Siccità e crisi idrica

Il nostro Pianeta è “ricoperto d’acqua” ma la percentuale di questa utilizzabile per usi umani è circa lo 0,6% considerando laghi, fiumi e falde sotterranee di facile accesso.

Una componente solo in parte “rinnovabile”, poiché le falde hanno tempi di ricarica spesso più lunghi del tasso di sfruttamento cui vengono sottoposte, di conseguenza l’acqua è sempre più scarsa, complici i cambiamenti climatici e la crescente pressione antropica.

La scarsità idrica, che abbiamo sempre considerato come un problema lontano dai nostri confini, ci riguarda molto da vicino, con prospettive per quest’anno peggiori della crisi del 2017.

L’Osservatorio europeo della siccità indica l’Italia tra i Paesi UE considerati più a rischio e secondo l’Associazione nazionale dei consorzi di Bonifica e Irrigazione il livello dei fiumi del Nord è sempre più basso e il rischio desertificazione in aumento, soprattutto in alcune regioni del Sud Italia.

La particolare conformazione geografica del nostro Paese mette ancora più a rischio le fonti di acqua dolce a causa del fenomeno del cuneo salino che mette a rischio intere colture nella zona del delta del Po.

E’ evidente come un simile scenario abbia impatti devastanti sia sugli ecosistemi naturali che sulle attività umane, sia in chiave sociale che economica.

I settori destinati a pagare le conseguenze più gravi della siccità sono quelli dell’agricoltura, della zootecnia e della silvicoltura. In Italia il 20% del territorio rischia di non essere più produttivo e di essere dunque abbandonato e l’Enea stima che a causa di siccità, alluvioni ed erosioni del suolo si rischia di perdere l’1 per cento annuo sulla produzione agricola, con danni per oltre 30 milioni di euro l’anno per il settore.

Siccità: agricoltura e allevamento intensivi.

Prendendo in esame proprio il rapporto tra sistema agroalimentare e consumo della risorsa idrica si scopre che la frazione di gran lunga più grande dell’impronta idrica totale in Europa riguarda il consumo di prodotti agricoli commestibili (84 per cento), con più del 45 per cento di questa imputabile ai prodotti a base di carne e latte.

L’agricoltura europea, dedicata per circa due terzi all’alimentazione animale, utilizza più acqua dolce di qualsiasi altro settore in Europa: il 59 per cento del consumo totale e il modello di agricoltura intensiva impoverisce la frazione organica dei suoli, rendendoli meno efficaci nel trattenere l’acqua (fonte ANBI).

La disponibilità idrica diminuisce dunque, ma i nostri terreni agricoli hanno ancora più sete.

Nel settore zootecnico i volumi d’acqua utilizzati diventano ancora più importanti: per grammo di proteine, l’impronta idrica della carne bovina è sei volte maggiore di quella dei legumi e secondo la stessa Assocarni per produrre un chilo di carne bovina occorrono in media 15.415 litri di acqua.

Nel settore agricolo la risposta è nella riconversione verso metodi agro ecologici perché mentre l’agricoltura intensiva, basata su produzioni specializzate e a bassa diversità, è particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici, al degrado del suolo e alla scarsità d’acqua, l’agricoltura ecologica è la principale strategia di resilienza alla siccità.

Anche nel campo della zootecnia i modelli di allevamento ecologico, compresi i sistemi integrati di allevamento e di allevamento e silvicoltura, possono offrire vantaggi a molteplici processi ecosistemici, inclusa la resilienza alla siccità. Una riduzione molto significativa dell’impronta idrica dei prodotti agricoli in Europa potrebbe essere raggiunta passando a modelli alimentari più sani, ricchi di frutta e verdura e con meno carne e latticini e che porterebbero a risparmiare circa 1.292 litri pro capite al giorno, ossia il 30 per cento dell’impronta idrica rispetto alla situazione attuale.

Per compiere questi cambiamenti sono necessari e urgenti sostanziosi investimenti, sia in termini di ricerca sulle innovazioni agroecologiche, sia di sostegno per aiutare gli agricoltori e allevatori a compiere una vera transizione ecologica e i consumatori ad adottare diete con un minore impatto sulla disponibilità idrica e sulla sua qualità.

Siccità e energia.

In tempi di crisi idrica, è bene ricordare che anche le scelte energetiche, non sono neutre dal punto di vista dello spreco di acqua.

Il consumo idrico a fini energetici è oltre il 20% del consumo idrico totale, e circa un terzo di quello a fini alimentari.

Le a fonti fossili e le centrali nucleari, infatti, consumano enormi quantità d’acqua per raffreddare gli impianti a differenza di eolico, fotovoltaico e geotermia a circuito chiuso, il cui impatto idrico si approssima allo zero.

Si calcola che un sistema 100% rinnovabile abbatterebbe fino al 97,7% il consumo idrico finalizzato alla produzione di energia.

Siccità e gestione privata della rete

La crisi idrica attuale evidenzia inoltre tutte le pecche di una gestione della risorsa idrica piegata a una logica privatistica che punta esclusivamente alla massimizzazione del profitto ed è caratterizzata da una decennale mancanza di pianificazione e investimenti infrastrutturali.

L’Italia detiene il primato europeo del prelievo di acqua per uso potabile. Dal punto di vista degli ecosistemi acquatici, laghi, fiumi, acqua sotterranee, tutte le rilevazioni rivelano uno stato raramente buono e per lo più scarso o cattivo.

La contaminazione più frequente è dovuta agli erbicidi e agli scarichi delle aree industriali attive o dismesse ma non ancora bonificate, come ad esempio quella dovuta ai PFAS in Veneto e ad Alessandria; pesano poi i cosiddetti contaminanti emergenti quali droghe, cosmetici e farmaci.

La contaminazione delle acque di falda, che in Italia sono la principale fonte di approvvigionamento di acqua potabile, determina la necessità di attuare trattamenti per trattenere le sostanze chimiche che diventano sempre più costosi e difficili con l’aumento della complessità delle miscele.

E’ necessario migliorare la qualità delle acque superficiali e di falda, intervenire per rinaturalizzare i versanti collinari e montani, le sponde di fiumi e canali, restituire ad uso ambientale e paesaggistico naturale di aree compromesse da fabbricati ex industriali ora dismessi e abbandonati.

La gestione del servizio idrico integrato attraverso spa e multiutility si è dimostrata un fallimento se consideriamo il drammatico spreco di acqua potabile se consideriamo le perdite di rete (40% dell’acqua distribuita) e la mancata realizzazione di reti duali (il 50% dell’acqua distribuita è utilizzata per fini non potabili). E’ quindi destituita di ogni fondamento la campagna che sui media mainstream cerca di attribuire la responsabilità della crisi idrica alla mancata privatizzazione che avrebbe fatto perdere investimenti privati. Dopo la vicenda delle autostrade bisogna essere davvero in malafede per sostenere una tesi del genere. La realtà semmai è che la gestione attraverso multiutility quotate in borsa ha dirottato risorse verso utilizzi diversi dall’ammodernamento e dalla manutenzione della rete idrica.

In definitiva, si tratta, come propone anche il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, di mettere in campo un intervento pubblico che, nell’arco dei prossimi 5 anni, tramite il Recovery Plan, nella seguente misura:

● 2 mld di € per la ripubblicizzazione del servizio idrico, da utilizzare nel primo anno di intervento;

● 7,5 mld. di € (cui aggiungere risorse provenienti dai soggetti gestori per circa ulteriori 2,5 mld) per la ristrutturazione delle reti idriche;

● 26 mld. di € (di cui 50% provenienti dal Recovery Plan e il restante 50% da ulteriori fonti di entrata) per il riassetto idrogeologico e la messa in sicurezza del territorio.

L’intervento economico deve essere accompagnato da un ribaltamento del modello e dalla ripubblicizzazione del servizio idrico, partendo da una serie di interventi immediati:

incentivi all’ammodernamento degli impianti di irrigazione in agricoltura (ad es. irrigazione a goccia) e all’utilizzo delle acque piovane;

la destinazione degli utili delle aziende che gestiscono il servizio idrico alla ristrutturazione delle reti idriche;

incentivi all’installazione di dispositivi per il risparmio idrico nell’edilizia di servizio, residenziale e produttiva;

la depurazione delle acque deve raggiungere il 100% (attualmente è al 50/60%) e vanno privilegiati gli impianti di piccole-medie dimensioni e quelli di fito-depurazione in quanto garantiscono maggiormente la qualità della acque depurate da immettere in natura, nella produzione agricola e nelle reti duali.

Le montagne stanno crollando.

La senatrice Nugnes, in rappresentanza di Rifondazione Comunista in missione parlamentare sui ghiacciai, riferisce di come in montagna il cambiamento climatico stia avvenendo ad una velocità doppia che nel resto del globo, registrando ad oggi una media di aumento delle temperature di + 1,7 gradi.

“Lo scenario 2022 è lo scenario che ci aspettavamo per il 2050″ dicono gli osservatori tecnici di Arpa in Val D’Aosta, a Courmayeur, sul Ghiacciaio di Planpincieux. I ghiacciai sono un grande osservatorio dei cambiamenti climatici. Un terzo di tutti i ghiacciai italiani sono in Val d’Aosta, in 50 anni abbiamo “perso” il 40% dei ghiacciai presenti in regione, in 20 anni ne abbiamo persi 180. Nel 2050 non avremo più nessun ghiacciaio, niente ghiacciai niente acqua. Dovremo attrezzarci per rintracciare e conservare tutta l’acqua possibile, raccoglierla e distribuirla.

Lo scioglimento dei ghiacciai causa un enorme scarico di acqua dolce nell’oceano e aumenta il livello del mare. Attualmente proprio lo scioglimento dei ghiacciai contribuisce come primo protagonista all’innalzamento del livello del mare (sta aumentando il livello del mare di 0,7 millimetri ogni anno) e, entro la fine del secolo, questo numero potrebbe aumentare da quattro a dieci volte.

Il mare invade e sommerge le terre, distruggendo interi territori, che entra nei fiumi, vedi il Po in questi giorni, invadendo le falde di riserva idrica, salinizzando l’acqua dolce, sottraendo altra acqua potabile per i campi, le bestie, gli uomini.

Scioglimento dei ghiacciai, significa crolli e slavine, significa perdita di biodiversità, delle condizioni che rendono possibile la nostra vita su questo pianeta.

Il contrasto alla siccità deve essere affrontato da un punto di vista dell’ecologia integrale quindi chiediamo lo stop immediato della riattivazione delle centrali a carbone, di nuove trivellazioni di gas e dell’installazione dei rigassificatori, delle grandi opere idrovore, della cementificazione, che impermeabilizza il suolo rendendo praticamente impossibile il ciclo naturale dell’acqua, degli impianti di incenerimento rifiuti che necessitano di enormi quantità di acqua per il raffreddamento.

Il nostro è un approccio di classe e ben consapevole che riguarda le scelte collettive e la gestione delle risorse più che quelle individuali. Non si tratta solo di modificare gli stili di vita ma lo stesso modello di sviluppo.

Maurizio Acerbo segretario nazionale PRC

Elena Mazzoni Resp. Ambiente PRC

27/6/2022 http://www.rifondazione.it

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