inizio 2022 con l’inserimento della Tunisia tra i paesi con quote prioritarie sia per gli stagionali che non.
Non c’è stato solo il Mediterraneo nell’azione della ministra ma anche quella che viene definita Rotta Balcanica e che ha Trieste come snodo principale prima di proseguire verso il Nord Europa. Su questo fronte il passaggio di gestione da Salvini a Lamorgese ha addirittura fatto un salto di qualità in chiave securitaria: il primo non si è mai occupato di questa rotta, poco mediatica e quindi strumentalizzabile, mentre la seconda da esperta della macchina amministrativa ha rispolverato un accordo bilaterale del 1996 con la Slovenia per “riammettere” in territorio sloveno le persone entrate in Italia in modo illegale.
Una pratica che ha respinto ufficialmente 1240 migranti nel 2020, oltre a quelli non dichiarati perché intercettati lungo i sentieri di montagna sul confine con la Slovenia. Queste “riammissioni informali” erano l’inizio dei respingimenti a catena che riportavano i migranti in Bosnia o in Serbia nel giro di poche ore, senza dar loro la possibilità di chiedere asilo in paesi membri dell’Unione Europea come Italia, Slovenia e Croazia.
Nel febbraio del 2021 il Tribunale di Roma ha bocciato questa pratica, definendola “illegittima” perché una volta respinte, le persone migranti subiscono “trattamenti inumani e degradanti (…) e vere e proprie torture inflitte dalla polizia croata”.
Una bocciatura completa dell’operato della ministra Lamorgese che però, anche in questo caso, non ha fatto sollevare critiche o dubbi da parte della maggioranza, in particolare dal Partito Democratico, 5 Stelle e LEU.
“Se Salvini attacca Lamorgese molti a sinistra pensano di doverla difendere senza interrogarsi sul suo operato. Le navi quarantena sono del tutto ingiustificate perché la quarantena poteva essere fatta a terra e anche sulla riforma della cittadinanza non è stato fatto nessun passo in avanti rispetto ai suoi predecessori, non solo quelli leghisti” commenta Matteo Orfini, esponente del Partito Democratico e tra i pochi che ha incalzato Lamorgese con interrogazioni parlamentari e richieste di concessioni dei porti alle navi umanitarie.
Un capitolo a parte meriterebbero i due Decreti Sicurezza di Salvini, “superati” con delle modifiche, alcune di queste importanti, ma mai cancellati del tutto.
A rimarcare la continuità del suo operato, al Viminale nell’ottobre del 2021 c’è stato un ritorno del tutto inaspettato: Roberto Maroni, due volte ministro dell’Interno con i governi Berlusconi e in quella veste autore della repressione della rivolta dei braccianti di Rosarno, quando nel gennaio 2010 due migranti vennero feriti da colpi di arma da fuoco da giovani calabresi e reagirono con manifestazioni contro le condizioni di lavoro ai limiti della schivitù. Maroni è stato nominato presidente della “Consulta per l’attuazione del protocollo d’intesa per la prevenzione e il contrasto dello sfruttamento lavorativo in agricoltura e del caporalato”, una scelta che ha sorpreso e spiazzato tutte le associazioni che lavorano per contrastare il caporalato, tra queste “Terra!” che in un comunicato hanno dichiarato: “La scelta della ministra Lamorgese ha come effetto l’indebolimento degli spazi di democrazia, di confronto e dialogo sul tema del caporalato, che ci ha visti finora protagonisti, al fianco dei sindacati e di tante reti associative, nel ripensamento della filiera agroalimentare e nella tutela dei diritti di tutti gli attori del comparto. Affidare a una personalità con la storia e le idee di Maroni la presidenza di un organo che replica le azioni portate avanti in altri Tavoli, renderà complicata la consultazione degli attori coinvolti nell’azione di contrasto”.
Un lavoro di continuità che viene da lontano, d’altronde Maroni era al Viminale nel 2008 quando Berlusconi e Gheddafi firmavano un accordo sui respingimenti verso la Libia dei migranti diretti in Italia e lo stesso Maroni ordinò alla Guardia Costiera e alla Guardia di Finanza di riportare in Libia 200 persone provenienti dalla Somalia e dall’Eritrea, tra le quali donne incinta e bambini. Nel 2012 l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo a risarcire 22 persone che avevano fatto ricorso perché quell’ordine ha violato l’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello sui trattamenti degradanti e la tortura.
Possibile che tra qualche anno l’Italia verrà condannata per questa gestione dei flussi migratori, per gli accordi con la Libia, con la Tunisia o per le navi quarantena. Forse a quel punto qualcuno dirà che Lamorgese non è stata una buona ministra.
Valerio Nicolosi
10/2/202 da Micromega
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