Ucraina, inviando armi l’Europa ha scelto la via della guerra. Mobilitiamoci per aprire il dialogo
Ad Antalya, in Turchia, si è chiuso con un nulla di fatto il primo confronto ad alto livello tra il governo russo e quello ucraino dopo l’inizio della guerra. Occorre chiedersi senza infingimenti: questa mancanza di risultati è un bene o un male? E’ un bene o un male che le parole, il dialogo, la ricerca del compromesso qui ed ora non abbiano raggiunto un risultato e che la parola torni alle armi?
Non è una domanda retorica perché la risposta a questa domanda ci parla della strada che dobbiamo intraprendere: dobbiamo favorire la prosecuzione della guerra nella speranza di “vincerla”, oppure dobbiamo perseguire la trattativa e la mediazione tra le parti?
Fino ad ora l’Unione europea e i vari governi, a partire da quello italiano, hanno scartato l’ipotesi della trattativa, del compromesso e hanno scelto la via delle forniture militari e delle sanzioni economiche. Per chiamare le cose con il loro nome, l’Europa ha scelto la via della guerra ipotizzando di poterla vincere, facendola subire e combattere al popolo Ucraino.
Considero questa scelta una scelta irresponsabile destinata ad allungare il conflitto, ad aumentare le sofferenze delle popolazioni coinvolte. Considero inoltre questa una scelta suicida dell’Europa, che invece di svolgere il suo ruolo naturale di costruttore di pace e di dialogo si è arruolata come truppa di complemento dietro l’estremismo della Nato e del governo degli Stati Uniti.
La scelta di armare per azioni di guerriglia l’esercito e le milizie ucraine non ha nulla a che vedere con la rapida fine delle ostilità ma è destinata a trasformare l’Ucraina in un Afghanistan europeo con rischi di terza guerra mondiale. Una follia senza senso che solo questo ceto dominante nichilista e privo della minima lungimiranza politica può praticare.
Al contrario di questi irresponsabili penso che il fallimento dei colloqui in Turchia sia un male e che non vi sia alternativa alla strada di un compromesso da ricercare il più rapidamente possibile.
Qui occorre porsi una seconda domanda. Posto che la Turchia rilanci il proprio ruolo di mediazione o che altri si candidino a svolgere questo ruolo, è possibile fermare la guerra e costruire una pace in Ucraina senza l’impegno diretto, in prima persona dell’Unione Europea? In altri termini, è possibile comporre questo conflitto dando una risposta positiva ai problemi che lo hanno ingenerato senza un ruolo attivo dell’Europa? Io penso di no.
Per questo la posizione della von der Leyen e dei vari governanti è doppiamente colpevole: da un lato sono diventati parte del problemi partecipando alla guerra nel ruolo di fornitori di armi. Dall’altra vengono meno al ruolo decisivo che l’Europa dovrebbe avere nella pacificazione del continente e nella ricerca di un compromesso. Non fosse altro che per tutelare gli interessi geopolitici dell’Unione Europea, che non coincidono con quelli degli Stati Uniti.
Per questo è necessario dar continuità alla manifestazione di sabato scorso e costruire nel paese un movimento contro la guerra che indichi con chiarezza l’obiettivo da perseguire: la trattativa al fine di trovare un compromesso e di far tacere le armi.
Occorre cioè dare forma politica e sociale a quello che pensa la maggioranza della popolazione italiana e cioè che questa crisi non si risolve con la guerra ma perseguendo la pace. Occorre riuscire a rompere il muro di omertà dei media mainstream – tutti quanti con l’elmetto in testa – che producono una vergognosa propaganda guerrafondaia. Costruire un movimento per fermare la guerra e per impedire che i suoi effetti ricadano sulle spalle degli strati popolari è il principale contributo concreto alla fine delle sofferenze indotte dalla guerra che possiamo dare oggi.
Perché se i nostri governanti non vogliono trattare, dobbiamo obbligarli a farlo facendogli capire che il popolo non è disposto a farsi portare in una avventura suicida in cui abbiamo tutti da perdere.
Paolo Ferrero
Vice presidente Partito della Sinistra Europea,
10/2/2022 dal blog su “Il Fatto Quotidiano”
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