La lotta del “Movimento Disoccupati 7 Novembre” tra riscossa e repressione
“Se un uomo marcia sull’erba selvaggia, l’uomo passa e l’erba si richiude alle sue spalle quasi inalterata,
se cento uomini marciano su un sentiero di montagna, gli uomini passano e l’erba calpestata muore.
Ma se sono mille e più di mille gli uomini che marciano, il sentiero fiorisce di nuove speranze, avviene il cambiamento, nasce la vita nuova”
“Stanno lottando per il lavoro!”
In genere quando sentiamo questa frase immaginiamo il lavoratore o la lavoratrice che difendono il loro posto di lavoro e il loro salario.
Difficilmente ci viene in mente che una persona senza lavoro si organizzi per rivendicarlo. Invece accade.
Accade che a Napoli i disoccupati e le disoccupate alzino la testa insieme, cercando di spezzare le catene di una vita precaria a cui questo sistema li ha relegati e senza meccanismi di delega politica.
Il “movimento di lotta – disoccupati 7 Novembre” (d’ora in poi MD7N) di Napoli nasce circa 8 anni fa a Bagnoli, quartiere operaio della periferia di Napoli, che si affaccia sulla splendida piccola isola di Nisida.
A Bagnoli, zona Flegrea, aveva sede lo storico stabilimento siderurgico dell’Ex Italsider (Ilva), il quale occupava un’area di 2 milioni di mq di suolo e la cui attività ha caratterizzato i destini degli abitanti, soprattutto in negativo. L’impianto dismesso nel 1990 (la cui storia passata, recente e presente è caratterizzata da forti conflitti e contraddizioni) ha lasciato in eredità al quartiere un notevole impatto ambientale e un gigante scheletro industriale con i suoi terreni adiacenti, la cui bonifica è ancora in alto mare ed è stata oggetto di numerose dinamiche speculative e di malaffare. In questa zona, come nell’area metropolitana di Napoli (e in buona parte del Sud Italia) la disoccupazione, la precarietà lavorativa ed esistenziale e la conseguente emigrazione rappresentano dei mali storici volutamente irrisolti, acuiti fortemente dalla crisi del 2008, dalla pandemia Covid-19 e che peggiorerà con le conseguenze nefaste dell’attuale conflitto russo-ucraino e del collegato caro-vita.
Di fronte a questa situazione e riprendendo le fila e la tradizione storica delle lotte dei disoccupati/e organizzati (che Napoli aveva già conosciuto a metà degli anni ‘70), nasce e si sviluppa in città il MD7N, che si organizza in più quartieri attraverso vari sportelli e oggi conta centinaia di iscritti.
Le richieste sono chiare sin da subito: salario garantito a tutti/e le disoccupate in città attraverso l’inserimento lavorativo in lavori di pubblica utilità (da non confondere con i lavori di pubblica utilità relativi ai percettori del Reddito di Cittadinanza).
Non a caso, lo slogan di riferimento è: lavoro o non lavoro, dobbiamo campare!
Sono un esempio simile di queste politiche di sostegno e inclusione sociale i Cantieri Servizi che alcune Regioni hanno già bandito nel corso degli anni nei propri territori, anche se destinandovi fondi insufficienti.
La richiesta degli iscritti del Movimento è quella di sviluppare dei programmi di inclusione lavorativa per le persone senza lavoro e con redditi bassi in attività che vanno dalla manutenzione del verde pubblico, alla valorizzazione del patrimonio artistico e culturale, al rimboschimento, ecc.
Questa rivendicazione da un lato evidenzia le carenze in città delle piante organiche relative ai servizi pubblici a causa di anni di austerità e tagli di bilancio e dall’altro permette con un’analisi dal basso da parte del movimento di individuare le risorse utilizzabili.
Comunque, 8 anni fa inizia a Napoli un percorso di lotta che mostra una costanza e una determinazione rara, capace di individuare con lucidità e pragmaticità degli obiettivi chiari su cui organizzare la lotta e la riscossa, mostrando mano a mano le contraddizioni del nostro modello economico dominante.
Le mobilitazione e le proteste si moltiplicano e sviluppano con costanza e quasi quotidianamente. Gli interlocutori a cui rivolgere le proprie legittime pretese sono rappresentati da chi dovrebbe dare applicazione ai principi costituzionali: ossia i governanti locali e nazionali.
Ad ogni mobilitazione i disoccupati e le disoccupate cercano risposte in primis dalle istituzioni locali (Comune, Città metropolitana e Regione) fino ad arrivare negli ultimi anni ad interlocuzioni costanti con il Ministero del Lavoro.
Il Movimento si fa carico sia della parte elaborativa individuando fondi (da quelli europei, al PNRR, al programma GOL) a quella dell’inchiesta (andando a verificare la quantità di personale tagliato nei servizi pubblici negli ultimi anni, in particolare sul tema della raccolta dei rifiuti). In poche parole i disoccupati organizzati si sono presi in carico il loro destino e sono andati a svolgere quello che avrebbero dovuto fare i governanti e le sue appendici burocratiche, le quali come sempre latitano.
Non si contano più le dichiarazioni d’intento favorevoli alla risoluzione positiva della vertenza e i tavoli inter-istituzionali continuano a sommarsi, ciascuno mandando la palla più avanti e cercando di fiaccare la lotta.
Se da un lato, quindi, a parole i governanti e i suoi organi sembrino disposti e disponibili ad accogliere le rivendicazioni, dall’altra parte gli apparati statali sfoderano – come spesso accade- l’arma della repressione.
Una repressione graduale, che parte inizialmente dalle denunce, passando per le cariche in piazza, fino ad arrivare all’accusa di “associazione per delinquere” e per ultimo l’invio –da parte della Questura di Napoli- di avvisi in cui si prospetta ad alcuni disoccupati/e la misura grave della sorveglianza speciale.
L’intento è chiaro: criminalizzare il movimento descrivendolo come associazione per delinquere e impedire l’agibilità politica ad alcuni militanti. Ad aumentare la gravità di questa situazione è il fatto che 2 dei 5 a cui sono arrivati gli avvisi da parte della Questura di Napoli sono dirigenti nazionali del SI COBAS (Sindacato intercategoriale Cobas da anni protagonista delle lotte nella logistica e già oggetto di numerosi attacchi repressivi).
Tutto ciò dovrebbe innescare due ulteriori ragionamenti: uno sul livello di democrazia interna vigente in Italia e sul grado di tutela delle libertà sindacali e l’altro sull’utilizzo sempre maggiore della misura di prevenzione della sorveglianza speciale per “la tutela della sicurezza pubblica” (la quale può essere applicata sulla base di semplici indizi senza nessuna prova di commissione di illeciti). Negli ultimi anni sono noti alcuni casi di applicazione di questa vergognosa misura, tra cui spicca il caso di Maria Edgarda Marcucci detta “Eddi” che dopo aver sostenuto in Rojava la rivoluzione del confederalismo democratico e per la liberazione di quella terra dai tagliagole dello Stato Islamico, al ritorno in Italia ha ricevuto questo “regalo” da parte dello Stato: due anni di sorveglianza speciale. Questo argomento meriterebbe una trattazione a parte che si evita di svolgere in quest’articolo.
Però, il tentativo repressivo, fino ad oggi è stato rimandato al mittente a Napoli. Le mobilitazioni continuano con la stessa tenacia e non si placano.
La lotta dei disoccupati e disoccupate organizzati/e è un patrimonio per tutto il movimento italiano. È rivoluzionaria perché tende ad emancipare chi si trova nella parte più bassa della piramide sociale.
Rompe l’isolamento sociale di chi, sbalzato fuori dalle logiche del mercato e dal meccanismo del rapporto di lavoro salariato, si trova automaticamente privo anche di relazioni sociali, oltre che di un reddito per campare.
Nella lotta invece, la persona riacquista un proprio orgoglio e ricompone una comunità vera fatta di solidarietà. La lotta economica per un posto di lavoro dignitoso acquista subito una valenza politica, perché si sviluppa un meccanismo di coscienza di classe.
È in questa dinamica che i disoccupati/e 7 Novembre rappresentano un pericolo per i potenti che governano questo Stato. Quando scendono in strada rivendicando clausole sociali per la bonifica di Bagnoli e la sua riqualificazione, quando sostengono vertenze nella logistica come quella di Fedex o quella operaia della GKN o lottano al fianco degli studenti contro l’alternanza scuola- lavoro o dei diritti dei detenuti in carcere, rompono tutti gli schemi e saldano nuovi legami in un unico fronte di lotta su scala nazionale.
Prima del conflitto russo-ucraino, e durante le ondate di Covid si è sviluppata e prosegue tutt’ora una campagna mediatica mossa da Confindustria per attaccare quelle poche briciole del Reddito di Cittadinanza date a chi non ha un lavoro. Nel mentre stanno arrivando miliardi di Euro tramite il PNRR e le organizzazioni padronali vogliono accaparrarsi tutta la torta ed evitare che vengano loro messi i bastoni tra le ruote.
Per questo cercano di stroncare ogni possibile forma di resistenza.
Figuriamoci accettare che gli ultimi si organizzino per rivendicare lavori di pubblica utilità, che sono a beneficio della collettività e non attività speculative fonte di profitti per i soliti noti.
Oggi, inoltre, l’esplosione del conflitto in Ucraina e la sua escalation stanno conducendo i governi europei e le lobby militari a riarmare gli eserciti incrementando le spese militari, a danno di tutti gli altri investimenti, in particolare scuola, sanità, transizione ecologica e inclusione sociale e lavorativa.
Un altro aspetto di rilievo di questa lotta è che si tratta anche di una questione di genere: buona parte dei senza lavoro sono donne, che vivono oggi con forza il ricatto della dipendenza economica dall’uomo, ma che spesso svolgono lavori di cura domestica senza che questi vengano percepiti come lavoro salariato. Sovvertire questa gabbia economica significa soprattutto acquistare autonomia di vita personale e collettiva.
Per tutte queste ragioni, per il saper collegare la propria vertenza del territorio nel presente a una prospettiva rivoluzionaria futura più complessiva, questa lotta è importante e merita pieno sostegno.
Per poter seguire la loro lotta e informarsi in maniera più approfondita questa è la loro pagina Fb: Movimento di Lotta – Disoccupati “7 Novembre”.
Gabriele Toccaceli
12/4/2022 http://effimera.org/
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