LA GUERRA IN CASA

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di Fausto Cristofari

Il nome Diana evoca di primo acchito l’immagine della dea della caccia, col suo contorno di foreste e di cervi (e di armi, anche se fortunatamente limitate ad arco e frecce).
Ma D.I.A.N.A. è anche l’acronimo di Defence Innovation Accelerator for North Atlantic, che si può tradurre più o meno come “Acceleratore di innovazione destinata alla Difesa per il Nord Atlantico”.
D.I.A.N.A. è un fantasma che si aggira da qualche mese per la città di Torino. I mezzi di informazione tacciono, nemmeno il Presidente del Consiglio Mario Draghi, nella sua visita lampo dello scorso 5 aprile, ne ha parlato. Così come alla chetichella il Presidente della Regione Cirio e il Sindaco di Torino Lo Russo, in un rinnovato afflato by partisan, si sono presentati, lo scorso 20 gennaio, ad un vertice con le autorità militari della NATO, e hanno candidato Torino come sede di D.I.A.N.A..
Ma, infine, di che si tratta?

Il progetto nasce in Belgio, a Bruxelles, nel giugno dello scorso anno, nell’ambito di ”Agenda NATO 2030”. Lo scopo dichiarato è quello di creare una struttura di supporto alla NATO nella ricerca legata alla innovazione tecnologica nel settore dell’Aerospazio, da portare avanti in rapporto sinergico fra strutture pubbliche e private. Va da sé che, dietro l’immagine accattivante da “2001 Odissea nello spazio”, si nascondono in larghissima parte, in realtà, la ricerca e la produzione legate all’industria bellica.
La scelta di Torino non è casuale, poiché già oggi gran parte della produzione aerospaziale italiana ha sede in Piemonte, con un giro di affari che alcuni stimano in 5 miliardi di €. La realizzazione di D.I.A.N.A. rappresenterebbe un ulteriore salto qualitativo, coinvolgendo, oltre a Leonardo e Avio Aero, che sono

i principali sponsor dell’operazione, industrie come Collins Aerospace, Thales Alenia Space, Altec.

L’Ufficio Regionale per l’Europa di questa struttura dovrebbe trovare sede appunto a Torino, presso la cosiddetta “Città dell’Aerospazio”, nell’area compresa fra corso Marche e corso Francia.

Si tratta di un’operazione assai rilevante, poichè il progetto prevede l’esistenza di un Centro D.I.A.N.A. in Europa (quello, appunto, di Torino) e solo un altro, analogo, negli U.S.A.. E i soggetti coinvolti, pubblici e privati, istituzionali e non, sono davvero molti: oltre alla Regione Piemonte e al Comune di Torino, il Politecnico e l’Università, la Camera di Commercio, l’Unione Industriale, l’API, il CIM 4.0, il Distretto Aerospaziale del Piemonte, la TNE.

Da notare, in particolare, che il mondo accademico e della ricerca universitaria torinese si troverebbe nuovamente coinvolto in un’operazione dai contorni inquietanti e inaccettabili. Dopo aver partecipato, con la sua consulenza geografico-logistica, al progetto anti-migranti denominato Frontex, il Politecnico di Torino ha infatti già stipulato un accordo con Leonardo per la realizzazione, nell’ambito di D.I.A.N.A., di una struttura il cui avvio dei lavori è previsto entro quest’anno.

Università e Città al servizio della NATO, quindi, in piena continuità con l’attitudine mostrata dal governo Draghi. Chissà se, nel momento in cui il Parlamento approvava, salvo poche eccezioni, l’Ordine del Giorno che stabiliva l’aumento delle spese militari, gli onorevoli guerrieri (con i corpi altrui) avevano in mente anche il progetto D.I.A.N.A.?

Appena qualche mese fa parlavamo, in occasione delle elezioni amministrative che hanno portato al governo della città, con meno della metà dei partecipanti al voto, Stefano Lo Russo, di quale futuro le si intende riservare.

Alla Torino del debito Mario Draghi si è presentato, appena qualche giorno fa, come salvatore della patria, con un “regalo” di 1,2 miliardi in 20 anni. L’erogazione di questi fondi, si apprende dalla lettura dei giornali, sarà subordinata ad un “Piano di rientro”, i cui contenuti ci si è ben guardati dall’esporre alla cittadinanza. La quale aspetta ancora di sapere come saranno spesi i soldi del PNRR e di sapere come saranno affrontati i molti problemi della città: la povertà crescente, la questione endemica delle periferie, i servizi sociali inefficienti, la Sanità con le sue liste di attesa bibliche e una struttura territoriale tutta da costruire, il problema delle bollette insostenibili (mentre le multiutility come IREN accumulano profitti inutili al benessere della città), il problema abitativo e degli sfratti, ecc.

A questa città si riserva ora il progetto D.I.A.N.A., pensando forse di poter prendere Torino per il collo, costringendola ad una prospettiva di sviluppo mortifera e degradante.

Ecco l’ultimo contorcimento del “Sistema Torino”: passare dai grandi “eventi”, come ATP Tennis ed European Song Contest, direttamente al Defence Innovation Accelerator for North Atlantic: un’altra sigla anglofona, ma che questa volta si tradurrebbe nella progettazione e nella produzione di armi, cioè di strumenti di morte e di distruzione di case, scuole, ospedali. Le immagini che vediamo ogni giorno, in questo tragico periodo di guerra, sugli schermi televisivi, entrerebbero così a fare parte stabile del nostro immaginario collettivo, poiché la nostra città, per tramite di questo progetto, ne diventerebbe oggettivamente complice, portandoci, in qualche modo, la guerra in casa.

Come per le Olimpiadi invernali del 2006 (che hanno prodotto un debito enorme, da cui la città deve ancora riprendersi) Torino si farebbe conoscere nel mondo. Chissà, magari D.I.A.N.A. sarà in grado di portare ancora un’altra quota di turisti in città; sarà forse per questo che le ultime Giornate di Primavera del F.A.I. (Fondo Ambientale Italiano) hanno inserito nel percorso di visite anche il Museo dell’Aeronautica, ospitato negli stabilimenti di Alenia…

La questione, in realtà, è molto seria e molto ampia. Si tratta infatti di una questione a valenza nazionale, coinvolgendo il governo italiano e le poche industrie ancora rimaste a partecipazione statale (Leonardo in prima fila), ma anche internazionale, poiché parliamo della NATO, una struttura militare che, dopo la disgregazione del Patto di Varsavia, non ha davvero più alcun appiglio per esistere e la cui natura difensiva, se mai è esistita, certamente non c’è più, essendo invece, casomai, uno dei principali fattori destabilizzanti a livello planetario (senza che con ciò venga meno la condanna dell’invasione russa dell’Ucraina).

Infine, la presenza in città di una struttura della NATO renderebbe di certo ancora più pesante quella cappa securitaria e repressiva che già grava su questo territorio.
La vecchia pratica della contro-informazione deve quindi crescere. Occorre moltiplicare innanzitutto le iniziative per portare a conoscenza l’opinione pubblica, a livello cittadino, ma anche oltre, dell’esistenza di questo progetto.
Non basta (non può bastare) l’azione altamente meritevole di chi sta già oggi faticosamente cercando di rompere il muro del silenzio.

Un primo passo deve essere quello di rompere la separatezza fra le aggregazioni che condividono l’opposizione a D.I.A.N.A. (Coordinamento torinese contro la guerra e chi la arma, Coordinamento AGITE, ecc.).

Ma l’obiettivo deve essere più ambizioso. Bisogna riuscire a coinvolgere, e portare a pronunciarsi, tutte le realtà di movimento, politiche, sindacali, istituzionali della città. Avrebbero da dire su questo, per esempio, i giovani e le giovani di Fridays for Future, perché la riconversione ecologica comprende anche la riconversione dell’industria bellica, certamente distruttiva al pari degli elementi che portano al disastro ambientale. Avrebbero da dire, e da agire, su questo, le organizzazioni sindacali, perché non si possono lasciare lavoratori e lavoratrici da sol*, nel dilemma fra dover proseguire in una produzione di morte e realizzare invece una efficace e reale riconversione produttiva; la quale deve inevitabilmente essere sostenuta con risorse pubbliche.

Devono (devono!) dire, infine, le istituzioni, a partire dalla Giunta Comunale e dalla Giunta Regionale, che stanno agendo sotto traccia in favore di questa sciagurata prospettiva, venendo clamorosamente meno al loro dovere di fornire adeguata informazione alla cittadinanza.

E’ un’operazione che deve assolutamente essere sconfitta, per opporsi concretamente a una guerra che trova origine proprio nel grande mercato degli armamenti e per un diverso progetto di Città, orientato verso produzioni non inquinanti, utili per la popolazione e per la cura delle persone e del territorio. Occorre battersi, insieme ai lavoratori coinvolti, per progetti concreti di riconversione, per costruire un’alternativa alle produzioni di morte!

C’è di che lavorare, nel prossimo periodo.

Fausto Cristofari

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

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