Politica e società. Condannati alla psicosi
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Un disturbo psicotico crea un distacco dai contesti reali e rende precarie la stessa formazione del pensiero inibendo le capacità di attività e relazioni.
Qualcuno – di fronte al miserabile spettacolo offerto dalle comparsate delle bande che si autodefiniscono “politiche” – si è accorto che si è crepata la capacità comune di leggere la realtà quotidiana ed è paradossalmente diventata una silenziosa complicità se non un vero e proprio sostegno alle bande del dominio?
La conseguenza è la riduzione, se non la scomparsa, della voglia d’immaginare percorsi comuni fuori dall’individualismo di questi trent’anni di potere politico e mediatico che hanno depredato gran parte della nostra voglia di organizzarci per stare fisicamente insieme delegando la residua capacità di critica agli spazi offertoci come sfogo della disperazione comune, cosa rappresentano altrimenti Facebook, Twitter, Instagram al netto della consolazione di sentirci collegati a schiere sterminate di persone?
Chiediamoci se non è stata sterminata la nostra individualità pensante, il nostro privato da offrire a singoli e comunità che frequentavamo ma che oggi crediamo di averli accanto tramite il virtuale di Internet, non disconoscendo alla tecnologia una funzione utile quando riusciamo a limitarla nella sua invasità e alfabetizzazione di massa.
Con la digitalizzazione del lavoro e della socialità, di fatto, siamo stati depredati dell’autonomia di movimento e di pensiero politico, entrambi sottoposti a sorveglianza, al pari dei nostri desideri di vita, dei nostri gusti alimentari e relazionali ridotti alle contraffazioni dei profitti del mercato.
I fatti, amplificati dalla pandemia, che hanno funestato la civiltà giuridica e sociale del nostro Paese stanno a dimostrare quanta è stata potente induzione all’estraneità nella convivenza con gli altri, siano essi lavoratori come noi, precari e disoccupati, migranti in cerca di sopravvivenza fuori dai confini dalle loro comunità distrutte dai predatori occidentali.
Non sappiamo più contare sulla nostra razionalità di esseri pensanti, anzi non sappiamo più contare i giorni che ci scorrono davanti senza esserne protagonisti attivi.
Ci sentiamo smarriti e di questo stato diamo la colpa agli altri nostri simili, significativo è l’odio che si prova contro l’idiozia di chi non vuole vaccinarsi o che confonde l’obbligo del palliativo Green Pass con la dittatura puntando la critica al dito e non alla luna governativa che con bieco opportunismo approfitta dei fumogeni dei negazionisti per nascondere le proprie responsabilità nel continuare a disastrare il maggior argine agli effetti della pandemia rappresentato dal Servizio Sanitario Nazionale con la sua medcina territoriale di immediata prossimità ai bisogni di salute.
Spesso siamo indotti a dmenticarci delle persone reali, siano essi persone perbene o governanti con le loro colpe. Siano essi lavoratori, italiani o migranti non importa, siano essi vicini di casa con i quali non abbiamo neanche più il tempo di relazionare se non per schivarlo per non farci ammantare dai suoi problemi, non sapendo riconoscerne gli stessi stratti comuni. Ci siamo ficcati in una teca di vetro isonorizzata, dentro al quale entra prepotente il comando mediatico che ci informa delle nuove regole sociali e del nostro ruolo di zombi produttori e consumatori.
Quasi ci pare impossibile salvarci da questo stato di depressione cosciente e prostazione, siamo risucchiati in un vortice di cerchi concentrici che ci tengono prigionieri davanti ai salotti televisivi con qualche ora d’aria compressa nei labirinti degli ipermercati, nuove chiese nelle quali il dogma del consumismo si è sostituito al dogma religioso.
In ogni luogo ci inondano di notizie senza capo nè coda e senza nessuna connessione reale con le difficoltà della vita quotidiana delle persone fuori dal circuito del benessere costituito. La loro iper informazione, che spacciano come cifra della democrazia compiuta, ci spiega che il sistema è in crisi e tutti devono fare la propria parte per uscirne, non spiegano però chi questa crisi l’ha prodotta e chi ci guadagna. Non possono, altrimenti ci dovrebbero anche dire che i produttori ne sono anche i beneficiari. Ipocriti e falsi fino al midollo, una forma moderna di delinquenza culturale, politica ed economica che si avvale dell’evoluzione tecnologica come armi di distruzione di massa.
Quindi, chi è fuori dai circuiti del benessere e della ricchezza, si sente obbligato a partecipare allo sforzo comune (ricordate il mantra del “siamo tutti sulla stessa barca) di evitare il peggio, in particolare per i nostri figli. E addirittura, ci sentiamo quasi dei privilegiati nel nostro arrancare per vivere in base ad elementari, ma sempre più poveri, diritti di lavoro, di salute, di benessere minimo.
Infatti si è di fatto radicato l’individualismo spietato contro chi sta peggio, hanno demolito la cultura della solidarietà come valore di convivenza atta a colmare le diversità culturali ed economiche tra nord – del mondo e d’Italia – investito di sviluppo industriale e sud – del mondo e d’Italia – disconosciuto dalla politica in auge come terra di progresso relegandolo a serbatoio di braccia e regalandolo all’elemosina delle clientele legali e illegali. Su questa demolizione, che si è tirata nelle macerie anche il plus valore del nord sviluppato, hanno costruito principi assolutistici di predazione e privilegio per una cerchia sempre più ristretta di potentati.
La cifra di quanto detto sta nella forbice sempre più distante tra chi ha tanto e chi ha poco o niente.
E’ quindi rinata l’ottocentesca classe della nobiltà feudataria che ha sepolto il ceto medio e la stessa borghesia progressista ormai ai confini della classe meno abbiente che a sua volta riscopre drammaticamente il suo passato di proletariato, un passato che torna ammantato di quella modernità luccicante che copre loro la visuale di lotta per la dignità.
Nel mentre cresce nei loro confronti l’odio dei privilegiati i quali sanno che devono costruire presidi blindati per le loro ricchezze togliendo diritti agli altri. Diritti che potrebbero ancora una volta rappresentare un pericolo di ribellione: il sapere e la conoscenza, la scuola per tutti, un inconfutabile Statuto dei lavoratori, la magistratura non asservita ai potenti per legge.
Invece TV e grandi giornali ci raccontano balle, ci disegnano sprazzi di vita di un’Italia inesistente, come quelle favole che spesso ci hanno raccontato da piccoli per farci addormentare, dopo frenetiche giornate incuranti di un angusto sistema che li vuoleva relegare, a scuola come in strada, al ruolo di bravi o di ribelli di fronte al potere costituito.
Oggi molto più di ieri la comunicazione televisiva e cartacea ci forma, plasmandoci in individui solitari che camminano dentro una massa, chiamata “popolo” solo quando vanno nella direzione indicata da questi altoparlanti di chi oggi comanda, se tramite un consenso ricercato onestamente o mediante bugie trasformate in verità non importa.
Non è prevista, quindi non considerata come lecita e naturale, la direzione ostinata e contraria di chicchessia, chi ha l’ardire di scegliere il ruolo di pecora nera viene isolato, bandito dalla comunità “democratica” quindi inesistente; e se proprio insiste, con i suoi comportamenti di pecora nera della grande famiglia perbenista e aquiescente, tipo protestare contro i licenziamenti, gli sfratti, le morti sul lavoro, è messo al bando, emarginato o considerato matto (se non di indole terroristica).
A volte tv e giornali si lasciano anche andare a sentimenti di pietà se la pecora nera si suicida perchè gli hanno rubato il lavoro o lo hanno messo in strada fregandogli la casa. E allora ecco un lacrimevole servizio e un invito nelle trasmissioni del dolore spettacolarizzato.
Chi è fuori dalla famiglia perbenista e aquiescente come si considera, un cittadino a tutti gli effetti o un emaginato?
Sceglie razionalmente di far parte della società degli esclusi e, quindi,odia i mass media che raccontano balle, o sbircia una vita diversa attrraverso lo schermo al plasma accontendandosi di fare da spettatore abulico oltre che sperare di farne parte con la sognata vincita in qualche gioco da dipendenza, con relative malattie patologiche quali la ludopatia, la dipendenza simil tossicologica ecc.?
Per ottimizzare il progetto di plasmare la società di “chi ci stà” non basta solo modificare la realtà della vita realmente vissuta dal “popolo”, serve anche costruire tanti modelli da amare, come in una passerella di moda, ed ecco allora la costruzione degli eroi mediatici ai quali affidarsi come messaggeri “neutrali” e ai quali tentare di somigliare per chi vuole una società più meno ingiusta.
Con questi eroi che incarnano il bene o il gossip è nato un marketing “democratico” con il quale tv e giornali creano fumogeni sulla vita reale. Come rifiutare lo spaccio di questa comunicazione assordante e petulante, “una bugia ripetuta più volte in tv e sui giornali diventa verità”, e non subirne gli effetti collaterali devastanti della propria soggettività di cittadini?
In assenza di voci mediatiche nazionali fuori dal coro del “pensiero unico” (tutte zittite con la favola dello spreco di denaro pubblico alla stampa, quando, in realtà, oltre il 90% dei finanziamenti li hanno sempre presi, e continuano a prenderli, i grandi giornali “indipendenti “che oggi spacciano indisturbati bugie e mistificazione della realtà) l’unica strada è il pensiero preventivo: quello che dicono è funzionale ai loro interessi di potere. Non basta, ma per lo meno non ci facciamo più prendere per i fondelli, accettando acriticamente la loro versione sui crimini sociali che politici, industriali e finanza parassitaria compiono ogni giorno.
I dogmi di chi detiene il potere comunicativo, radicati da quasi trent’anni di commercializzazione del sapere, saranno sempre più persuasivi se non lottiamo per metterli in discussione. Questi nostri “mali” materiali e relazionali, che ci affliggono e tendono a trasformarci in una massa ritenuta indistinta e senza sogni di rivalsa sull’esistente, disegnata come gregge da pascolare in una società sempre più anemica e individualista, possono essere curati e contrastati da un ritorno al sentirsi parte di una comunità di lavoro, di quartiere, che lotta per i vecchi e sani diritti al lavoro, alla salute, alla vita, con la testa alta, la schiena dritta ed una attiva presenza sociale.
In questa società brutalizzata dalla competizione contro il più debole, con il liquame che viene offerto come comunicazione di massa si è sempre più sottomessi perchè non crea saperi ma obesità del cervello.
Un quadro apocalittico il mio? Se tirassimo su un lembo del piombato tappeto mediatico che ci hanno messo in testa per camminarci sopra le nostre teste (ricordiamoci sempre che oltre il 90% del sistema televisivo, pubblicitario e della carta stampata è di proprietà delle lobby industriali e finanziarie) e contemporaneamente accantoniamo per un un attimo i nostri egoismi derivanti dal presunto stato di benessere meno peggiore degli altri che ci stanno
attorno, riusciremmo a focalizzare i percorsi dentro i quali ci stanno portando, convinti come sono, di avere a che fare con una massa di idioti e pecoroni.
Se avete alzato quel lembo di tappeto siete già sulla buona strada per reagire. Scegliamo di camminare eretti, per affrontare e combattere a testa alta la realtà dello stato di cose presenti.
Quella che consente impunemente di assassinare una media di quattro lavoratrici e lavoratori al giorno sui luoghi dello sfruttamento sul lavoro;
quella che consente alle imprese di licenziare migliala di persone e delocalizzare fabbriche in Paesi più schiavistici del nostro, con il l’assenso dei governi; quella che consente di sottrarci servizi pubblici essenziali per una vita dignitosa;
quella che consente di rendere strutturale la povertà di milioni di persone; quella che che paga migliaia di miliardi all’anno per sostenere le guerre predatorie della NATO;
quella repressione poliziesca contro le manifestazioni operaie e studentesche, come le cariche indiscriminate contro gli studenti, che manifestavano pacificamente in tante città italiane, per denunciare la morte di Lorenzo Parelli, ucciso a soli 18 anni dalla famigerata Alternanza scuola-Lavoro del governo Renzi;
quella che consente di ammazzare, anche tra le mura domestiche, decine di donne all’anno senza misure di prevenzione e leggi che non diano brutale discrezionalità alla magistratura che spesso giustifica il femminicidio e la violenza sessuale puntando il dito contro presunte colpe della donna;
quella dell’ignominioso spettacolo per le elezioni del Presidente della Repubblica che alla fine della tragicommedia politica ci ha evitato uomini senza un minimo di cultura democratica, ma restano ferme le intenzioni di fare dell’Italia un Paese a demomonarchico con un uomo solo al comando in rappresentanza dell’assolutismo di banche e confindustria.
Per farlo hanno bisogno della debilitazione totale del nostro stato psicofisico, continuando a infonderci la psicosi, funzionale al rifiuto della politica attiva delegando loro come tutori degli interessi del profitto a prescindere dalle nostre condizioni di vita.
Franco Cilenti
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